Angelo Maria Ricci - Elegie ed epicedi

98 E si finge in immago il caro volto, · · E a lui parla, e vagl1eggia il ben perduto, Che tacer non si puote amando tnolto. . . . ' E se freme, e SI cructa, e se p1u acuto Si fabbrica il suo duol, più si ristora Pagando ad altri e a se largo tributo D'amarissime lagrirne, che fuora Sgorga, versando la sua doglia interna; Poicl1è muto il dolor più ne addolora. Quindi è che pegno d' amicizia eterna A te, mio dolce arnico, offro col pianto La deplorata irnmagine fraterna Di lui, che dir non ti saprei, ·se tanto 'folto a te, tolto a noi sia stato, o al Mondo, Che lo vide passar qual per incanto; E che all'argivo Fidia fu secondo, Sol perch è dopo lui comparve in terra, Ma in seco~ più sdegnoso e rnen fecondo. ; ' E t"icbian1ollo il ciel, per è h è fea gu~rra Forse agli arcani suoi, qui divt1lgando ' Quel Bello eterno che lassù si serra. ( Nè _per secreta arnhizlon ti mando D' attingerne l'idea, l' in1magin cara, _ Ma per gi1.. nostra penà ··allev·iando: ·

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