Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

che alla fine hanno convalidato quello che avveniva sul campo, per cui dubito che Clinton abbia davvero voglia di intervenire. Dò un giudizio grave della politica americana ed europea, perché di fallo hanno agito come secondo i piani di un suggeritore. E ai ma simi Iivelli queste contìdenze ci sono. E allora io non ci sto con questa politica in cui paga sempre la povera gente, perché se c'è l'intervento, non illudetevi, pagherebbero loro non certo i responsabili. E se l'intervento non c'è, e peggio ancora c'è la minaccia. paga sempre la gente innocente. Queste istituzioni della comunità internazionale non hanno fallo altro che aumentare i toni delle minacce e non ne hanno mantenuta una! Hanno fallo rispellare un solo cessate il fuoco? Hanno fallo rispellare l'embargo delle armi? E quanto costa l'operazione "deny ny" sui cieli di Bosnia dove le atrocità avvengono a terra? E però di fronte all'assedio di Sarajevo, a quasi trecentomila persone che lottano quotidianamente per sopravvivere, tenute come ostaggi. .. tutli si bu11ino ma nessuno dica cosa sta facendo sul piano politico per tulio il resto. Per esempio, se viene avanti l'inverno mi dicano cosa stanno facendo per la sopravvivenza degli abitanti di Sarajevo, con venti gradi sottozero e la batosta di anno scorso. aspettano che si stanchino da soli: ecco la loro strategia! Meno chiacchiere! L'ONU apra la strada! Non sono capaci di aprire la strada fino a Sarajevo? ... con le armi? Con quello che gli serve! Devo fare i conti con quello che c'è, con quello che è l'ONU oggi. In realtà i caschi blu sono frustrati e stanchi di rischiare la vita per fermarsi poi di fronte al primo giovincello armato che li blocca e gli ordina di tornare indietro. Ma come!? Io sono qua a nome della comunità internazionale e porto aiuti umanitari alle popolazioni civili e tu mi blocchi? E devo tornare indietro? E' una pazzia accettare questa situazione. oi avevamo chiesto l'invio di centomila caschi blu che interrompessero quel che stava accadendo. Allora, quc ta comunità internazionale che minaccia e minaccia e poi per mesi non è capace di far passare un convoglio umanitario è credibile? Naturalmente adesso le cose rischiano di ripeter i a Mostar. Non si può andare a visitare i feriti, né i campi dei prigionieri. La CEE non entra più, non entra più nessuno. lo mi domando: non valgono nemmeno le regole di guerra? C'è un piano? o. non c'è. Non c'è per Sarajevo, una città simbolo ormai, e non c'è per tutte le altre cillà e per i villaggi che sono tuIli piccole Sarajevo perché questa è una guerra fatta così, dove i fronti sono molti, s· intrecciano e non esiste una retrovia sicura. Giorni fa parlavo col sindaco di Kiseliak che è anche il capo del!' HYO, l'esercito dei croati bosniaci. Il nemico, fino a pochi mesi fa erano i erbi, adesso sono i mujaidin, non dice già più i musulmani, e cioè quelli con cui era alleato prima, con cui aveva vissuto fino a ieri porta a porta. La velocità dei rovesciamenti non riguarda solo l'aspetto militare, ma anche quello culturale. Mi son trovato a discutere per due ore e lui mi parlava dei musulmani come fossimo nel 1100! Ci si trova dentro una guerra dove le ragioni di partenza, le ragioni politiche ormai sono perse, dove il rapporto eia famiglia a famiglia, da paese a paese è stato completamente devastato e insanguinato, e in questa situazione si fanno strada le demonizzazioni più terribili. Ma sapete cosa si dice a livelli altissimi, di grande strategia politica? Aspettano che i stanchino da soli! Questa è la creatività politica ad altissimi livelli! Aspettano che si stanchino da soli. Di fronte a questo credo che la richiesta minimale di un cessate il fuoco sia una richiesta fondamentale. Non risolve il conANDARE A SARAJEVO? Evidentemente i cedimenti rafforzano la prepotenza ... E allora cominciamo a fare qualcosa! Ma io non vedo niente. Stiamo aspellando che la prepotenza diventi apocalisse e poi nell'apocalisse ne faremo un'altra? Ho la sensazione che abbiamo sul piano internazionale una classe politica criminale, incapace di avere progetti e capace invece di accettare la guerra. Non c'è altra proposta che rincorrere continuamente la situazione. Non so quante proposte son già state fatte, lo stesso piano Yance-Owen quante volte è stato modificato, alla fine lo stesso Yance si è vergognato e si è ritirato ... Non ho ancora capito da dove partono, cosa gli occorre, se hanno una linea di