"' Quarto p4dfreS.p.a. Oskar Negt - Alexander Kluge Sfera pubblica ed esperienza (prefazione di Pier Aldo Rovatti) Milano, Mazzotta, 1979 pp. 228. lire 8.000 Umberto Eco «Obbiettività dell'informazione: il dibattito teorico e le trasformazioni della società italiana» in: U. Eco, M. Livolsi, G. Panozzo Informazione. Consenso o dissenso Milano. il Saggiatore, 1979 pp. 228, lire 5.000 Franco Rositi Informazione e complessità sociale Bari, De Donato. 1978 pp. 203. lire 4.500 S criveva qualche anno fa provocatoriamente Bourdieu che l'opinione pubblica non esiste, riferendosi all'uso strumentale dei sondaggi di opinione nelle attuali società di massa. Ed è invece noto che il giornalismo americano, almeno nella sua fase storica più' raccontata' dal cinema hollywoodiano, ha fatto al contrario dell'ideologia della public opinion uno dei suoi cavalli di battaglia fino alla costruzione del mito del «quarto potere». Non c'è quindi da stupirsi che la sinistra europea nelle sue articolazioni politiche e teoriche, e nei diversi contesti socio-economici abbia sottovalutato o liquidato come mistificante il problema dell'opinione pubblica e dei relativi mezzi di informazione ad essa connessi (anche se Habermas, già molti anni fa. aveva in un'opera ben nota dimostrato la necessità di riflettervi). L'occasione per ricominciare a fare un discorso da sinistra sull'opinione pubblica e sul «pubblico» - fuori da equivoci e da arretratezze ideologiche ma cogliendone tutta la rilevanza collettiva e la centralità come terreno della lotta politica e sociale - è fornita dalla edizione italiana del libro di Negt e Kluge Sfera pubblica ed esperienza, anc;he se tutta una fenomenologia di processi e di trasformazioni nel campo della cultura collettiva (episodi di controcultura. fenomeni di conformismo e qualunquismo. mode culturali, teorie del privato. ecc.) e nel sistema delle comunicazioni di massa (campagne giornalistiche e radiotelevisive, sondaggi pre e post-elettorali. diffusione del sensazionalismo e del «radicalismo» sulla stampa periodica e sull'emittenza privata. ecc.) hanno da tempo posto questo tema all'ordine del giorno. Diciamo subito che il libro di Negt e Kluge. che qui useremo solo come «strumento». insieme ad altri contributi. per un percorso analitico personale. andrebbe analizzato in modo complessivo e più approfondito. individuandone anche. dove necessario. le debolezze o le insufficienzedovute sia al contesto temporale in cui fu scritto (l'originale è del 1972) sia al persistere di opzioni francofortesi sull'impianto teorico generale. Ma. per quello che qui ci interessa. il libro sipresenta assai stimolante perché pone al centro del dibattito proprio la sfera pubblica non solo in quanto apparenza. manipolazione. alienazione. ma soprattutto come esperienza (possibile. necessaria e conflittuale) anche per la classe operaia. Ed inoltre perché individua una delle tendenze interpretative oggi più importanti e decisive nell'ambito di questiprocessisottolineandononsolo (e non tanto) la contrapposizione tra pubblico e privato ma. come vedremo. tra pubblico e polilico. Prima di affrontare però il percorso fra i testi qui scelti per la discussione. sarà utile delineare brevemente il problema che intendiamo affrontare e k ipotesi inizialiche vogliamo verificare. È opinione ormai diffusa sia nelk scienze sociali legate allo studio dei processi conoscitivi e culturali. sia nelle teorie sull'interazionismo simbolico o nelle analisi semiologiche dei codici comunicativi, che si debba sempre più parlare di costruzione sociale della cultura. dell'informazione, dei valori collettivi e degli universi simbolici (soprattutto a livello della vita quotidiana) piuttosto che limitarsi alla marxiana determinazione sociale del pensiero. Quest'ultima categoria interpretativa (che è stata peraltro anche distorta storicamente dalle varie tradizioni marxiste) porta inevitabilmente a concepire in modo univoco e meccanico i processi culturali e comunicativi come dominio inevitabile, come manipolazione storicamente necessaria, come «falsa coscienza». attuati dalla classe dominante e dagli apparati ideologici ad essa connessi per mantenere e riprodurre il proprio dominio. Sappiamo noi oggi invece che anche le classi subalterne più sottomesse, gli strati sociali più emarginati (potremmo azzardare proprio perché tali) hanno capacità di contrattare, mediare, subire adattando e influire reagendo su tutto ciò che viene in contatto con la loro soggettività, con un grado variabile ma reale di autonomia relativa: la costruzione sociale di un'idea, di una convinzione, di uno schema mentale o di una immagine della realtà attraverso i media è un prodotto collettivo, non è l'interiorizzazione automatica di un «comando» o la semplice