Una città - anno V - n. 39 - marzo 1995

di scuola Passare da lontano per ritrovare le storie di casa propria, per imparare ad ascoltare e per riscoprire l'essenzialità della sopravvivenza e della materialità del vivere. L'ospitalità che stiamo perdendo e la ricettività del bambino verso chi viene da lontano. La velocità nemica dell'atto educativo e l'importanza dell'atto teatrale. Intervista a Franco Lorenzoni. , Franco Lorenzani è maestro elementare a Giove, in provincia di Terni, è esponente dell'MCE, Movimento Cooperazione Educativa. Ha scritto il libro Ospite Bambino, edizioni Theoria. Da dove nasce l'esperienza che racconti nel tuo libro "Ospite bambino"? Nasce da un gruppo che nel 1980 ha costruito la casa laboratorio di Cenci. Si tratta di una struttura autogestita, dove ospitiamo sia classi di bambini, sia insegnanti che fanno corsi di fonnazione, sia attività teatrali e artistiche. In questo ambito abbiamo ospitato molti gruppi provenienti da vari paesi del mondo: dalla Colombia, dal Marocco, dall'India. In questo mio lavoro spesso si è partiti dal mettere in rapporto le diverse culture partendo dal discorso dell'arte. E così ho pensato che anche con i bambini delle elementari si poteva partire da lì per affrontare un nodo che, dal punto di vista sociale, sta diventando sempre più attuale, cioè la capacità di convivere con la diversità quando assume l'aspetto del lo straniero a casa nostra. Questo mi sembra un problema che non si può non affrontare anche con i bambini. Que~to libro, Ospite bambino, racconta un'esperienza che io ho fatto negli ultimi tre anni nella scuola elementare di Giove, un piccolo paese umbro. Dopo parecchi anni in cui mi ero occupato di educazione ecologica - partendo dal presupposto che ormai i bambini in Italia hanno un rapporto con la natura totalmente mediato, e quindi perdono l'enorme possibilità di conoscenza data dal rapporto diretto con il cielo, con l'acqua, con la terra, con gli elementi primi- mi sono accorto che, su questo argomento, suggerimenti molto profondi ci possono venire da altre culture. C'è chi ha scritto che viaggiando e emigrando in qualche modo bisogna inventarsi la propria identità, un nuovo modo di sentirsi parte del mondo. E credo che trovare un nuovo modo di sentirsi parte del mondo non riguardi solo chi viagg'ia, ma anche chi riceve persone che vengono da altre parti del mondo. Aggiungo subito che, secondo me, sul piano della capacità di incontro con altri, con diversi, noi siamo, in Italia, veramente quasi analfabeti. L'esperimento a cui sto lavorando insieme con altri insegnanti, soprattutto del movimento di cooperazione educativa del quale faccio parte da anni, è quello di capire cosa può aiutare i bambini ad aprirsi a chi viene da lontano, a chi vive lontano da noi. La mia programmazione per I' intero anno, in una quarta elementare, MUSTIOLA NEGOZIO AFFILIATO era indicata con una sola frase: "accorgersi che il mondo non è solo il nord del mondo". Cioè mi piaceva l'idea che i bambini potessero rendersi conto che non esistiamo solo noi, né solo il nostro modo di vivere, né solo il nostro modo di pensare. L'occasione per rendere concreta questa idea mi è venuta da un viaggio che ho fatto in Guatemala a seguito di un'offerta di lavoro nel1'ambito della cooperazione, in un programma delle Nazioni Unite. Là tenni un piccolo corso con inse- .gna~ti del luogo. Quando sono partito ~o portato con me il libro di Rf.goberta Menchù, e più andavo avarHi nel libro e nel viaggio e più mi sentivo veramente sconcertato dall'idea che io potessi in qualche modo fare qualcosa per loro, tale era la distanza, la gravità delle cose che erano appena accadute lì. In Guatemala c'è stato negli anni '80 un vero e proprio genocidio, se ne è parlato poco ma ci sono stati centomila morti. Devo dire però che arrivando lì, cominciando a lavorare con i maestri -sarà stato forse per il fatto di fare lo stesso mestiere- c'è stata una possibilità di dialogo e di confronto sull'esperienza davvero insperata, molto bella, molto significativa, e da qui è nato un po' il mio amore per questo paese. le piramidi Maya nella piazzetta di un paese umbro Credo che la conoscenza, il fatto di provare amore per un luogo, la sua gente e la sua cultura, sia un fatto fondamentale per trasmettere quel tipo di valori che a me