Alfabeta - anno II - n. 11 - marzo 1980

8 Francesco Fistetti: L'irriducibilità dei dialetti E ' noto che gli anni Sessanta registrano lafortuna di ideologie dello sv.iluppo ininterrouo ed illimitato, la cui diffusione più o meno «spontanea» non solo investe le forme della coscienza intelleuuale, ma alimenta anche progeui politici assolwamente inediti e talora di segno opposto. li varo del centro-sinistra e l'esperienza operaista di Quaderni rossi souendono entrambi l'ipotesi teorica di una capacità espansiva inesauribile della razionalizzazione capitalistica, di una rivoluzione del capitale che omologava fabbrica e società e della conseguente possibilità di un'iniziativa politica diretlamente innestata sulle potenzialità innovative insite nel ciclo economico e sociale sopravvenuto (da un lato la programmazione statale e dall'altro l'organizzazione dell'operaio-massa). Alla fine degli anni Seuanta questa ipotesi viene ad essere interamente falsifica1ada un accumulo di faui - rovesciamento delle ragioni di scambio internazionali, questione energetica, inflazione, recessione, terrorismo, ecc. -, che segnalano /LIiii l'incepparsi del modello keynesiano dello sviluppo e della sua intelaiatura politica. Subentra, perciò, un'ideologia o, meglio, un complesso di filosofie «spontanee», che tendono ad enfatizzare la crisi sino al limite di una sua naturalizzazione metastorica: la crisinon concerne modi e forme puntuali del governo dell'acc11m11/azione dell'uso delle risorse, ma è crisi de/l'industrialismo senza aggeuivi; essa non riguarda questo asseuo dello Stato con le sue politiche redistributive specifiche e con il suo «interventismo» altreuanto determinato, ma è crisi del potere tout court, ecc. ecc. La storia di queste ideologie «spontanee» degli intellet111aelidegli specialisti nel passaggio dagli anni Sessanta quando si inneggia alle «magnifiche sorti e progressive» della scienza (neopositivismo, razionalismo, scientismo, ecc.) agli anni Se/tanta che vedono l'incubazione embrionale di culture della crisi (macchine desideranti, flussi libidinali, rizomi, ecc.), resta ancora da scrivere. Al fondo si rinviene un'analisi del mutamento di fase in termini di transizione dallo Stato-piano allo Stato-crisi capovolgendo meccanicamente il medesimo schema esplicativo, che in entrambi i casi assolutizza alcuni elementi fa11ualie li decontestualizza da un campo referenziale di tendenze e relazioni assai più complesso. Rispello a simili semplificazioni a buon mercato un testo a più voci come La crisi della ragione induce a nutrire legiuime diffidenze e al contempo a raf forzarsi nel convincimento che occorrono strumenti d'indagine nient'affauo improvvisati per la conoscenza critica del presente. Il volume si sforza, in tal senso, di rispondere al bisogno di una comunicazione, per così dire, metadisciplinare, me/tendo a fruito competenze diverse e chiamando a confronto codici linguistici tra loro lontani. Salvo i contributi altamente specialisticicome quello di G.C. Lepschy sulla linguistica e quello di F. Orlando s11/l'applicazione di categoriepsicanalitiche alla storia delle« figure» /e11eraried ideologiche, distinguerei nel libro in questione due fuochi prospe11icio due livelli discorsivi, a seconda della loro prossimità ad una fr11izionecriticaper la decifrazione del/'auuale silllazione di crisi organica. I. I paradigmi di razionalità incorporano sempre concrete operazioni intellettuali e convogliano energie sociali disciplinate in codici di condoua relativi alla relazione 11omo-na111rea alla forma dei rapporti sociali. Non si danno né s11perordini, né s11perling11aggie, quando si danno, è solo grazie ad 11ngesto di eternizzazione ideologica, ad un impulso conservativo volto a trauenere e neutralizzare movimenti di pensiero e realtà nuove emergenti. A. Gargani mostra questo processo di «transustanziazione dei