Alfabeta - anno II - n. 11 - marzo 1980

Chetempo fa sull'alberdoeilupi? (intervista a Elvio Fachinelli a cura di Gabriella Buzzatti) L'intervistaquipresentata è stata registrata nel settembre del '79 ed è parte di una ricerca su alcuni problemi della teoria e della pratica analitica. Sono stati intervistati, oltre a Fachinelli, Franco Fornari, Sergio Finzi, Silvia Montefoschi, Silvia Vegetti, Agostino Pirella, Franco Rella, Robert Castel. Tale ricerca dovrebbe essere oggetto di un libro dal titolo Una guida per Edipo I.{ Le domande che mi hai manda- ~ to per iscritto non mi hanno ispirato per niente, forse rispondono a una tua impostazione precedente, più astratta... e poi si muovono lungo un tempo eccessivamente lineare, quasi senza tener conto dei tagli, degli spacchi che ci sono stati in me... perché non cominciamo l'intervista parlando di Diderot?». Perché Diderot? «Secondo te quali sono stati i precedenti storici del rapporto psicoanalitico? Certamente non sono rintracciabili nella medicina!». Forse nel prodotto più tipico della letteratura borghese, nel romanzo ... «Io ho cercato di chiedermi quando mai, indipendentemente dalla storia delle cosiddette influenze, compare in Europa un certo tipo di rapporto, duale, che non si può certo definire psicoanalitico, ma che pure precede la psicoanalisi e mi è sembrato di poter trovare questo rapporto proprio in un libro di Diderot, precisamente Il nipote di Rameau. Secondo me Il nipote di Rameau è una cosa stupenda, senz'altro una delle cose più grandi che mai ci siano state nella letteraturaoccidentale; per un certo tempo era stato completamente perso e se ne conosceva solo la traduzione tedesca fatta da Goethe, poi ne è stato ritrovato l'originale su una bancarella di un ponte di Parigi. Il nipote di Rameau è un dialogo tra Diderot il 'filosofo', e un tale che è una specie di vagabondo sgangherato, un parassita sociale, nipote del musicista Rameau: tra i due si svolge un dialogo straordinario, in cui tra l'altro viene fuori per la prima volta l'enunciazione dell'Edipo, cioè la storia del piccolo selvaggio che vuole uccidere suo padre e andare a letto con sua madre. Ma quello che è importante non è tanto questa enunciazione, quanto piuttosto la struttura del dialogo, in cui c'è un personaggio che, pur ponendosi sempre nella posizione del filosofo, non rinuncia mai ad esserecoinvolto dentro al gioco dell'altro; ed è proprio questo rapporto di due persone che stanno insieme e si esauriscono nel dirsi delle cose che, secondo me, è il diretto predecessore del rapporto psicoanalitico. È poi d'altra parte molto interessante il fatto che Diderot è anche il nipote di Rameau nello stesso tempo, per cui c'è il presagio della rivoluzione ... D'altronde anche in un'altra opera di Diderot, Jae<,ues le fataliste et son maitre, assai più lunga, c'è una struttura dialogica e c'è continuamente il problema del rapporto tra padrone e servitore, in cui l'uno diventa l'altro dell'altro dell'altro. È su questo tipo di raffigurazione che Hegel ha costruito esplicitamente il rapporto servo-padrone della Fenomenologia, anche se a mio parere l'ha congelata e irrigidita». Ma questo fatto che il precedente storico della figura dell'analista sia un filosofo? «Certamente il filosofo si presenta come una sorta di coscienza superiore di fronte al vagabondo che gli pone delle domande; ma queste lo sbalestrano, lo scompongono ... Questa, in qualche modo, è anche la situazione di Freud che, all'inizio, si pone di fronte all'isterica proprio come il medico formale, io sono qui e ti ascolto». Sarà proprio l'isterica che Io farà uscire da questa situazione formale, no? «Sì, oltre al fatto che Freud ha avuto veramente il colpo di genio di porsi in una posizione che direi femminile rispetto all'altro: nella posizione cioè di chi riceve, di chi mette dentro, anziché di chi somministra un sapere». Mi pare però che questa struttura del rapporto psicoanalitico si sia andata capovolgendo di pari passo con la diffusione della pratica analitica. Nella maggior parte dei casi, l'analista non ha certamente quella posizione femminile di cui parli, ha piuttosto ripreso in pieno una posizione maschile, autoritaria, quasi oracolare ... «Lacan ha parlato di un 'sujet supposé savoir'; la maggior par.e degli analisti, invece, si pone come 'sujet du savoir', è convinta di averlo e quindi lo amministra». Proprio a proposito di Lacan, mi sembra che in effetti lui vada ben al di là del «sujet supposé savoir»: in un punto di E11core sostiene infatti che «l'analyste, en effet, des tous ordres de discours qui se soutiennent actuellement, est celui qui, à mettre l'object a à la piace du semblant, est dans la positione la plus convenable à faire ce qu'il est juste de faire, à savoir, interroger