Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

pei, non procede. Il governo tedesco deve trovare una soluzione politica per ammettere ai diritti civili gente che qui paga le tasse, che ha bambini che nascono qui ... Ma su questo punto fra i nostri emigranti c'è poca sensibilizzazione. Questa possibilità viene ancora vista soprattutto in funzione difensiva. E fra di noi c'è ancora un nazionalismo stupido: l'italiano è migliore del tedesco, si va a tifare la tale squadra italiana, si va a sentire Albano e Romina. Ma non posso pensare che sia solo così. mele del Tirolo, ananas dell'Honduras ••• E per i turchi peggio ancora, perché i turchi si sono chiusi, si stanno chiudendo ali' integrazione. Sono su posizioni molto difensive, di ritorno nazionalistico e di difesa del proprio stile di vita. Ma non può dipendere dal fatto che adesso il turco è nell'occhio del ciclone? Sì, credo dipenda anche da questo. Infatti da quello che ho visto anche qui allo Jungbusch nella riunione fatta per la scuola a tempo pieno, dove noi temevamo la posizione dei turchi, temevamo che ci dicessero che loro non volevano che i figli diventassero tedeschi, invece le donne sono state favorevoli, e abbiamo visto genitori che hanno capito che è una cosa importante e sono pronti ad appoggiarla. Abbiamo visto dei turchi veramente aperti rispetto a questo. Certo, ci sono le scuole di Corano, le scuole religiose, e quelle tendono ad una conservazione ad oltranza delle regole e delle tradizioni. E sono tradizioni rigide, tradizioni che impongono alla donna un certo ruolo. Però, con gli individui. Quello che vale per le merci non vale per gli individui, perché io che sono italiana mi trovo bene quando parlo l'italiano, posso parlare anche tedesco, mi piace anche, però mi sento a casa mia se parlo la mia lingua, meglio ancora se mi ritrovo col mio vicino di casa che conosco da 5 anni con cui magari andiamo a bere del vino assieme. Poi però posso anche trovare una persona interessante che magari proviene dall'America e ha avuto un'esperienza di vita per un certo periodo in Germania e poi è tornata indietro ... Sono vari livelli, vari modi. La multicultura, a mio modo di vedere, può funzionare quando esiste una crescita degli individui che li mette in grado di giocare su tanti registri. Se questa crescita non esiste, se la gente è ferma a delle aspettative, l'italiano cercherà sempre di mangiare spaghetti e si sentirà male quando lo metti a tavola davanti a un piatto tedesco ... Ancora il discorso della multiculturalità è capito quando se ne vede l'aspetto folcloristico, l'aspetto di offerta: più l'offerta è variata più il mercato tira, più c'è possibilità di scelta. Il problema è che gli uomini nelle loro scelte umane, hanno dei principi rigidi, non funzionano come al mercato. E se uno ha vissuto I O anni parlando dialetto cercherà di continuare così e si limiterà magari a dei contatti di quel tipo lì. Invece multicultura dovrebbe essere arricchimento delle possibilità, che però può funzionare solo se accompagnato da un arricchimento della crescita mentale e culturale dell'individuo. il bisogno di una nicchia in cui sentirsi a posto ripeto, esiste sempre una percen- E questa crescita culturale avviene tuale di fanatici e non è detto che sia nella coscienza civile, nella scuola, la percentuale più grossa. Se potes- ma una scuola fatta con coscienza, simo dare voce qualificata anche dove il bambino viene accompaagli altri probabilmente avremmo gnato nelle sue potenzialità. un contrappeso, ma così è chiaro Però mi sembra che inGermania che hanno buon gioco quelli che ci siano esperienze positive di dicono che bisogna aspettarsi che convivenza ... buttino una bomba anche a casa Bisogna distinguere l'integrazione nostra. lavorativa dalla integrazione soCosa vuol dire per te integrazio- ciale. A Francoforte il 25% dei ne? lavoratori è straniero. Questo vuol Io vedo attualmente in Germania dire che