Una città - anno III - n. 28 - dicembre 1993

proble111i di confine .. OLTRE L'EUTANASIA E' già così difficile vivere ed è diventato un problema anche morire: l'eutanasia sta inquietando la coscienza europea. La "buona morte", paradossalmente un augurio per tutti, sta dividendoci l'anima; speriamo questa volta di non doverci distinguere secondo le segreterie dei partiti o richiamandoci ai costumi degli altri Paesi avanzati: non sempre il reale è razionale ed il razionale è reale. Si parla di "cultura di morte", ma parrebbe piuttosto un sentimento di compassione a smuoverci su queste leggi. E' addirittura un improperio assimilarla alla "cultura" nazista: che c'entra? Qui proprio al contrario è in gioco semmai il rispetto della libertà personale. Più semplicemente e senza retorica si potrebbe invece pensare che non sappiamo più integrare nella nostra mentalità occidentale il mistero della morte; ne abbiamo perso il senso della sacralità. Del resto, se la vita è un "caso" della biologia e non una grazia di un Amore infinito, anche la morte diventa l'inevitabile finire e non un inizio e un incontro: più ampia la libertà dell'uomo che allora può decidere come morire, ma anche più freddo e disperante l'evento della morte. Come se l'uomo perdesse in profondità quanto guadagna in estensione; perdesse in senso quanto guadagna in libertà. A proposito dell'eutanasia, si può dire che il principale problema non è tanto quello della libertà e nemmeno quello del dolore che si può diversamente affrontare, quanto quello del valore della vita: giustamente ha affermato Herbert Cohen, proprio il propugnatore dell'eutanasia in Olanda, che non è questione di sofferenza, quanto di dignità del morire. Ma chi soffre perde di dignità? Dipende da come sappiamo vedere il dolore e "sorella morte". Anche la pietà di chi vorrebbe acconsentire all'eutanasia, in fondo si farebbe anche più grande se divenisse com-passione, condivisione paziente di un cammino doloroso; accompagnare il morente che soffre, più che affrettargli attivamente la fine. L'eutanasia è un problema dei vivi; i primi ·ad essere chiamati in causa con la loro pazienza e responsabHità. E si tratta di una responsabilità che viene da lontano, da molto prima del momento della morte; si tratta in effetti di una responsabilità sociale e politica: perché siamo così in ritardo sulle ricerche della terapia contro il dolore? Non si vuole scansare il problema dell'eutanasia, buttando le cose in politica, come si diceva una volta; ma non si può mascherare con l'umanissimo senso di pena per i morenti, le nostre trascuratezze passate: abbiamo speso i soldi per ben altri scopi che la politica sanitaria. Oggi, "straziati" diciamo che l'unica terapia è la morte. C'è una cattiva coscienza sociale. Non è polemica se, come ha rilevato Giovanni Berlinguer, con tanto di dati statistici, laurearsi è campare di più; come dire, medicina per i ricchi e eutanasia per i poveri. Con tutto ciò, non ci si può nemmeno esimere dal problema concreto: se talvolta l'etica umana ha ammesso in passato la liceità del dar la morte (legittima difesa, guerra, pena di morte) perché non potrebbe acconsentire anche in questo caso, in cui dopo tutto è in gioco la compassione? Il vitalismo etico (la vita come valore assoluto e intoccabile) sembra insostenibile e contradditorio. E' piuttosto la coscienza della sacralità della vita -comunque venga poi intesa questa sacralità- che offre il fondamento assoluto all'indisponibilità dell'esistenza umana. Senza per questo obbligare accanimenti e insistenze disumane, che sarebbero positive inflizioni di dolore, poiché la persona è più importante della vita e lasciare morire non è uccidere. Si può discutere su questa distinzione, che può anche apparire un'astuzia moralistica; ma non ci si può oggettivamente sentire responsabili della tragedia della morte naturale. Si possono pretermettere strumentazioni e interventi straordinari e lasciar morire. Sta al paziente, lucido e consapevole, decidere su intervento o rinuncia; le cure gli vengano offerte con spirito di misericordia e quindi rispettando le sue scelte che, essendo soggettive, ammettono anche varietà di giudizio. Oltre l'eutanasia, c'è spazio per una libertà che non compromette il valore del vivere e del morire; l'alternativa ci avvierebbe invece in un processo entropico dell'etica sociale di cui sconteremmo inevitabilmente il peso: tutto si tiene. Altre scelte siamo chiamati a compiere in una logica diversa: evitare le morti premature, migliorare l'assistenza e lenire il dolore, compiere opera di giustizia sociale verso i malati. Sergio Sala CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' SOFTWARE - SYSTEM HOUSE CENTRO ELABORAZIONE DATI CONSULENZE INFORMATICHE CONSULENZE DI ORGANIZZAZIONE CORSI DI FORMAZIONE Soc. Coop. a r.l. Via A. Meucci, 17 - 47100 FORLI' Tel. (0543) 727011 Fax(0543)727401 Partita IVA 00353560402 L'IRRIDUCIBILE LIBRO Osservava Jorge Louis Borges in uno dei suoi paradossi, che le mappe, per conformarsi esattamente al