principio. Adesso peresempioc'è l'operazione Irma. Tutto quello che serve per fare informazione e porre all'attenzione la situazione mi sta benissimo, quindi non sono contro 1·operazione Irma in quanto tale, però denuncio il fatto che su un'operazione d'immagine nitto, ma è una precondizione. E finita la guerra il problema culturale della convivenza sarà enorme. Credo che se tacciono le armi, la gente poi si riassesta, ci sono già molte realtà miste che resistono alla guerra, di famiglie e persone che dovrebbero essere nemici e invece si aiutano, storie eccezionali. Purtroppo la guerra ti co tringe in logiche che non prevedi: immaginate cosa vuol dire dalla sera alla ma11inaperdere la casa, i contatti, la cultura ed essere sbattuti in un campo profughi; e poi esser sbattuti fuori anche dal campo profughi, come è successo. La gente si trova dentro una spirale e le reazioni sono le più varie e non certo le migliori. I giovani son tutti nei vari eserciti o in bande, sono comunque armati e una pistola dà un potere che si potrebbe voler fare durare anche dopo, si può immaginare un problema di banditismo, di gente sbandata, di regole di vita sovvertite ... Per questo interrompere la guerra al più presto è così importante. Ma ancora una volta la comunità internazionale ha un comportamento assurdo: accetta di avviare trattative senza che vengano interrotti i combattimenti. E naturalmente Mi sono aggregato al Gruppo d'affinità "Romagna" pochi giorni prima della partenza. Credo che a tenermi lontano dall'idea di partecipare al progetto Mir Sada fosse soprattutto la ferma convinzione dell'arcipelago pacifista e dei promotori dell'iniziativa, Beati i costruttori di pace, su/l'inutilità di un intervento armato dell'ONU o, peggio ancora, della Nato. Mi sembrava che unpacifista fosse autorizzato a vivere qualunque esperienza personale, fino alla pura e santa testimonianza della nonviolenza gandhiana, ma che di fronte alla violenza subita dagli altri, di fronte al tentativo di vero e proprio genocidio messo in campo nell'ex Jugoslavia contro i mussulmani, fosse il caso di registrare l'impossibilità di sincronizzare itempi della politica, dei progetti, della realizzazione dei principi con i tempi della sopravvivenza di migliaia e migliaia di persone, scegliendo queste ultime. Alla fine però l'idea di mettere piede a Sarajevo, di vedere con i miei occhi, di essere testimone della più grande vergogna europea del dopoguerra mi ha fatto superare l'imbarazzo di essere considerato fuori posto, di sentirmi io stesso fuori posto. Ho così partecipato a Mir Sada, non nascondendo le mie perplessità ed accettando però le regole dell'iniziativa: un atteggiamento critico, ma costruttivo, come si usa dire. Dico subito che devo catalogare quest'esperienza fra le più positive, al di là dei tanti proseguono gli affari sulle armi. • problemi intervenuti, primo fra tutti il fallimento dell'obbiettivo principale: raggiungere Sarajevo. C'è stata molta discussione a Spalato, dov'era accampata circa la metà della spedizione, e a Prozor, dove l'altra metà è stata bloccata alcuni giorni, per capire se era giusto rischiare e proseguire per Sarajevo e se Mir Sada aveva senso so/o raggiungendo la capitale bosniaca. S'è trattato d'una discussione lacerante, che ha spaccato i gruppi d'affinità e di fatto ha rischiato di compromettere tutta l'iniziativa. Ma è stato anche un momento di crescita e per me una novità assoluta: vengo da una storia in cui la sinistra è stata capace solo di dividersi ed ho vissuto giorni in cui centinaia di persone, diverse esconosciute fra loro, divise sul punto fondamentale di Sarajevo, in condizioni ambientali almeno precarie, sono riuscite comunque ad essere un embrione di movimento, un inizio di qualcosa di più grande di cui forse nessuno conosce il domani, ma della cui esistenza c'è una certezza diffusa fra coloro che hanno partecipato. Credo che ognuno sia tornato a casa con un senso di frustrazione per ciò che non s'è fatto, ma anche di consapevolezza di ciò che si può fare. Considero molto ristrette le visioni di coloro che misurano tutto col bilancino de/- l'obbiettivo da una parte e del fallimento dall'altra. Entrare a Sarajevo sarebbe stato importante: per un'Europa imbelle e criminale, che ciancia di diritti umani, vende armi e assiste al martirio di migliaia di civili; per l'ONU, incapace per mesi di garantire anche solo la sopravvivenza di città come Sarajevo, Mostar e cento altri villaggi; per le oltre 4000 famiglie