la spazzatura, le pompe che si parla di multiculturalitàcome funebri, i mezzi pubblici, le poste, di un supermarket, cioè la multi- le ferrovie, sono servizi nelle mani cultura viene presentata con un degli stranieri. Se non ci fossero aspetto da supermarket. Al super- quelli molte cose si bloccherebbemarket ci sono mele che vengono ro, però questo significa che il ladal Tirolo, ci sono arance che ven- voro funziona. L'integrazione sogono dalla Sicilia e ananas che ven- ciale è un'altra cosa, perché se si gono dall'Honduras. Al super- guardaFrancoforte,comesesiguarmarket abbiamo realizzato la mul- da lo Jungbusch, si capisce che tinazionalità, e questo modello vie- abbiamo bisogno di "nicchie", che ne trasferito nel presentare la mul- non possiamo vivere tutti assieme ticultura, cioè si dice "colorito e appassionatamente, abbiamo bisoinsieme". Il problema è che questo gno di posti dove ci ritroviamo a B tnzioiO eeca mGn1 nOosasu aen cOe la nicchia è consentita, se tra nicchia e nicchia c'è possibilità di scambio positivo e soddisfacente, allora abbiamo anche integrazione sociale. lo mi sto comprando un appartamento perché ho deciso di vivere qua e ho bisogno di un posto che sia mio. Lo concretizzo con un appartamento, perché sento che posso avere un posto qua; ho dovuto fare dei passi, ho dovuto imparare la lingua, devo stare a sentire molto, però posso discutere e non ho bisogno per farlo di qualcuno che parli per me. Certo, se avessi dei diritti civili sarebbe ancora più bello, avrei un posto più grosso, mentre adesso conto di meno, però il discorso del posto lo sento legato a molti fattori, perché io penso anche che uno per sentirsi a casa sua ha bisogno di una nicchia dove si sente sicuro. E iI proprio posto non dipende solo dal posto che ti fanno gli altri, dipende anche da quello che ti prendi tu, da quello che senti che ti appartiene. C'è chi ha bisogno di una nicchia protetta e se la fa tra i propri simili e chi invece ha bisogno di gridare a tutto il mondo "Io sono qua, fatemi largo". Equellochesentodi positivo qui in Germania è l'idea democratica per cui tu puoi avere un tuo posto, a patto di essere osservante i principi di vita sociale che regolano la vita qui, ma questo mi sta bene. Quello che vorrei è che ci fosse anche più gioia, più contatto. Senza invadere, ma più contatto. Questo rende gradevole il posto dove tu sei. - 1A COMUNll'A DELL'ISTANTE , L'Altro, parola chiave dell'ideologia progressista di fine millennio. L'Altro da accogliere, aiutare e rispettare, l'Altro con cui solidarizzare, l'Altro di cui abbiamo bisogno per lo sviluppo stesso del nostro benessere (chi raccoglierebbe, se no, i pomodori in Campania?) ... Se il razzismo viene identificato con la demonizzazione ansiosa del/' Altro, l'antirazzismo si risolve in una giustificazione più o meno raffinata dell'Altro. Le sue buone ragioni vengono mostrate, il suo uguale diritto esibito. Ma l'Altro al quale si fa posto previa argomentazione razionale rischia di essere già da sempre perduto come Altro. Si vuole mostrare infatti, in perfetta buona fede, che noi abbiamo bisogno dell'Altro, che la sua presenza è per noi, da tanti punti di vista, non ultimo quello economico, una possibilità di ricchezza, non nell'immediato, certo, ma sicuramente a lungo termine. E' però già sufficiente aver assunto come orizzonte del discorso la stringente logica del bisogno perché il tanto auspicato incontro con l'Altro risulti compromesso sul nascere se non addirittura esposto al rischio della violenza razzista. Noi abbiamo bisogno degli altri, è indiscutibile. Ma siamo così certi che è proprio nel bisogno che l'Altro è lasciato essere come Altro? Il bisogno, che è sempre, a ben vedere, i/mio bisogno, lo riguarda effettivamente, ha veramente di mira lui , oppure, anche quando è un bisogno "elevato", è sempre comunque richiesta di una soddisfazione, riempimento di un -vuoto, egoismo che si protegge? I pochi