Una città - anno III - n. 28 - dicembre 1993

un mese di un anno Se si dovesse scegliere un 'immagine per ricordare il '93sicuramente sarebbe quella che ritrae il ponte che non c'è più. A Mostar. Quel crollo ha già fatto dimenticare l'altro, di tre anni fa, quello di un muro costruito per tenere divisi. In questo numero si discute apertamente, ed è giusto così, se sia un bene mantenere l'unità d'Italia. Ma che la divisione a noi sembrerebbe una iattura tristissima, anche nel caso potesse avvenire senza spargimenti di sangue e distruzioni, lo vogliamo dire. Girando per questo numero, da Mirafiori a Napoli, dal ghetto romano ai carrugi genovesi, abbiamo fatto presto a riscoprire che l'Italia è bella perché varia. E che le differenze possono essere ricchezza ce lo spiega Sini nella sua intervista, dove ci suggerisce anche che a unirci intimamente sono stati cattolicesimo e pittura. Allora? Alla fine, al di là di tutti i pro e i contro più o meno razionali, resta la sensazione che si rischierà di dividersi solo perché sant'Ambrogio preferisce non sanguinare alla sua festa. Ne varrà le pene? Nel nostro piccolissimo cercheremo di andare in giro, restando fedeli, così, all'intento originario di fare un giornale "vario". Non abbiamo "linee", ma vogliamo coniugare duf! sentimenti che si guardano reciprocamente: la curiosità per tutto ciò che ci circonda con la cura di ·se, della propria libertà intellettuale, voglia di amicizia e spirito cooperativo. Auguri a tutti. E viva l'Italia con tutti i suoi ponti. I.A FATICA DI POLI Riparare le strade va bene se serve a ristabilire un senso comunitario. La grande novità dell'associazionismo. La priorità dell'istruzione, vera base di ogni sviluppo economico. Intervista a Cesare Moreno. Cesare Moreno, da sempre impegnato nella realtà napoletana, è maestro elementare ed esperto dei problemi de/- l'infanzia e de/l'istruzione. I risultati elettorali potrebbero far dire" A Napoli sono diventati tutti fascisti". Com'è in realtà la situazione? Forse la cosa più interessante è dire che la Mussolini ha avuto successo, come del resto è già capitato con Bossi, perché è esattamente al livello dei suoi elettori: la sua stupidità e insipienza, invece di essere un fatto negativo, per certe persone è diventato un pregio. Ma c'è stata anche tanta gente che ha detto "Beh, in fondo questa è più cretina di me" e non l'ha votata. Se questo è vero allora non è questione di fascismo e antifascismo: semplicemente c'è stata gente che si è resa conto che con i discorsi solo "contro", generici, non si va avanti. La ragione del successo della Mussolini è che c'è una fetta della città che è fatta di gente che vive al di fuori di qualsiasi regola, persone che si basano su rapporti elementari di forza, di prepotenza. E' una realtà estremamente diffusa e quando uno fa il prepotente tutti i giorni, un po' per vocazione un po' pernecessità, e si afferma non per cultura, ragionamento, modo di affrontare i problemi, ma per la capacità di imporsi, poi non si vede perché non dovrebbe votare per chi si presenta con gli stessi atteggiamenti. E la cosa grave non è che abbiano votato la Mussolini, è che sono così tutti i giorni. Di fascisti ne incontriamo tutti i giorni, il problema è che ne incontriamo molti di più di quelli che hanno votato per lei, li incontriamo anche schierati da altre parti. Di gente profondamente autoritaria, incapace di affrontare i problemi e di avere un rapporto umano positivo con gli altri ce n'è tanta. Inoltre, in questa città le barriere di classe, di cultura, addirittura fra "zone bene" e "zone male", sono fortissime. Ci sono almeno due città, forse anche di più, ci sono dei ghetti interni e la capacità dei fascisti è stata quella di riuscire a pescare in entrambi i ghetti, in quello dorato e in quello miserabile, senza farli entrare in contatto. Li mettono uno contro l'altro, dicendo cose diverse agli uni e agli altri ... Secondo me, però, la preoccupazione vera non deve essere per i fascisti, ma per il fatto che c'è troppa gente che sta fuori da tutto. Una fetta notevole dei napoletani, più del 30%, è priva di ogni forma di rappresentanza, il che significa che è gente che non ha speranza, neppure speranze distorte come quelle che offriva il clientelismo. Praticamente è il dramma di una città in cui il 30% si è schierato, senza grandi entusiasmi, per un qualche