piacerebbe trasmettere ai bambini. E quindi, tornato da questo viaggio in Guatemala abbiamo fatto con i bambini di una quinta elementare un lavoro, per un anno che era essenzialmente una grande manovra di avvicinamento: come si può immaginare in Umbria la cultura maya. E lì è stato interessante il fatto che ali' inizio pensavo che avrebbero colpito i bambini molto di più gli oggetti, le immagini, le diapositive, i vestiti tradizionali, gli oggetti per cucinare, in realtà quello che veramente ha parlato ai bambini è stato il libro di Rigoberta Menchù. lo e i diciannove bambini di quella classe abbiamo letto, in quinta elementare, cosa per me tuttora miracolosa, l'intero libro, 300 pagine, appassionandoci straordinariamente a questa storia. Questo deve far molto riflettere perché si dice sempre che i bambini non leggono più, non possono leggere, non sanno leggere. C'è da dire innanzitutto che questo libro ALIMENTI NATURALI di PATRIZIA FERRARA viale II GIUGNO, 62 tel 53063 Prodotti freschi (pane, biscotteria, torte, pi:z:ze, eccetera) e confezionati frutta e verdura biologica alimenti macrobiotici integratori alimentari - . 12 UNA CITTA' ha una qualità straordinaria: è un libro orale, cioè un libro scritto da un'analfabeta ... Mi viene in mente Elsa Morante quando dedica La Storia all'analfabeta per il quale scrive, questo paradosso ... L'avete letto ad alta voce insieme in classe? No, abbiamo letto alcune parti ad alta voce insieme in classe, e altre parti loro le leggevano a casa. Mi piacerebbe imparare a leggere i libri scritti dagli analfabeti perché sono convinto che nel mondo esistono una quantità straordinaria di storie che solo adesso purtroppo qualche editore, come Giunti, sta raccogliendo. Spero che lo facciano sempre di più, che ci siano persone che raccolgano questi testi provenienti da paesi in cui la letteratura è quasi completamente sconosciuta, perché io sento che questi testi parlano veramente un linguaggio tale che può essere recepito dai bambini. Questa lettura del libro della Menchù mi ha molto colpito, e sono convinto che lì è successo qualcosa che ha a che vedere in qualche modo con una cultura profonda che non è del tutto scomparsa. Tutti questi miei bambini di Giove sono assolutamente parte della piccola borghesia arricchita di questo nostro paese televisivo negli anni '80 e '90, però basta andare due generazioni indietro, basta risalire ai loro nonni e in realtà si scoprono cose molto divertenti. Per esempio noi abbiamo intervistato a lungo con i bambini di questa classe una vecchia di Giove che si chiamava Fiorina, -è morta la settimana prima di co~piere 100 anni- che ci ha raccontato tantissime storie, e in particolare proprio di rapporto con la terra, che somigliavano incredibilmente a quelle dei Maya in Guatemala oggi. Ad esempio il mangiare qui in Umbria, io non me lo sarei mai aspettato, era praticamente a base di tortillas e frijoles, cioè di mais e legumi, la farina di mais mischiata alla farina di grano ... Persino a livello di alimentazione dunque, oltre che di molte credenze e di una certa spiritualità legata al lavoro materiale della terra, la vecchia cultura contadina umbra e quella maya si riecheggiavano. E questo è stato un altro grande insegnamento per me, cioè il fatto che paradossalmente siamo dovuti andare fino in Guatemala per riuscire ad ascoltare i nonni di Giove, gli antenati umbri. Cioè, questo viaggio di andata e ritorno per noi è stato molto interessante perché in qualche modo ha avvicinato i bambini a qualche cosa di cui non si parla più, che è sostanzialmente la povertà, cioè un tipo di vita in cui il legame con la materialità della terGROUP INTERNATIONAL ra, della fatica fisica, del raccolto chec'èeche non c'è, degli animali, della loro preziosità, è qualcosa che ovviamente a un bambino di oggi risulta inimmaginabile e che per me invece costituisce un valore chiaro per capire qualcosa della cultura, come nasce e a cosa si radica. Un lavoro che avevamo fatto negli anni precedenti e che racconto anche in questo libro, riguardava la grande difficoltà che noi abbiamo di accorgerci della materialità della nostra vita, cioè di che cosa davvero è essenziale, indispensabile . Abbiamo fatto un gioco inventandoci un'isola deserta da abitare, un'isola in cui dovevamo portare delle cose per sopravvivere, ed