concetti, dei n11meri,delle espressioni linguistiche in ogge11i,cose e reallà ogge11ive»a proposito dell'archivio epistemologico delCrisdiellaragione? ( Il) la scienza moderna e della ragione classica. Se mi è lecito, senza incorrere in accuse di ortodossia dottrinaria, osserverei che la critica di Gargani ai meccanismi di appropriazione e di sostanzia/izzazione costitutivi dello stile classico del sapere ricalca l'abbozzo marxiano della teoria del feticismo della merce esposta nel primo capitolo del I volume del Capitale e ripreso ne/l'analisi della « formula trinitaria» del/'economia volgare nel quarantouesimo capitolo del/// Libro, ove Marx parla - et pour cause - di «religione della vita quotidiana» per designare la materialità dei comportamenti del capitalista pratico e la funzionalità pratica delle astrazioni ideologiche. Lo stesso Gargani, d'altronde, ne~'evidenziare l'omologia· struuura/e tra il «dio» di Newton che trasmeue energia al cosmo e la «mano invisibile» di Smith che regola il mercato, fa proprio il modello della criticità marxiana formalizzato nella celebre Introduzione del '57, recepita sopra/- tulio negli aspellimetodologici che insidei paradigmi della razionalità partecipano, senza esaurirvisi, alla lolla e alla redistribuzione delle egemonie, al governo complessivo dello sviluppo, alla tessitura dei rapporti tra governanti e governati. Gargani, nel portare alla luce I' «assolwismo ontologico» della ragione classica e dei suoi dispositivi imminenti, conferma l'assunto gramsciano della «traducibilità», che non può essere tacciato di positivismo sociologico, dal momento che apre il continente della ragione scientifica al compito estremameme problematico dell'analisi dei rapporti e delle formazioni egemoniche che nella storia interna dei saperi si sono accumulati e ripartiti. Dal camo suo, S. Veca, nel descrivere in una sorta di apologo filosofico le mosse e le contromosse della ragione monista e della ragione pluralista, conduce alle ultime conseguenze l'acquisto teorico dell'impraticabilità del modulo classico di razionalità, poiché la molteplicità dei modi della ragione e le immagini associate ai differenti «giochi» hanno ormai sancito la fine e l'inefficadecisivo, nonostante le numerose equivocazioni ideologiche cui si è prestato, che formulerei così: allescienze speciali inerisce una carica di mediazione politica che stru//ura, in spazi e temporalità diseguali, i rapporti tra governanti e governati, per cui se è vero - come ha • recentemente osservato F. Papi - che i paradigmi scientifici deuano in modo rigoroso le regole senza cui 11011 è possibile produrre conoscenze, è altreuanto innegabile che i saperi particolari danno forma alle forze produttive e risultano strutturalmente costitutivi della loro determinazione e del loro sviluppo. Con un'abbreviazione elliuica, si può dire che i rapporti sociali vengono filtrati e scomposti nello spettro dei saperi e delle peculiari forme di razionalità che essi incarnano. Per quesra ragione di fondo non mi sentirei di condividere la lesi di Veca sull'identificazione esaustiva dei linguaggi con la dimensione strumentale delle tecniche, come pure insufficiente mi sembra la critica della ragione classica nei termini proposti da Gargani, Mario Tozzi, Madonna col bimbo (o Maternità) (prima mostra del Novecento ilaliano, /926). stono polemicamente sul 11a1uralismo degli economisti politici. Vedremo tra 1111 momento dove /'111ilizzazione in questa chiave del criticismo di Marx - un debito che tuttavia andava dichiarato - cessa di essere produuivo di effeui di conoscenza. Ciò che dapprima, invece, mette conto rilevare è che il procedimento di Gargani restituisce al sapere scientifico e ai suoi comparti speciali una matrice costruuiva, che, senza oscurare le compe1enziali1àspecifiche, si rivela sempre storicamenle de1ermina1a,cioè esibisce uno