Una città - anno III - n. 26 - ottobre 1993

un 111ese di un anno Va male. Si dice che nei bar i maschi abbiano alzato le mani in delirio al gesto del nuovo leader nazionale italiano. Al di là del folclore dei programmi c'è in politica segnale più preciso, e sinistro, della disinibizione, nel maschio, di maleducazione e volgarità? Del coraggio di mostrare la volontà di aggredire una donna? Dalla caduta delle buone maniere al primo linciaggio quanto è lungo il passo? Comunque "il ragioniere con la durlindana" di cartone ne sta facendo di strada. In Bosnia ne ha fatta tanta e cominciò prendendo ferie e aspettative. Chi poi si illude di utilizzarlo ancora una volta dimostra solo cieco disprezzo della gènte comune. A differenza spesso di un potente la gente comune conta: può togliere la vita. Che fare? Come stanno gli operai oggi? I cambiamenti che ci sono stati, la diffidenza verso la politica, le contraddizioni non risolte degli anni '70. Il problema decisivo della rappresentanza. Intervista a Vittorio Rieser. Vi/Iorio Rieser. ricercatore all'IRES - centro s111dei ricerche della CGIL- di Torino, si occupa in panico/are della sit11a:ione delle fabbriche torinesi e dell 'evo/11:ionedei modelli organi::ativi nelle industrie. La durezza manifestata nelle recenti lotte operaie, come a Crotone, è dovuta solo alla paura di perdere il posto di lavoro o c'è anche qualcosa di diverso? Devo dire innanzitutto che queste lotte nel Sud le conosco soltanto dai giornali e quindi la mia conoscenza è molto superficiale. Il rischio di perdere il posto di lavoro è soprattutto nel Sud, anche senon è una questione solo del Sud, e il problema non nasce·dal fatto che uno voglia restare in quella certa fabbrica, però ci sonodel le alternati ve: questa volta il rischio è non solo di perdere quel posto di lavoro, ma di perdere la stessapro petti va del lavoro. Quindi la lotta ha un significato più generale, non è la lottain difesa di una singola fabbrica. Una volta si diceva, anche con un ingiustificato disprezzo. chenon si potevadifendere la fabbricacome un campanile, e qualche volta può darsi che ci sia stata la difesa della fabbrica in questo modo. ma oggi la questione è molto più drammatica: sesi perde quel posto di lavoro non se ne troveranno altri di tipo indu triale, di tipo moderno. Questo accade in molte zone del Sud, ma sono parecchie le zone d'Italia in cui ci si domanda quanto e quale lavoro ci saràin futuro. Torino. per esempio, non è certo un caso tranquillo, in cui chi rischia il posto di lavoro lo può poi recuperare in qualche altro luogo. La situazione torinese, che conosco da vicino, non è ancora al livello di drammaticità di Crotone e, per adesso.casi di chiusura così drammatica di fabbriche non ci sono stati. La situazione di Torino forse è drammatica in prospettiva: si stanno affievolendo le fonti più importanti di occupazione, cioè quelle legate ali' industria de li' auto, enon èancora chiaro da cosa saranno sostituite. Gli operai disperati, l'esempio è ancora Crotone, non temono anche il ricorso alla violenza ... Non credo che la violenza sia limitata alla specifica situazione del Sud. A Crotone avevano la sensazione. in gran parte giustificata. che minacciando di ricorrere alla violenza sarebbero riusciti ad attirare l'attenzione e quindi ad ottenere delle risposte concrete. Se le risposte concrete avvengono senza la violenza questa non si allargherà, invece, scquandoc'è una forma normale di protesta tutto viene lasciato com'è, o le risposte sono inadeguate, c'è davvero il rischio che la violenza si allarghi. E' una questione che riguarda llltte le situazione estreme, quelledovec'è il rischio di perdere il posto di lavoro senza nessunaalternativa concreta e immediata. Se ci saranno o no delle esplosioni di violenza dipende molto dal sindacato e dal governo, perché se le normali forme di lotta, o le situazioni in cui già si sa che verrà perso il lavoro portano a degli interventi -che anche se non immediatamente, ma almeno in prospettiva, come aCrotone- risolvono la questione, allora la violenzasi previene; seinvece tutto rimane come prima, se tutto rimane stagnante e c'è l'impressione che solo con la violenza si possano smuovere le cose. allora la violenzaè destinata ad estendersi. Il caso dei due suicidi, poi, è emblematico di questo dramma dovuto alla perdita del lavoro, sono un segno di chi perde la condizione operaia. Ma com'è l'odierna condizione operaia? Rispetto agli anni '60- 70 c'è un cambiamento ambiguo. Alcune conquiste di allora non ono state del tutto rimangiate o distrutte, ci sono delle eccezioni, ma complessivamente nelle fabbriche oggi si sta meglio che non negli anni' 50 e '60; la tendenza al miglioramento non è stata distrutta. Detto questo. va anche detto che dal punto di vista salariale le condizioni sono peggiorate, manon hanno riponato gli operai al livello di vita precedente alla grande ondata di lotte. Quando parlavo di