cambiamento, per il meno peggio, e l'altro 70% è fuori; è fuori perché conduce una vita che impedisce ogni possibilità di discorso. Se le cose stanno così, allora qualunque sindaco è votato al disastro. Non qualunque sindaco, ma qualunque sindaco che non assuma questa questione come problema principale. Non è che ci sia semplicemente da ricostruire un'amministrazione che non è mai esistita, qua bisogna ricostruire le regole elementari di convivenza. La vera novità, la speranza, sarebbe stata una persona che avesse saputo produrre un discorso centrato su questa ricostruzione civile, che avesse messo insieme gruppi e persone su questo tema. Queste elezioni sono state senz'anima perché, quando si vive in una città in cui tutto è distrutto, dove per fare un chilometro di strada bisogna fare una gimkana tra buche che se ci vai dentro ti si scassa la macchina e ti rompi tutto pure tu, chi è che non dice che bisogna tappare le buche, che bisogna aggiustare gli autobus? Poi ci sono delle cose che non sono scontate, cioè il come si esce da tutto questo: se con le grandi opere, i o grandi investimenti statali, cioè la linea che è stata dei ladroni, oppure se si esce con interventi più puntuali e mirati. Su questo ci sono le differenze, che non sono tanto fra progressisti e non progressisti, ma fra interventi efficaci o inefficaci. In una situazione del genere mettersi a costruire grandi autostrade, fare grandi investimenti è inefficace; non è di destra o di sinistra: non funziona. Invece fare del le cose più mirate funziona. Però, anche se ci si può distinguere un po' sulle soluzioni, fondamentalmente è l'obiettivo strategico che dovrebbe distinguere e l'obiettivo strategico è: lavoriamo per costruire una nuova convivenza nella città, un modo di star bene nella città, un modo di avere rapporti tra persone che sia degno di essere vissuto, altrimenti edifichiamo una città materialmente fatta un pochino meglio, in cui però si continua a star male. Ame il fatto che vengano eliminate le buche nelle strade interessa poi relativamente ... Nella Bibbia c'è un passo in cui si contrappone la città con le mura e le torri, la città chiusa dove è importante accumulare, dove gli uomini sono legati dal fatto che hanno un muro intorno, alla città della tenda, dove la comunità non è legata dal fatto di avere un muro intorno, ma dai vincoli tra le persone che sono più forti di un muro. Quindi il problema è: o la città come struttura fisica e produttiva, di servizi, di presenza dello Stato, o la città come comunità, come luogo di vita, casa comune. Ecco, la città come casa comune io non la vedo, nessuno ne ha parlato in queste elezioni, tanto meno i cosiddetti progressisti, invece a me interessava questo. Se la riparazione delle buche serve a ricostruire questo cemento tra le persone mi va bene, se invece serve soltanto a dire "abbiamo le strade senza buche·•, non che io sia contrario, però non mi interessa eccessivamente. La questione è che o si fa leva sulla possibilità che la gente riconosca che si sta costruendo il bene comune, oppure prevale la logica dell"'interesse generale", che è un processo di astrazione, di gestione astratta di un potere comunque distante perché non può mai essere espressione diretta della vita. Quindi bene comune, mete comuni, obiettivi condivisi: è un processo in cui si deve mettere al centro il modo in cui si arriva a stabilire le cose che possiamo fare insieme; invece nell "'interesse generale" il problema di come viene costruita questa cosa non esiste proprio. L'ipotesi di cui parli presuppone l'esistenza di elaborazioni specifiche e un tessuto democratico di associazioni, di gruppi di base ... Il problema è coniugare i rapporti sociali. "Coniugare" significa, letteralmente, "mettere sotto lo stesso giogo", cioè congiungere la gente: questa è una cosa che non può essere elaborata e poi calata nella realtà. E' qualcosa che o viene prodotta direttamente nei rapporti sociali quotidiani oppure non c'è. Cose di questo genere circolano da decenni, ma sono rimaste nella letteratura sociologica, e non a caso perché non c'è nessuna forza politica e culturale che le abbia fatte proprie in un modo profondo, attivo. Queste ipotesi adesso cominciano a circolare nel nuovo associazionismo, quello che pone al centro il bene comune a partire dai rapporti fra vicini, dalla conoscenza diretta