comme du savoir ce qu'il en est de la verité> (Encore- pag. 88); d'altronde, poi, in tutta la teoria lacaniana, che non è in fondo che una sorta di filosofia morale, il destino dell'uomo è soltanto quello indicato dall'esperienza analitica e dalla parola piena dell'analista. E quando parlo di Lacan, tu sai che bisogna andare al di là della sua persona per comprendere tutti quegli analisti, e sono molti, che in qualche modo si identificano nella sua teoria e soprattutto nel suo discorso sull'analisi. «Ma se fosse così come tu dici, l'analisi, tutta l'analisi, non sarebbe che l'amministrazio11edi un sapere morto. lo credo che bisog11erebbefare una distinzione, chiedersi per esempio a che livello agisce il lacanismo ... ame è capitata una cosa molto interessante. Ho in analisi un ossessivo che è quasi un seguace di Lacan, ,re/ senso che sa tutto del discorso lacaniano e delle sue versioni italia11e.Q11es1aperso11aha fatto un sogno i11cui la corrente lacaniana appariva come una setta di tipo mis1icoenigmatico». Ha fatto davvero un bel sogno! «Il sog110 è interessante i11quanto lui ha stabilito una equivalenza tra questo uso del linguaggio da parte dei lacaniani e il suo personale uso del linguaggio come ossessivo; per rappresentare I' ossessione, il sogno fa uso di 111r1iferimento mistico-religioso, e così succede a11cheper rappresentare la corrente /acaniana. /11somma nel sogno lui ha capito che le due cose andavano insieme. Tutto questo però riguarda l'insistenza di Lacan sul linguaggio, insistenza che è diventata essastessa di 1ipo magico. Invece la cosa più grave che si può dire oggi su Lacan è che, secondo me, un analista nel suo lavoro co11cre10 usa poco Lacan. C'è stmo in Lacan un ·momento iniziale di gi11s1aaccenltlazione del linguaggio in analisi, che è del resto già 111d1ato freudiano, ma se questo momento si isola, divenia autosufficiente, prolifera da solo, alimenta certo la letteratura, la filosofia, ma finisce con il resJareesterno al campo analitico. Ques10è un grosso limite del lacanismo, ma ILI non puoi però identificarlo con la posizione analiticaperché allora si arriverebbe appunto al paradosso che l'analisi sarebbe l'amministrazione-somministrazione di un sapere morto, mentre inveceproduce talvolta degli effetti che rientrano in 111c1erto tipo di discorso ripetibile, quindi diciamo pure scientifico». Certo, ma questo non toglie che ci sia una tendenza anche attuale dell'analisi a ricadere al di fuori del suo specifico, nella filosofia ad esempio, per cui anziché porsi come processo critico e contraddittorio che finisce col mettere in gioco il suo stesso oggetto (vedi in tal senso la pratica analitica freudiana) rischia di diventare il «gesto» che discopre o spiega la «verità», fissandosi in tutta una serie di rituali epistemologici e l'analista diventa il guardiano dell'interpretazione ... «Ma perché secondo te è capitato questo?». Probabilmente perché l'analisi in qualche modo si è allontanata dal conflitto reale, ha insomma rimosso o sublimato quelle contraddizioni che sono alla base della scissione del soggetto, quindi della sua nevrosi o psicosi... «Non credo che l'analisi in quanto tale si sia stac,;madal reale, in fondo gli analis1iche bene o male fanno questo lavoro, sia pure con delle modificazioni di ordine clinico, perché per esempio le grandi hysteriques di Charcot non si vedono più, continuano ad occuparsi di persone che hanno problemi reali!». Sì, ma spesso l'interpretazione di questi problemi reali avviene attraverso il rigetto di una parte di realtà presente o passata e il ricorso alla filosofia, alla mitologia, alla logica. «Ma allora 1u li riferisci a qualcosa che seco11dome 1101è1l'analisi in senso proprio ma la... come dire, disseminazione dell'analisi». Ma ciò cui ci troviamo di fronte è infatti la disseminazione dell'analisi! « Va bene, ma allora quello che ci si deve chiedere è il perché di questa disseminazione. Bisogna forse pensare a un percorso inevitabile dell'analisi proprio perché si tratta di una struttura particolare che coinvolge due persone e in cui, a differenza di quamo succede nella fisica o nella biologia, l'oggetto è nello stesso tempo soggetto, io sono tu e tu sei io... Perché per esempio non c'è una disseminazione della fisica analoga a quella della psicoanalisi?». Forse proprio perché la fisica non implica tra soggetto e oggetlo della ricerca quel particolare tipo di rapporto prioritario in forza del quale l'analista non può non partecipare, non farsi coinvolgere direttamente e personalmente ... «Appunto, ques1aè la premessa. Ma bisogna chiedersi che rapporto c'è tra ciò che in senso stretto si può chiamare analisi, vale a dire un particolare tipo di reazione duale, e l'analisi come fatto culturale. Perché è un fatto che l'analisi