cambiamento ambiguo mi riferivo però alle trasformazioni tecnologiche e organizzative che stanno mutando le condizioni di lavoro. L'ambiguità sta nel fatto che queste trasformazioni aprono possibilità di lavori meno faticosi, professionalmente e intellettualmente più ricchi, equesto è l'aspetto positivo, ma dall'altra partequestetrasformazioni stanno avvenendo in una situazione di crescentecontrollo padronale sul la prestazione lavorativa. Questi cambiamenti, quindi, rischiano di accompagnarsi aduna intensi ficazionedel lo ~fruttamcnto. con l'operaio sempre sotto pressione. e quei margini di respiro chesi erano conquistati rischiano di essereassorbiti dall'azienda fino al millesimo di secondo. Può perciò verificarsi che ci sia un lavoro più intelligente. meno faticoso dal punto di vista fisico. con meno nocivitù. ma con una tensione taleda produrre stress edaaggravare la perdita clicontrollo sul le condizioni cli lavoro. I giovani sembrano e~scre quelli che maggiormente puntano sulle prospettive di mutamento nell'organizzazione del lavoro, mentre ovviamente gli anziani non vedono molte possibilità di essere loro a godere di queste nuove possibilità. Questo non vuol dire che gli uni si identifichino con la fabbrica e con il lavoro egli altri no; la realtà èche i vecchi sono incatenati in qualche modo al posto di lavoro attuale e non vedono alternative. mentre i giovani vedono più possibilità, sia nella fabbrica dove sono, sia cegliendo altri lavori. Quella dei giovani è una pro petti va meno rigida. Questo significa che fra i giovani c'è una minore identificazione di classe? Questo, francamente. non saprei dirlo, parlo sempre della FIAT, ma non credo che oggi anche fra i vecchi ci sia una grande identificazione di classe.Agli scioperi partecipano di più i giovani che non i vecchi; i vecchi sono rimasti più segnati dalla sconfitta degli anni ·so e quindi sono più rassegnati. 1 giovani sono più combattivi, senza che questo. però, si traduca in una coscienza di classe come la conoscevamo negli anni '70. In realtà la coscienza di classe, così come è definita in termini teorici, è sempre stata difficile da trovare concretamente. Sempre rimanendo alla FIAT, che nonè uncaso tipico. èun caso abbastanza particolare anche se importante, la forte co cienza di classe degli anni ·70 rinetteva il fatto che la fabbrica era il luogo in cui gli operai avevano trovato la loro forza. Era nella fabbrica che erano riusciti a cambiare le cose e avevano una profonda diffidenza. spessoanche di tipo qualunquistico, verso la politica: questa diffidenzaè rimasta e si è perso il resto. Oggi dai giovani si sentono facilmente dei discorsi di tipo normalmente democratico. i parla di diritti. anche cli adesionealle lotte se si pensa che possano servire. ma senzacondirle di un'ideologia anticapitalistica. La fabbrica ha perso quindi il ruolo centrale che aveva sia nella società che nell'immaginario? Si, credo di sì, ma va anche detto che questo ruolo centrale è stato mitizzato. E' stato mitizzato nel senso che certamente la fabbrica era socialmente centrale, le lotte operaie segnavano il cammino della società, mal' ideacheda lì partisse un processodi mutamento politico, che cominciando dal controllo sulla organizzazione del lavoro arrivasse al controllo ugli investimenti, al ·'nuovo modello di sviluppo", fino al potere politico, era minoritaria. Era un'ideologia presente non olo fra gli intellettuali, ma anche fra gli operai. in settori del!' avanguardia politicizzata, ed era centrale per le lotte operaie che c'erano, ma comunque rimaneva minoritaria. Oggi il tessutodi lotte è molto indebolito ed in questo senso la fabbrica è meno centrale. Dal punto di vista strutturale sono convinto che lo sviluppo industriale, non la grande fabbrica. continui a esserecentrale per le prospettive future. Nel casodi Torino è perfettamente pensabile, e forse auspicabile. un futuro non centrato sull'industria automobilistica, ma non è pensabileun futuro senzaindustrie. E il sindacato? Sembra che, dai primi anni '80 in qua, abbia perso il senso del proprio essere ... Sì, e le cause di questa crisi sono molte. Il problema è che c'è stata una fase, che riguarda una buona parte degli anni '80, in cui il peso della sconfitta ha determinato una situazione con poche lotte, molto difensive e con scarsi margini di conquista. Questo ha portato ad una specie di rottura di continuità nel rapporto del sindacato con i lavoratori; un rapportocheeraba atosull'attività contrattuale quotidiana del sindacato. C'è stata la crisi dei Consigli di Fabbrica e quindi si è materialmente indebolito. e in certi casi è scomparso, il tessuto di rapporti capillari del sindacato con la base sociale. Questo è un dato oggetti- ~ CnffdileRi ipfnrmdi iForlì s.p.A. co~o, ~ da O a 10 annt da 11 a 19 anni Per loroil migliorfuturopossibile AUT. INT. FIN. FORLI' n. 4/7423 del 30/9/92

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