spazio semantico di apparlenenza in rni i linguaggi pongono in allo -secondo una felice indicazione di Gramsci - una re/a1iva«lraducibilità» (che benin- /eso non vuol dire intercambiabili1à o peggio reductio ad unum, bensì produzione di rapporti di parentela, di reciproche incidenze, di riconoscimenti in base a grammatiche comuni). Sicché, se Smith e Newton concorrono entrambi a corroborare una certa immagine della ragione, ciò è possibile perché vi è una certa «traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici» auinenti alla riproduzione di una formazione sociale e alle modalilà in cui la questione degli intellettuali (le pratiche conosci1ive)gioca a/l'interno di essa in una fase data della sua storia. Senza accreditare causalità lineari e deterministiche, /'esistenza della «1rad11cibilità»al/11deal fauo che i poleri eia di me1odi privilegiati di accesso al sapere e di dialeuiche universali che presumano di funzionare come «scienza dellescienze» o come «superpunti di vista». Al più, esiste un modo «basso» di concepire e praticare la dialellica, qualora la si spogli di ogni tentazione teleologica in grande e di ogni vocazione necessitaris1ica.La ragione allora scopre ILI/lolo spessore della sua s1oria maleriale (intesswa della vichiana «feccia di Romolo») e il peso obliquo dei «saperi bassi» (come direbbe Vege11i). Perciò, il ml/lamento di un «gioco» non può non chiamare in causa lo sfato civile della con1raddizio11ed, i cui parla Wiugenstein. lnfaui, l'impigliarsi nelle nostre proprie regole ci addita un blocco nelle nos1re s1ra1egieconosci1ive, nei noslri strumenli• concettuali e nel fascio di tecniche che impieghiamo e, quindi, l'urgenza di una «visione» più chiara. È questa dialellica «bassa» che spinge le pratiche razionali a di/alare l'area delle nos1reregole e aprodurre laprosa de/l'innovazione. L'obiezione che, a q11es1p0unto, muoverei alpluralis1adel dialogo immaginato da Veca è la seguente: ma i linguaggi sono tecniche e nulla più? Lo s1a1111d0ei linguaggi, proprio perché prosaico, non è a s11a volta q11ellodi 1111s0pecialismo coraz- ;:.a10di is1i111zioni? lncomriamo qui LIII punto nodale auenta a scoprirne solo i livelli di fallacia naturalistica. Gargani ci segnala l'errore di costruzione del modello classico di razionali1à,ma ciò che 11011 ci dice (e beninteso non è impresa agevole, affron1abile con lo hegeliano «colpo di pistola») è in che senso esso concentra un insieme di connessioni culturali affereme ad 1111de1ermina10 asseuo dei ,apporli di p01ere e ad una combinazione in progress delle relazioni egemoniche. Nel percorrere la strada di ques/a obiezione ci viene incontro il saggio di A. Viano (che s1raname111e è passato sollo silenzio), il quale geua luce sul paradosso della cultura novecenlesca, che prende ano dell'eclisse della ragione dall'universo filosofico stricto sensu e della sua trasmigrazione negli «scritti degli economisli, dei sociologi e degli storici». Anzi, nel momento in cui viene detronizzata nel regno della filosofia, essa assurge a cara//ere predominante di un'intera epoca. Sombart e W~b~ scandiscono ques10 spos1amento det• parame1ri e dei conte1111d1ei lla ragione dal territorio della filosofia (che si riserva il monopolio della riflessione sui valori) a quello delle nuove scienze sociali, che si legi11imanocome ve/lori della nuoa razionalità sedimentata nelle struuure del capitalismo. Il capitalismo moderno appare, sollo questa luce, «la più ampia realizzazione della razionalità» (la tecnica in Sombart e l'agire razionale rispeuo allo scopo in Weber). A cavallo tra i due secoli si produce, dunque, una riclassificazione radicalee 1111taransizione forte degli standard di razionalità che giungono ad innervarsi e a fare blocco con la formazione economico-sociale moderna (la «valutazione del capitalismo come lamaggiore approssimazione possibile alla