bellissimi versi di Rilke commentati su queste pagine da Gianluca Manzi ci hanno mostrato come un amore che prescinda dalla libertà della persona amata - un amore che non accresca la libertà della persona amata, che non provi riconoscenza per l'insuperabile distanza in cui essa, sparendo, si offre, - non possa dirsi in alcun modo amore. L'amante, infatti, non ha bisogno della persona amata. L'amore è forza, non debolezza. Egli piuttosto la desidera e la desidera di un desiderio senza bisogno, dove semmai la persistenza del bisogno, nella forma, ad esempio, del morso della gelosia o della volontà di possesso, è vissuta dall'innamorato, scrive Rilke, come "colpa". Perché il bisogno, con il suo impulso naturale (ed economico) a "trattenere", rovina l'apertura, la trascendenza cifrata in ogni desiderio. Il bisogno è un falso movimento della coscienza: si apre apparentemente all'Altro per tornare ciclicamente e ossessivamente su di sé, sull'Io che vuole autoaffermarsi - esclusiva meta di tutti i bisogni. Il suo modello è, fuor di metafora, quello digestivo. Si ha bisogno dell'Altro come si ha bisogno del cibo. In entrambi i casi la sazietà è ragione sufficiente per interrompere ogni rapporto. L'economia inaugurata dal desiderio è invece una economia in pura perdita, scambio che nasce dalla sovrabbondanza della ricchezza e non dal sentimento di una povertà minacciata ("Se io ti amo, a te che importa?", domanda Goethe). Se il bisogno tende naturalmente ad annullarsi, se esso aspira alla quiete della soddisfazione, il desiderio contesta radicalmente quella quiete, riattiva le distanze, gode di quelle ferite e teme perfino il piacere se esso significa soltanto la catarsi, la scarica che chiude il gioco (perché gli amanti dopo l'amplesso sono tristi? Da dove nasceva la loro gioia quando il bisogno era ancora insoddisfatto?). Al piacere come all'ottusa felicità domestica il desiderio antepone l'accrescimento della libertà della persona amata, fino, scrive Rilke, all'estremo della separazione. Per il desiderio questa separazione infatti non è problema, ma presupposto, luce nella quale l'Altro appare nella sua inquietante e affascinante alterità. Perciò è al desiderio e alla sua strana logica che si deve guardare quando si vuole cominciare a pensare ciò che un filosofo francese ha chiamato un rapporto "nonallergico" all'Altro, un rapporto, cioè, nel quale l'alterità dell'Altro non sia sfigurata dai nostri bisogni, nemmeno dai nostri nobili bisogni di uguaglianza e solidarietà umana. Sono infatti gli attimi del desiderio a insegnarci faticosamente come la separazione, la differenza, siano non l'ostacolo da eliminare, il problema da risolvere, ma la stella cometa della comunità possibile. Quella comunità in cui l'Altro non è semplicemente "lasciato essere", quasi vincendo il nostro "naturale" impulso al suo annullamento, ma desiderato al prezzo dei nostri stessi bisogni. Il desiderio, si sa, è rovinoso ... Una comunità, si è sempre pronti ad obiettare, impossibile, che non può avere realtà effettuale, durata storica, ma perché mai ciò che non si può mantenere, ciò che si dà nell'istante, non può poi valere come il solo bene? Il mito senza il quale fatichiamo a sopportare l'esistenza, invece che essere quello fascista di una posticcia identità "etnica", non potrebbe allora trasfigurarsi in quello di una comunità disposta a correre il rischio della propria dissoluzione per amore? "Perché se c'è una colpa è questa: I non accrescere la libertà della persona amata I pur offrendole tutta la libertà che in noi matura. I Noi quando amiamo abbiamo solo questo da offrire: I lasciarci; perché trattenerci I è facile, e non è cosa da imparare" (R. M, Rilke) Rocco Ronchi LA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - ITALY Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 ARREDAMENTO NEGOZI E SUPERMERCATI UNA CITTA' 7

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