è interessante quanto ormai è lontano per i bambini rendersi conto che in ultima analisi la terra è fondamentale per l'alimentazione, il sole è fondamentale, l'acqua è fondamentale ... l'educazione riguarderà arte e artigianato Siamo in una situazione contraria a quella di Robinson Crusoe: Robinson doveva inventarsi tutte le cose che un po' gli ricordavano la sua civiltà e si costruiva piccole tecnologie per sopravvivere. Noi forse dobbiamo fare un'opera di scultura, cioè togliere tutto quello che non è essenziale per arrivare al nocciolo, che comunque è il nocciolo della sopravvivenza. L'educazione prima o poi dovrà affrontare di petto questo nodo, perché se vogliamo guardare al mondo come a un unico insieme, come a un unico spazio ecologico nel quale dobbiamo sopravvivere in cinque miliardi, in dieci miliardi di umani noi dobbiamo sicuramente cambiare radicalmente alcune cose forse nell'arco di un paio di generazioni, e bisognerà pure cominciare a costruire la cultura per questo cambiamento. Ecco, credo che la cultura di questo cambiamento passa anche per accorgerci che le altre culture non sono solo più povere di noi, non hanno bisogno di carità o di pietà, ma forse hanno bisogno di ascolto, e soprattutto noi abbiamo molto bisogno di ascoltarle. Questo è un punto su cui sono tornato tante volte con i bambini e a cui i bambini possono essere ricettivi se li si aiuta a compiere questo viaggio. Un altro aspetto del mio lavoro è quello che chiamo "dell'ospitalità"; cioè io penso, -come molti ho un'esperienza di lotta politica negli anni '70, fatta di grandi speranze in rapide trasformazioni socialiche l'educazione nella mia storia FORLI' P.zza del Lavoro, 30/31 Tel. 0543/31363 Fax 34858 Corriere Executive: già consegnato. personale sia stata un bellissimo vaccino contro le scorciatoie, perché l'educazione sempre ci ricorda quanto qualsiasi trasformazione dell'uomo che voglia essere profonda, duratura, debba fare i conti con le radici, debba fare i conti con la complessità delle relazioni, e devo dire che io sono felice di essermi salvato da una certa distruttività sfruttando questo terreno del- ! 'educazione, incontrando tutti i bambini con cui lavoro da dieci anni e sono molto felice di avere avuto questa fortuna di poter lavorare con loro ... Dicevo che un tema per me molto importante, e che forse è uno dei valori che mi è rimasto di quel tempo, è il valore del!' ospitalità; io sento che in Italia stiamo diventando un paese sempre meno ospitale, lo avverto epidermicamente da come si comportano le persone, da come ci comportiamo persino noi nella nostra vita privata. Qui a Cenci abito da 15 anni in una casa di campagna che è molto grande, e sono felice che sia molto grande perché passano persone, ci sono incroci, intrecci. Anticamente l'ospite era sacro, forse era sacro perché si aveva paura di ucciderlo e quindi bisognava circondarlo di una sacralità che lo proteggesse, e comunque questo valore sacro dell 'o spi tal ità per me è una cosa importantissima; penso che se le nostre città, e quindi gli amministratori delle nostre città, si rendessero conto che bisogna creare dei luoghi in cui resista la sacralità dell'ospitalità, cioè in cui chi viene da lontano ha modo di raccontare delle storie e di essere ascoltato, sarebbe un grande valore culturale recuperato. Dei racconti mitici, dell'Odissea, mi piaceva tantissimo questa idea: quando arriva l'ospite tutto si ferma, c'è la festa ... Tutto si interrompe perché se qualcuno è arrivato da lontano bisogna ascoltarlo, è al centro, diventa il cuore della vita in quel momento. Se anche oggi tutto questo fosse visto come una ricchezza e non come un pericolo, come una possibilità di guardare da tanti punti di vista le cose, come tante inedite e inaudite possibilità di confrontarsi fra diversi, penso che tutti noi respireremmo un'altra aria. Solo sul terreno della musica accade qualcosa di questo tipo, per esempio tra i giovani c'è molta più ricettività, contaminazione ... però sono terreni molto limitati, in realtà continua ad esserci la grande paura dell'altro, la paura del diverso. Da questo punto di vista io penso che l'arte abbia una grandissima funzione, per cui dico sempre che l'educazione riguarderà l'arte, l'artigianato e non la scienza o la pseudo scienza dei pedagogisti; se per