delle persone che si organizzano e che cercano di avere nuove forme di rappresentanza. Da questo punto di vista a Napoli c'è movimento, molto di più di quello che si racconta o di quanto noi stessi sappiamo. E' un movimento che spesso non ha i mezzi culturali e la forza per affermare la propria indipendenza, ed infatti -cosa che a me è dispiaciuta molto, ma era inevitabile- in queste elezioni c'è stata una chiamata a raccolta di tutte SUPERMERCATI queste organizzazioni e praticamente tutti, con pochissime eccezioni, hanno accettato che l'essere rappresentati in politica passasse attraverso l'affiliazione di partito, cosa che, secondo me, è completamente sbagliata. La cosiddetta "società civile" è un'astrazione, un guazzabuglio che non esiste. La "società civile" o è l'organizzazione concreta dei cittadini che lavorano per mete comuni, per obiettivi condivisi, oppure è un'astrazione con cui ci si sciacqua la bocca. E avere un'organizzazione del la "società civile" significa che queste organizzazioni fanno il loro mestiere, cioè sono contrapposte -non in senso strategico, ma perché sono "altre" dall'organizzazione politica o produttiva-ed ognuno fa la sua parte. Invece, purtroppo, continua ad esserci una logica che confonde luoghi diversi. Il cittadino deve fare il cittadino, l'amministratore deve amministrare, il politico deve fare il politico, quando si confondono questi ruoli chi ci "scapita" è sempre il più debole, e il più debole è sempre il cittadino. Io sono intervenuto nella campagna elettorale per propagandare esattamente a questa idea. Tra l'altro, abbiamo fatto un convegno intitolato "Napoli per le generazioni future", che era stato preparato a giugno, in tempi non sospetti, quando neppure si sapeva che l'amministrazione sarebbe caduta, ed era stato preparato proprio come strumento di battaglia culturale nei confronti di qualsiasi amministrazione pubblica di Napoli. E così il problema dell'infanzia, della scuola, dei giovani, è stato presente nella campagna elettorale, in controtendenza rispetto alla città perché nei sondaggi di opinione il problema del traffico riscuoteva, come priorità, 1'80% dei consensi, mentre il problema della scuola solo il 3%, sebbene la scuola a Napoli sia ridotta malissimo. Alla fine si sono concentrate su queste posizioni ben dodici organizzazioni, culturali e di insegnanti, che si sono unite proprio dicendo "Vogliamo avere con la futura amministrazione un rapporto da cittadino ad amministrazione, non un rapporto di sudditanza strumentale". Questo dovrebbe essere un modello del come i parti ti possano rapportarsi con la società civile: il partito dovrebbe essere ridotto ai minimi termini e le cinghie di trasmissione devono essere semplicemente tagliate. Si pensa, soprattutto a sinistra, che il tessuto democratico e lo sviJuppo culturale della società meridionaJe ci saranno solo se si risolverà il problema dell'occupazione. E' così? Il processo di organizzazione di cui parlavo c'è nonostante la debolezza del tessuto produttivo, anche perché le forme di organizzazione sui diritti dovrebbero largamente prescindere dall'occupazione. In altre parole: un disoccupato ha diritti civili? La risposta, ovviamente, è sì, però nella pratica quel che si è detto, e che c'è nella testa della sinistra, è che prima viene la produzione, che si porterebbe dietro lo sviluppo culturale e della società civile. E si dice, altra banalità, "Con lapancia vuota non si ragiona bene". E' vero, però è altrettanto vero che, se per treni' anni non ho ragionato e improvvisamente mi trovo davanti ad una tavola imbandita, il fatto di riempirmi la pancia non mi riempie il cervello. Quindi i diritti civili devono essere esercitati e ci deve essere un'azione per rivendicarli insieme ai diritti produttivi, forse prima ancora. Se negli anni passati la questione dell'istruzione fosse stata messa al centro, innanzitutto come strumento per la dignità e la sovranità del cittadino, non si sarebbe certo eliminata la disoccupazione, però forse si sarebbe eliminato un modo passivo, negativo, di porsi di fronte al problema della disoccupazione. Se si va a vedere la storia dei paesi che, sia nel passato LA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - 1TALV Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 -== GRUPPO ~ ORW'FZ/.A l J L

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