razionalità assoluta»). Con Gargani saremmo autorizzati a scorgere in ciò un esempio emblematico di entificazione di determinate strategie conoscilive e costruuive della ragione, ma sarebbe un giudizio parziale. C'è qualcosa di più e di nuovo, che va spiegato. Con Sombart e Weber si fa chiaro che l'intero paradigma delle competenze regola forme di socializzazione e di direzione specifiche della formazione sociale moderna, ne filtra le dinamiche evo/ulive e media a/traverso il prisma dei saperi particolari norme e azioni, decisioni ed esecuzione, procedure e comportamenti. In questo conteslo, l'idea del capitalismo come approssimazione alla razionalità assoluta non è affauo un'illusione 011ica,né il mero effeuo di 1111procedimento apriorizzante, ma scaturisce dalla tenuta della mediazione dei saperi particolari, dalla loro afferenza a quella che con beneficio d'inve111ariopolremmo chiamare la razionalità centrale di sistema, alla sintonia tra dirigemi e direi/i. Fino a quando 'il paradigma delle competenze funziona nella normalità della mediazione, i saperi assolvono alla funzione di tecniche di neutralizzazione, nel senso che al loro interno 1101s1i producono spos1ame111tiali da meuere in questione le jìnali1àgenerali del sistema. Quando una talepossibilità prende corpo (e ciò avviene, grosso modo, con il crollo del fascismo e con l'avvio del ciclo democratico del secondo dopoguerra) s'incrina l'equazione linguaggi = tecniche. Sui poteri epistemologici degli specialismi s'innesta un'aspra lolla di egemonie. Nella storia imerna delle competenze te/Iladi aprirsi faticosamente la strada la tendenza verso saperi emancipativ~ forme di razionalùà antago11is1iccahe premono verso altri tipi di relazione ed altre mediazioni, anche cognilive. Giungiamo così al secondo blocco discorsivo, di cui si diceva all'inizio e che ci riconduce più da vicino alle cadenze odierne della crisi della razionalità. 2. R. Bodei, nel ricordare che le praIiche della conoscenza razionale costituiscono sia 1111 patrimonio comune agli individui di una data società storica sia un aggregato di qualifiche e di specializzazioni acquisite, solleva la questione cui si accennava sopra: i linguaggi sono semplici tecniche la cui decidibililà è affidaw soltanto all'uso delle regole e delle procedure? F. Rei/a nel suo contrib1110chiarisce che la stessa psicanalisi di Freud, che parla la crisi della ragione classica, non si lascia ridurre, pena lo stravolgimento del suo statuto 1eorico, a strumento terapeutico, né (come avviene in Lacan) al sapere della Verità. lnfaui, perché oggi «l'alternativa - si domanda Bodei - deve essere quella Ira LIII sapere enciclopedico e uno specialistico, traonniscienza e idio1ismo di mestiere, o tra ragione unica, monolitica, prevaricatrice e 'ragioni' solitarie, irrelate, intraducibili e non invece tra una maggiore o minore divisione del lavoro -scientifico e non - e tra una maggiore o minore permeabilità, 1raducibilità, incrementabilità, rinnovabilità del sapere e delle esperienze?». Elemenli di risposla a ques10 interrogativo si trovano nel saggio di N. Badaloni, tantopiù importanti in quanto nelle cose viene messa alla prova la vitalità ermeneutica di quella che V. Strada chiama la «ragione marxiana» (e si potrebbe aggiungere: la sua «tenacia» di fronte al «mare delle anomalie»). Badaloni connetle il problema della razionalità a quello più complessivo della riproduzione sociale: la razionalità ante festum, volta ad una regolazione consapevole del processo sociale di ricambio Irauomo e nalura, e la razionalità post festum, che si affida alla reciproca elisione degli interessi e delle istanze di chi partecipa alprocesso produ11ivoe riprod1111ivoL. e contraddizioni presenti in quest'ultimo modello vengono analizzate da Marx nel Ca- .,.., ..... . . . . . . . . . .

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