esempio noi abbiamo potuto lavorare sul libro di Rigoberta è perché quella è arte, quel racconto è diventato letteratura, è diventato possibilità di rendere universale una storia molto particolare. E ritornando ai bambini bisogna dire che non sono di per sé più aperti al diverso; il bambino vive in una fase in cui il confronto con l'altro, la differenza lo inquieta perché è in un'età in cui la formazione della propria identità è ancora precaria. Però il bambino, equesta è una cosa molto bella del!' infanzia, non ha ancora strutturato i pregiudizi in modo così rigido, quindi cambia opinione facilmente, può rimettere in discussione le cose che ha pensato, gioca liberamente con la mente molto più di noi, e nel nostro lavoro l'ho potuto verificare tante volte. Voglio fare un esempio: abbiamo fatto un lavoro in cui ci siamo molto divertiti perché abbiamo costruito in una piazzetta del paese di Giove delle piccole piramidi maya, delle piramidi che indicano i solstizi e gli equinozi, una specie di grande calendario. Una cosa molto carina perché poi ha anche partecipato la popolazione del paese. Abbiamo costruito queste quattro piramidi, perché in realtà questo era un sapere maya e noi dicevamo "perché non lo utilizziamo anche a Giove? In fondo è un modo di guardare il tramonto, è una bella cosa ...". Paradossalmente i bambini della scuola Gordillo, cioè la scuola con cui siamo gemellati, una scuola di una regione montuosa nel nord del Guatemala, dopo che noi avevamo costruito queste piramidi, anche loro nella loro scuola le hanno costruite, ed è successo questo paradosso, cioè che un sapere degli antichi Maya ha dovuto attraversare due volte l'oceano, di nuovo lunghi viaggi, andata e ritorno, per tornare a casa. Quello di cui mi sto convincendo sempre di più è che bisogna trovare i modi in cui le storie circolino di più. L'incontro con la diversità comporta arricchimento, ma occorre dire che richiede anche fatica e impegno. Incontrare chi è diverso è una fatica, una grande fatica, non è una cosa semplice, eppure è una fatica che può produrre molto, può produrre apertura. Quale bagaglio è necessario avere per avvicinarsi a un'altra cultura, questo è un tema per me apertissimo e su cui mi piacerebbe discutere un po' con tutti. C'è una bella immagine che una volta mi hanno raccontato in Sardegna; per orizzonte io intendo sempre la linea che separa e unisce il cielo e la terra, ma si chiama orizzonte anche tutta la parte di terra che serve all'albero per dare alimento alle sue radici, è come se ali' orizzonte esterno corrispondesse un orizzonte interno, nascosto, che è il luogo del nutrimento. Allora, per usare una metafora, io penso che per allargare i nostri orizzonti esterni, per incontrare chi vive lontano da noi, chi canta in modo diverso, chi pensa in modo diverso, chi prega in modo diverso, chi sogna in modo diverso, credo dobbiamo allargare le radici interne, fare in qualche modo un lavoro sulla nostra sensibilità interna. lo ho un po' l'illusione che c'è qualcosa di umano che ci può mettere in comunicazione con tutte le altre culture, non so se è un'illusione o un desiderio, però bisogna scavare dentro. Quando abbiamo costruito queste piramidi con i bambini, un giorno è venuto un mio amico in classe e a un certo punto lui ha domandato se queste piramidi erano sacre, e allora tra i bambini è nata una discussione molto appassionante sul fatto che per i maya erano sacre e per loro no. C'era tutta questa discussione abbastanza divertente sui modi diversi di vedere, e a un certo punto Eleonora ha detto "però se stiamo parlando di cose loro, noi dobbiamo rispettare il loro punto di vista". perdendo nomi e storie, tutto diventa uguale E' una frase semplicissima, detta da una bambina di quinta elementare, però per me è stata veramente una scoperta educativa; cioè lei quasi eticamente ha sostenuto l'idea che se tratti un argomento che riguarda la vita, la cultura, il pensiero di chi è diverso da noi tu devi interpretarlo rispettando i suoi riferimenti culturali. Questo è il segno di una sensibilità che si può avere, Dovepuoi trovare: GAIA Erboristeria, Alimenti naturali, Verduredemeter e biologiche, Prodottifreschi, Fitocosmesi In un nuovoampio locale in via GiorgioRegnali,67 - Forlì tel. 0543-34777

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