di Sarajevo disposte ad ospitarci nelle loro case; per noi, superstiti di un mondo senza memoria, alla ricerca del coraggio di avere una speranza. Sarebbe stato importante, ma non tutto. Quella era una zona di guerra, e l'abbiamo ben visto. In quei giorni era in pieno svolgimento una controffensiva dell'esercito bosniaco contro le forze croate proprio nella zona fra Prozor e Sarajevo. Scadeva l'ultimatum della Nato ai serbi e pareva imminente un bombardamento. Il mondo della pace è sembrato piccolo e impotente. E tanti, a leggere le cronache dei quotidiani italiani, hanno goduto. Ma quei giovani e giovanissimi che a Sarajevo hanno lavorato per settimane, condividendo la vita di una popolazione stremata, per preparare l'arrivo di Mir Sada; quei giovani che non si sono arresi e hanno tentato di raggiungere ugualmente Sarajevo, riuscendoci alla fine in una cinquantina; quelli che sono arrivati fino a Mostar, dove da settimane nemmeno l'ONU riusciva ad entrare; quelli che in discussioni fino all'alba hanno toccato con mano i problemi della decisione tempestiva, del rispetto della democrazia, del consenso assembleare e dell'unità del movimento non sono tornati a casa uguali a prima. Ho ragioni per ritenere che siano tornati migliori. Massimo Tesei UN DOMANI NELLA MOSTAR DI IERI goslavia, i ricordi della manifestazione pacifista di Saraievo del 90, l'impegno dell'Ambasciata dei bambini, la folle miopia la barba del muieddin, le riflessioni di una pacifista "politica". superficiali; avevo conosciuto due ragazzi possibilità di fare qualcosa per qualcuno. che ci avevano accompagnato a vedere il Puoi ad esempio, portare in salvo un bamcimitero dei partigiani: una architettura bino quando ce ne sono 30.000 dentro una particolare, nella parte moderna della città, città assediata: comparato alle altre miche risuona quando soffia il vento-Mostar gli aia di persone che muoiono, che non è famosa per il vento e per le piogge- e poi mangiano, è un gesto ingiusto, però in sé è ci avevano mostrato le necropoli dei bogo- un'affermazione di vita. come definirlo? mili. Non ho più rivisto queste persone. Poi certo, c'era anche un sogno politico, Oggi molti parlano di inevitabilità di quel oltre che una spinta personale, umana, di che sta succedendo, di un futuro già scritto vicinanza con chi soffre: era la possibilità nel passato. Allora non avevo colto questi di fondare, in una tragedia, un progetto. problemi, però chi, più avvertito di me, era Sicuramente una piccola parte di responandato negli anni '80 e aveva avuto modo sabilità nel fallimento è anche nostra, perdi parlare soprattutto con intellettuali, rica- ché ci siamo concentrati molto su questo vava questa informazione: anzi, da un anno aspetto della solidarietà che rispondeva a all'altro aspettavano che la situazione pre- tanti bisogni individuali e collettivi che cipitasse e che ci fossero degli scontri. avevamo come movimento in ltaliaequanPerò la mia sensazione è questa: la crisi che do venivamo sollecitati, pungolati, da alha colpito tutta l'Europa, o tutto il mondo, cuni gruppi pacifisti, soprattutto bosniaci, ha fatto precipitare la situazione. La caduta a prendere in considerazione l'altro aspetdel socialismo reale e del muro, la mancan- to, cioè come fermare la guerra, siamo stati za di progetti forti di riorganizzazione del- molto reticenti, anche perché era difficile: la società e dell'economia hanno compor- è difficile come pacifisti porsi di fronte alla tato quanto sta succedendo nella ex Yugo- violenza che si è scatenata nella ex Jugoslavia, una cosa che, secondo me, potrebbe slavia. Era possibile fermarla se la Croazia accadere ovunque: il sistema di guerra che e la Slovenia non fossero state riconosciute passa attraverso le persone più strane, i così velocemente, se i principi "nessuna gruppi sociali più diversi di un paese. La frontieradev'esserespostatacon la violenquestione dei nazionalismi, delle differen- za" e "no agli stati etnicamente puri" detze religiose vengono usati sapientemente e Latidalla comunità europea e internazionapotrebberoessere usati ovunque, comeele- le, fossero stati veramente difesi. Non samentodi manipolazione persuscitareodio. prei dire esattamente quando la situazione Pensochequellochemihamosso,malgra- è precipitata: forse fin dall'inizio, perché do il senso di impotenza -non mi sono mai fin dall'inizio occorreva sicuramente esifatta troppe illusioni sulla mia possibilità gere il rispetto di questi principi da serbi e di fermare