territorio da rappresentare, avrebbero dovuto coincidere, alla fine, col territorio medesimo. E' questo in effetti, il limite ideale, l'asintoto al quale da sempre tende la curva di ogni scienza cartografica, di ogni morfologia: descrivere spazi sempre più vasti, sempre più minutamente affondare l'occhio nel particolare infimo ed elevarlo ad abbracciare il panorama d'insieme. Ma se la terra è luogo grande e vario, e se nei secoli legioni di febbrili esploratori si sono affaticati a tracciarne i confini, altrettanto può dirsi di quegli ardimentosi- pur meno inclini ai disagi del viaggio- che su un'altra frontiera, quella interna, avevano deciso di disporsi. Così, accanto alle incerte mappe dei cartografi del cinquecento, compare un'opera straordinaria, che inaugura per metodo, precisione ed eleganza l'epoca della moderna anatomia umana: nel 1543 con il De humani corporis fabrica Andrea Vesalio splendidamente dà conto dello stato d'una conquista dell'uomo che niente ha da invidiare alla conquista del mondo compiuta dagli altri- a noi più noti- sulla rotta delle grandi esplorazioni. Così per un Colombo un Leonardo, per un Vasco De Gama un William Harvey, per un Livingstone un Camillo Golgi. In tempi successivi, e in una sincronia che vieppiù giustifica il nostro parallelismo, l'introduzione di strumenti nuovi e potenti: l'osservazione aerostatica, la fotografia aerea, le immagini da satellite per la geografia, e lamicroscopia ottica, quella elettronica, quella elettronica a scansione per l'indagine strutturale del corpo umano. Di pari passo le mappe si sono precisate, hanno fatto arretrare i margini dell'indeterminazione, hanno rappresentato finalmente un surrogato accettabile, un simulacro terreno di quell'oggetto empireo, impossibile, quella "Mappa Totale" vagheggiata da Borges. Ma a questo punto, per il prosieguo, dobbiamo differire, e lasciare i geografi alle loro carte a falsi colori, ai loro accurati rilievi. Il bacino di un fiume, una montagna, il profilo di una costa non sono forse meno complessi quanto ad intreccio di linee, di forme e a densità di dettagli di un epitelio intestinale, del parenchima di un polmone o della rete di capillari delle circonvoluzioni del cervello ma, al contrario di questi, non espletano alcun compito preciso. Se l'orografia può quindi esaurirsi in una pura tensione descrittiva, se il particolare dà ragione completamente della sua accurata rappresentazione, così non è per l'anatomico, il quale vive sempre dello stretto rapporto fra struttura e funzione, fra forma e ufficio cui la forma assolve. Anatomia e fisiologia sono due discipline inscindibili fin dalla loro genesi, che vicendevolmente si illuminano: impossibile sarebbe comprendere i modi della diuresi senza conoscere la morfologia dei tuboli renali, che non si comprenderebbero, bizzarri come sono, se non alla luce di quella precisa funzione. Un fatto che ancora oggi, ai nostri occhi, appare mirabile è che ogni essere vivente non solo è dotato d'un progetto costruttivo ma contiene entro se stesso, riprodotto in un numero enorme di copie, tale progetto. E' come se un'automobile, che pure ha precisa forma atta a consentire funzioni precise, conservasse nel metallo e nel vetro e nella plastica di cui si compongono le sue parti il messaggio necessario a costruirla per intero, coi i modi, i tempi e i materiali idonei. Il progetto -ordito da Dio, dalla selezione naturale o da entrambi, questo non importa adesso- adesso è scritto in ciascuna delle diverse migliaia di miliardi di cellule che compongono il nostro corpo, usando l'alfabeto chimico proprio delle molecole di DNA: solo quattro lettere, quattro residui nucleotidici per l'esattezza, indicati brevemente con A, T, G, C, organizzati in 64 fonemi di sole tre lettere ciascuno, che compongono moltissime parole diverse. Le parole sono sostantivi (i geni strutturali, quelli che realizzano l'impalcatura della cellula), verbi (i geni per gli enzimi, che invece operano trasformando le sostanze) o parti della grammatica genetica devolute al controllo dell'espressione e dell'attività di questi due elementi. Tutto ciò, ed altro ancora, è il genoma umano: il progetto costruttivo della specie Homo sapiens, l'insieme di informazioni biochimiche preposte a produrre un individuo maturo che vive e pensa se stesso a partire da una minuscola cellulauovo fecondata. Le lettere che lo compongono sono in tutto sei miliardi: occuperebbero lo spazio di circa duecentomila pagine come quella che state leggendo (sarebbe una lettura decisamente più monotona) e occupano, di fatto, uno spazio qualche milione di volte minore della capocchia di uno spillo, lo spazio del nucleo cellulare. E', questa, l'ultima frontiera dei cartografi dell'uomo, il frutto di un furore analitico iniziato da dei bisturi rudimentali quasi mezzo millennio fa sui tavoli dei teatri anatomici delle università italiane e culminante adesso nel Progetto Genoma, il programma di decifrazione sistemalica del nostro DNA che, avviato da pochi anni, promette di