accettazione passiva di una «verità astratta» - lo stesso discorso andrebbe fatto, in una direzione opposta, a proposito della nozione di coscienza di classe come processo acquisitivo univoco e irreversibile. Certo, a tale costruzione sociale contribuiscono con modalità e forze diverse i dominatori e i dominati. il centro e la periferia, il primo mondo e il terzo mondo, ma tale contributo collettivo è indispensabile non foss'altro perché i primi devono sempre più legittimarsi e i secondi devono appunto costituire l'oggetto (e il soggetto) di tale legittimazione e consenso. Di conseguenza anche i mass-media. gli apparati dell'informazione e i circuiti culturali devono essere visti in questa diversa prospettiva: da un lato strumenti ma anche luoghi mentali, dall'altro sfere di azione in cui il controllo sociale e le esigenze (che pure permangono) di manipolazione devono confrontarsi con l'insieme. attivo e spesso creativo. dei processi collettivi che i soggetti. gli strati. le classi realizzano quotidianamente. in tal modo condizionando o comunque delimitando gli effetti predeterminati. Si tratta allora di vedere come sia possibile affrontare il problema dell'opinione pubblica non come terreno residuale (o differibile) della lotta politica ma come luogo determinante per affermare e costruire processi di trasformazione sociale in società di massa come le attuali che non possono prescindere dalle dinamiche ideologiche collettive (consenso/dissenso, legittimazione/delegittimazione, pluralismo/unanimismo, ecc.) perché queste sono necessarie alla conservazione come al mutamento dello status quo, ed inoltre sono indispensabili per la realizzazione di qualsiasi ipotesi di trasformazione radicale che non sia regressiva. L'incapacità delle sinistre di «produrre opinione pubblica» in modo continuativo e non solo come semplice «effetto secondario» di lotte e movimenti anticapitalistici-come del resto è dimostrata la loro scarsa influenza, ad esempio, sull'orientamento politico delle testate giornalistiche anche nei paesi europei dove sono maggioritarie e al governo - è quindi legata in primo luogo a una concezione dell'informazione e dei meccanismi di formazione delle opinioni collettive che è oggi non solo discutibile ma soprattutto arretrata rispetto alle trasformazioni e ai processi in atto in tutte le società a capitalismo maturo. 11 primo passo che si deve allora compiere è quello di analizzare come è costituita la «sfera pubblica» e come ci si possa porre di fronte ad essa in modo critico ma positivo. È qui che il contributo di Negt e Kluge diviene assai importante: obiettivo della loro ricerca è appunto quello di studiare il rapporto conflittuale tra sfera pubblica borghese e possibili forme di «contro-pubblicità» proletaria. L'elemento iniziale più importante è di carattere definitorio: la sfera pubblica non è costituita solo da momenti istituzionali (apparati, sedi, strumenti, ecc.) ma è anche un «ambito di esperienza»: «da una parte riguarda pochi professionisti (per es. uomini politici. redattori di giornali. funzionari di associazioni); dall'altra però interessa tutti. in quanto si realizza solo nella testa degli uomini. quasi come una dimensione della loro coscienza» (p. 25). Ciò spiega perché la «pubblicità» è la forma storica di organizzazione dell'esperienza sociale collettiva: forma illusoria perché espressione di una «totalità astratta» - dicono Negt e Kluge - ma anche concretizzazione di un bisogno sociale. necessario fino a quando esisterà una «contraddizione tra la crescente socializzazione degli uomini e le forme ristrette della loro vita privata» (p. 25). Sulle possibilità concrete di produrre tale contro-pubblicità e sulle sue caratteristiche si possono avanzare molti dubbi circa le ipotesi di Negt e Kluge (è possibile ancora oggi individuare fasce di «cultura operaia> totalmente autonome?), cosi come discutibile appare la loro liquidazione troppo semplicistica di ogni intervento nella sfera pubblica borghese («appena un operaio entra nella sfera borghese, ottiene successi elettorali, prende iniziative sindacali, gli si presenta un dilemma: di questa sfera pubblica frantumata in puri strumenti può fare solo un uso 'privato'>. - p. 29). Resta però il fatto importante che per Negt e Kluge, anche in questa prospettiva di contrapposizione radicale, la sfera pubblica sia intesa non solo come istituzionalizzazione ma proprio come esperienza processuale (socializzazione, affermazione di interessi e bisogni, organizzazione), e quindi costituisca comunque per il movimento operaio un terreno assai importante di lotta, non riducibile solo alla rappresentazione politica o alla mistificazione ideologica: «in quei settori della società in cui si crea questa forma mista di