la guerra- sia stata comunque la croati e anche i croati andavano immedia1 ·oteca Gino s·anco tamente identificati come co-protagonisti della pulizia etnica e come cointeressati alla spartizione della Bosnia Erzegovinanon appena è iniziata la guerra, nel marzo del '92. Credo di essere soprattutto una pacifista "politica"; sono contenta che esistano anche i pacifisti integrali che affermano l'assolutezza dei principi. però io non sono tra questi: è un po' come l'esistenza dei santi ali' interno delle comunità religiose: i santi sono i testimoni di ciò che dovrebbe essere, poi ci sono anche gli esseri comuni, che sono invece la pratica quotidiana, gli esseri umani nella loro medietas. Sono una pacifista politica, ma non considero l 'intervento armato come risolutivo rispetto alla guerra in Bosnia e non l'ho mai appoggiato, tanto più come intervento annato da parte della NATO o di singole nazioni e non operazioni che possono essere prese in considerazione se fatte come poi izia internazionale da parte di una comunità internazionale che si sia guadagnata su alcuni fatti una vera autorevolezza. Però mi sento impotente, perché non credo che siano efficaci altre forme, di fronte allo scatenarsi della violenza e della guerra pura che cerca ladistruzionedell'avversario. In ogni caso, l'assolutezza che mi interessa mantenere è quella di cui si preoccupava padre Balducci, cioè che le norme etiche del pacifismo sono diventate norma giuridica e inserite nel diritto internazionale, quindi è necessario non tornare indietro: "bandire veramente la guerra come strumento di soluzione dei conflitti", come recita la carta delle Nazioni Unite. La situazione sul campo sta peggiorando ovunque. Con i musulmani che sono a Mostar non si riesce a comunicare, la gran parte vive nella parte sinistra della Neretva e non è raggiungibile neppure dall'ONU o dalla Croce Rossa Internazionale. Nella parte destra son rimasti anche parenti di persone che abbiamo portato in Italia e qualche volta riescono a telefonare perché esistono ancora dei rapporti tra croati e musulmani, croati abitanti originari della città di Mostar, quindi con tutti i legami di vicinato, di storie comuni, ecc. Anche se riescono a telefonare sono telefonate molto prudenti, non possono raccontare nulla di ciò che avviene. Nonostante il coprifuoco, nonostante i combattimenti, anche noi qualche volta siamo riusciti ad entrare a Mostar, però è molto pericoloso perché il fronte è mobile. Cosa succederà? Molti non pensano che oltre alle tragedie ci saranno poi altre ricadute. Un esempio? Anche fra i nostri amici, molto laici, perniente fondamentalisti, di fronte a ciò che sta accadendo, c'è qualcuno che si fa crescere la barba, tipo mujaidin. Anche se con un po' di autoironia, c'è questa tendenza, tale è l'ingiustizia subita, perché di fronte al voyeurismo occidentale si è consumato quanto di più atroce si possa pensare. Loro si sentono molto traditi dall'Europa, disperati, espropriati di futuro e di speranza, perché chi di noi può dire che cosa accadrà del milione e mezzo di profughi sparsi per l' Europa, nella costa dalmata o in Slovenia? In questo momento i serbi hanno il 70% del territorio, i musulmani hanno il I0% e i croati il restante 20%. E tutti gli altri musulmani che sono ancora nelle zone dei combattimenti, dove andranno a finire, negli stati etnicamente puri? Siamo di fronte ad una nuova diaspora. Se dovessi trarre un bilancio da quest'anno di esperienza direi che, paradossalmente, mi sento molto arricchita da questa cosa tragica, ho ricevuto molto più di quello che ho dato, e ci terrei moltissimo a non diventare una professionista della solidarietà. L'ho concepito come un lavoro a termine e spero che finisca presto e mi sembrerebbe atroce che ad un certo punto nascessero delle "agenzie" specializzate nella solidarietà, che vanno a cercare i focolai dove c'è gente che soffre ... mentre mi piacerebbe che continuasse il rapporto con questa città che ho conosciuto in un momento difficile, di guerra e che mi piacerebbe invece conoscere e frequentare in condizioni di normalità. Probabilmente è un sogno, perché prima che Mostartorni ad essere quella che era con tutte le persone mescolate e con tutti i monumenti ricostruiti, passerà tanto tempo o forse addirittura non rinascerà. Potrebbe rimanere solo un sogno poter visitare Mostar, sentirmi cittadina di questa città, e magari averne la cittadinanza. - UNA CITTA' 9

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