compiersi entro il 2005. Una certa eco ha avuto l'intrapresa, in ragione forse dell'alone epico che comprensibilmente l'avvolge, nella realtà, più prosaica, essa è al centro di un serrato dibattito fra i convinti sostenitori e certi suoi accesi nemici. Le ragioni degli uni e degli altri, in metafora, potrebbero dirsi così. Ammettiamo che un archeologo rinvenga le prove dell'esistenza di un'antica civiltà, di cui s'era perduta ogni traccia, sepolta in una landa impervia; là si celerebbe anche una biblioteca immensa, ove su un gran numero di tavolette è stata riportata, da diligenti estensori, la struttura di quel mondo: lo schema sociale, politico, la storia del popolo, il censimento accurato di tutte le strade, i palazzi, i templi. Si comincia a scavare, e si rinvengono i primi resti, tra cui delle tavolette; con esse si tenta di decifrare la lingua. Ma manca una Stele di Rosetta, e dopo anni di sforzi ed errori si riesce a ricostruire un po' di grammatica, e a tradurre solo qualche parola e qualche espressione. Quando ci si avvede che la campagna di scavo è per la vastità del territorio difficile da condurre, un gruppo di archeologì elabora un progetto: puntare dritto alla biblioteca, tralasciando gli scavi generali, concentrando su quest'impresa i fondi e gli sforzi, nella speranza di disporre alla fine del materiale sufficiente alla decifrazione totale, ed avere così un quadro esaustivo, uno spaccato preciso e compiuto quale forse mai il lavoro sistematico avrebbe consentito. Ma altri, coloro i quali vogliono invece continuare col metodo usuale, obiettano che quand'anche si arrivasse alla biblioteca, che le indicazioni del papiro collocano in luogo di impervio accesso, ci si potrebbe trovare nelle grandi sale dell'edificio, disporre di migliaia di tavolette, e non riuscire a far altro che leggere le parole, ascoltarne il suono, senza comprendere il significato. La civiltà, malgrado le chiavi dello Scrigno della Sapienza, rimarrebbe a noi oscura, giacché sapere è interpretare, è correlare, è far emergere dal disegno il perché del dipinto compiuto. La decifrazione dei sei miliardi di lettere del genoma -il sequenziamento, così si dice, del nostro DNAè tutt'altro che la chiave definitiva del mistero dell'uomo. Potrebbe essere invece, per riprendere il dualismo sopra esposto, un eccesso di spirito anatomico privo di lumi fisiologici, come voler tracciare il percorso di tutte le vene ed arterie del corpo prima di aver scoperto la circolazione sanguigna. Questo dicono tra l'altro gli oppositori, ricordando che il libro del genoma è composto per il 95% da istruzioni non operative, frasi fossili, e da parole senza significato, ripetute ossessivamente; solo il 5% è rappresentato da quei cento-duecentomila geni che specificano ciascuno una proteina, e che nell'insieme specificano per una cosa complessa come un uomo. In questi anni gli archeologi della genetica, i biologi molecolari, hanno esumato, procedendo un po' a casaccio ma con molta intelligenza e fantasia, alcuni dei geni più importanti, e li hanno letti. Poi hanno dovuto capirli, definire cioè la funzione della proteina per la quale i geni specificano: questo è stato possibile solo in taluni casi, e a volte tra l'uno e l'altro successo sono passati anche dieci anni. C'è ancora chi vorrebbe continuare così, con il piccone e dell'intuito, senza il Progetto Genoma, quel costoso bulldozer che andrebbe dritto in meno di due decenni alla biblioteca nascosta, ma non ancora ai suoi segreti. Chi guida il bulldozer è conscio altresi di queste difficoltà, ed è manovratore esperto: sa che il genoma umano completamente decifrato potrebbe costituire, con le tecnologie informatiche ci cui disponiamo, una straordinaria banca-dati di riferimento, tale da accelerare di anni il lavoro di investigazione dei biologi. Il cancro, le malattie genetiche, i processi dello sviluppo, dell'invecchiamento, della morte sono capitoli di quello stesso libro che agli albori del ventunesimo secolo potremmo avere fra le mani, sotto la forma modesta di un disco ottico da computer. Che il progetto abbia successo o no, che prevalgano le ragioni dei fautori, come oggi pare, o degli oppositori, è tutto sommato una questione di tecnica, di costi e di tempi. Alla fine, prima o dopo, il libro l'avremo. Per questo particolarissimo libro un solo principio, forse, dovrebbe ispirare i nostri propositi di lettura. Come un classico, come un testo sacro - in fondo lo è- esso resisterà a lungo alle analisi, alle interpretazioni, alle disserzioni. Allora occorrerà quell'umiltà programmatica che sempre èmancata agli uomini, di scienza o di ventura, quando esploravano nuovi territori: la coscienza che conoscere è comunque più ammirare che possedere, che l'anatomia e la fisiologia e la genetica sono ben lungi dal dire un uomo e la sua luce. Per noi, al pari di ogni altra specie vivente, il tutto trascende l'insieme delle parti; il tutto rimane irriducibile. Alessandro Ouattrone

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==