va fuori dappertutto, non solo, ma ci sono addirittura dei tipi che alla lunga somigliano appunto alla settamagica di cui parla ilmio ossessivo, diventano dei maghi enigmatici... Lacan stesso è diventato un grande guru enigmatit!o, cosa che 1101e1ra certo quando scriveva i suoi articoli più interessanti... li p111110 critico secondo me sta nel fatto che dentro all'analisi si tratta di qualcosa che esiste anche ali'esterno, è la vita di 1111ti, e quindi lo spostamemo a/l'esterno è inevitabile. Forse era inevitabile che l'analisi facesse quesw fine, se di fine si può parlare. Se invece diciamo che I' analisi è fallita perché è mancato qualcosa a livello di problemi reali,perché si è staccata dai conflitti, finiamo con il fare 1111 discorso di purezza, rischiamo di proporre una sorta di ritorno mitico alle origini della psicoanalisi, non so se mi sono spiegato. « Freud ha scoperto che una serie di comportamenti insensati o del tutto enigmatici si potevano risolvere attraverso una particolare procedura perché erano un risultato finale, 1111 fallimemo di vicissitudini affeuive e conoscitive che sono di umi noi. Ecco perché la analisi è immediatameme slittata all'esterno. Insomma il sogno, l'amore, l'odio in analisi divemano oggetto scientifico, se vogliamo 11sarequesto termine, per la verità w1 po' ridicolo, perché ne/l'analisi freudiana si stabilisce un insieme di condizioni definite, si fa 1111 esame controllato di rapporti reciproci. Dal momemo però che tutti sognano, amano, odiano, e 1101s1olo in analisi!, allora la disseminazione è inevitabile e l'analisi è sempre esposta a questa specie di sventagliamento. Ma qui cominciano i guai. I modi per cui uno fallisce nei suoi rapporti e al loro posto si trova davami bizzarre paralisi o inibizioni o pensieri apparentemente del 111tto estranei, possono essere indagati a/l'interno di una situazione particolare, l'analisi. Ma questo sapere concreto dell'analisi, questo sapere che si costruisce in due, è diventato rapidamente 111s1apere generale, generico, che rimbalza su~'analisi, non solo, ma che fa pensare a molti di avere la chiave pronta per capire e risolvere tutto. Ed ecco che ci sono i giornali che fanno consulenze psicoanalitiche, ci sono pseudoanalisti che fanno pseudo analisi eccetera». Credo comunque che il discorso vada anche spostato sulla domanda di analisi! «Si, ma anche questo è un effetto di questo fenomeno culturale, di questa proliferazione. Se io dovessi giudicare l'analisi dalla s11aproliferazione e moltiplicazione dovrei arrivare a dire che bisogna assolutamente abbandonare quest'area e non occuparsene più; fare insomma come fanno i militanti marxisti-leninisti che vedono la psicoanalisi come 1111s0trumemo per le signore borghesi. .. Perché invece io ci sto dentro, perché mi piace e mi interessa? Perché io lavoro in una zona in cui queste precipitazioni atmosferiche circostanti sono fuori, sono una cosa diversa che c'entra solo in parte con quello che faccio io. Questa in fondo, se vuoi, è una scommessa che ci sia differenza, differenza di piani quantomeno, tra ciò che vedo e m'imeressa in una situazione concreta e l'immenso frastuono psicoanalitico che m'infastidisce più degli altri. Questo frastuono è inevitabile ma non è l'analisi intesa come spazio in cui si può fare ricerca. Del resto, in una società come la nostra, questa differenza di piani mi sembra diminuita, in pericolo di diminuzione. Anche Musi/, nel suo libro L'uomo senza qualità, diceva che troviamo sempre più spesso 'qualità' senza 'uomo', cioè che l'esperienza individuale è sempre più preconfezionata, premasticata ...». Ma infatti io penso che sia la tua prassi analitica sia il discorso che da anni tu porti avanti sull'analisi sia, all'interno della situazione italiana, abbastanza particolare. Insomma già nel tuo saggio Che cosa Edipo chiede allasfinge tu affermi che sé una volta la psicoanalisi, con Freud e pochi altri, ha veramente posto all'uomo delle domande, e delle domande essenziali, oggi, in tutto il mondo occidentale, e con la partecipazione di molti, la psicoanalisi dà soltanto risposte, assumendosi quindi come compito precipuo il dar ragione dell'esistente, il tamponare i conflitti, l'allontanare ogni prospettiva di mutamento. E ancora nel Paradosso della ripetizione ti chiedi se, di fronte al moltiplicarsi di situazioni in cui l'analisi diventa momento di una nuova e duratura «otturazione del reale», il più importante atto analitico non sia, paradossalmente, il rifiutare l'analisi. E sempre tu nell'intervista per Ornicar? parli di una «pseudo-psicoanalisi di massa» e di «uso feticista della psicoanalisi»! «Certo. Tullo questo costituisce per così dire il paesaggio post-freudiano, il - -

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