Angelo Maria Ricci - Elegie ed epicedi

106 E piangendo amhidue, giurai con essa Tacer, cl1è io non potea vate infelice Espritner t utta la rni a doglia stessa. Ma perchè nul la a Te negar n1i lice , Cui dier le Muse a maggior volo alzarse, l F arò con1.e colui che piagne, e dice. E la 1nesta Elegia prego che sparse Nuovaxn.ente le chiome al ciel sen vada l Con qualcun de'-t Celesti a lan1entarse. E se talun per la cerulea strada Ne incontri, che quaggiù scenda, chiamato Da l compianto che assorda ogni contrada, Si quereli con lui del nostro fato, ( Sia Nume, o Semideo) che a noi sia tolto Chi fede a noi facea del loro stato; Sia cl.~;e mostrasse in tesi nervi accolto l l valor vero col valor dell ' arte, O la virtù più bella in vago volto. E s' Ercole rincontri, o Perseo, o ·l\'Iarte, O Teseo, o Adone, o Endirnion, cl1e fòro Sì chiari in bronzi, in marini, in tele e in çarte, Gl ' inviti a rin1irar la gloria loro, Chè un ' altra volta l' italo scarpello Di vinizzògli nel divi n lavoro~

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