interesse proletario e di norma organizzativa borghese. universale e valida ovunque, non si può più parlare semplicemente di sfera pubblica borghese. Essa vi si è perduta, anche se è ancora in un certo senso presente[ ...] A questo livello gli interessi proletari partecipano al movimento sociale. Qui non si dà solo l'apparenza, ma una partecipazione reale, cui possono riferirsi non solo gli apologeti dell'attuale sistema di potere, ma gli operai stessi; i quali possono a ragione vedervi realizzate alcune delle loro richieste, altre realizzabili nel futuro e, in linea di principio, già concesse. Questa supposizione da parte degli operai non è del tutto illusoria». (p. 83). Ma questa prospettiva di costruire un vissuto. un'esperienza e un'autorizzazione come «contro-pubblicità> è destinata ad essere incrinata anche da un altro fattore. che Negt e Kluge rilevano forse senza trame le dovute conseguenze: e cioè che questa sfera pubblica borghese o dominante non è più il reale punto di scontro. il luogo di mediazione o di controllo degli interessi. Oggi questo ruolo è infatti svolto soprattutto dal cartello dei mass-media. dal sistema di informazione e di circolazione dei messaggi. i quali non si limitano ad intervenire sulla sfera pubblica tradizionale, ma agiscono direttamente sul singolo individuo, sui suoi bisogni. sul suo ambito privato, sulla sua sensibilità. Infatti, secondo Negt e Kluge, il «cartello dei massmedia» o i «nuovi» mass-media (cioè la forma oligopolistica, concentrata e multinazionale assunta in questi ultimi anni dall'industria della coscienza) hanno due caratteristiche fondamentali: a) creano una nuova sfera pubblica. sovrapposta a quella tradizionale («accanto a un avanzato processo produttivo che crea solo l'apparenza della sfera pubblica. essi si sovrappongono alla sfera pubblica borghese classica sotto forma di nuove socializzazioni alla produzione [ ...] Eludendo il settore intermedio della sfera pubblica tradizionale[ ...] essi cercano le vie dirette che conducono alla sfera privata del singolo> - p. 20); b) pongono come oggetto della propria produzione il «nesso di vita>, l'esperienza complessiva degli individui («la materia di cui può costituirsi la pubblicità proletaria è esattamente l'oggetto su cui lavora il cartello dei mass-media> - p. 128). Ecco allora - e qui non seguiamo più l'analisi di Negt e Kluge - che il problema della sfera pubblica acquista una dimensione più articolata: da un lato essa si presenta sempre più come una compenetrazione di esperienze (anche antagoniste). come luogo di conflitti e di contraddizioni irresolubili; dall'altro però viene superata, surrogata da una «sfera pubblica rappresentata> che è quella prodotta dai mass-media. Tale sfera quindi non solo riflette i rapporti sociali ma produce immagini collettive (e quindi pratiche), e tende a presentarsi essa stessa come la «vera> sfera pubblica. Se è indubbiamente paradossale asserire che esiste solo ciò di cui i media parlano, non c'è dubbio tuttavia - come dimostrano infiniti esempi, dal terrorismo alla «crisi» al «riflusso>- che diventa gerarchicamente importante solo ciò che viene evidenziato da essi. Per tornare quindi alle ipotesi iniziali. possiamo dire che oggi l'opinione pubblica e la sfera pubblica non rappresentano più né il libero gioco degli interessi dominanti né la sede per lo scontro tra le due «pubblicità> (borghese e proletaria) semplicemente perché non sono più un luogo di mediazione sociale e politica. Tale ruolo è oggi in gran parte assunto dai massmedia e dall'industria della coscienza. in un contesto di relazioni tra sottosi- ~temi e funzioni sociali che più avanti cercheremo di chiarire. Ciò. ovviamente, non fa diminuire l'importanza dell'opinione pubblica come obiettivo strategico, ma porta in primo piano il tema dei «fondamenti di una teoria socialista dei media>, di cui ha parlato Enzensberger alcuni anni fa. dando ad esso però un esito diverso: il problema non è solo di sapere chi manipola (se Loro o Noi). ma è quello di comprendere cosa succede quando si manipola e quali conseguenze produce tale azione. Bisogna infatti domandarsi in primo luogo cosa ~ignifichioggi intervenire in un settore centrale come quello dell'industria della coscienza a partire dalla funzione ~ociale che svolge. e quali rapporti si ~ono venuti costruendo tra questa. gli apparati produttivi. l'ambito politico e le forme di coscienza collettiva. P ~ssia~o allo~a por~e_l'interro~- uvo m questi termm1: come utilizzare l'informazione e i massmedia per produrre una opm1one pubblica democratica e progressista? La domanda richiede due percorsi di risposta separati: il primo concerne la natura storica dell'ideologia dell'io-
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