Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

Sarajevo e noi Emilio Casalini, studente di scie11ze politiche di Padova, era a Sarajevo con il gruppo di Beati i Costruttori di Pace che permanentemente risiedono a Sarajevo e che dovevano preparare l'arrivo dei partecipanti alla spedizione di Mir Sada nonché organizzare la distribuzione degli aiuti. Alla fine ben 4500famiglie erano disponibili ad ospitare i pacifisti, ed era stata preparata un'accoglienza festosa a coloro che stavano rischia11dola vita per rompere l'assedio della città. Secondo Emilio la popolazione ha poi capito le difficoltà insormontabili di fronte alle quali si sono trovati i pacifisti e non hanno mutato il loro atteggiamento di grande simpatia. Dopo un impegno estenuante del gruppo di "permanenti" a Sarajevo, almeno il carico di aiuti è riuscito ad arrivare in città ed essere distribuito autonomamente dalla protezione civile bosniaca, ottenendo così il risultato di una maggiore capillarità e autogestione della distribuzione. Tu eri a Sarajevo quando era in corso l'operazione Mir Sada. Puoi raccontarci il clima della città? L'aspetto di grandissima difficoltà della vita a Sarajevo attualmente, non è la sopravvivenza fisica, perché in questo momento gli aiuti umanitari consentono una sopravvivenza alimentare e di acqua. Il loro problema è psicologico: molti dicono "noi impazziamo", "non riusciremo ad affrontare un nuovo inverno". La tensione di sentirsi assediati, la sensazione di essere come in un campo di concentramento a cui ogni tanto qualcuno dà da mangiare, tipo bestie in gabbia, sono terribili. Non potere uscire pur avendo tutti i documenti in regola, gente malata di cancro che ha bisogno di visite e non può uscire ... E contemporaneamente vedere attorno a sé gli osservatori e i giornalisti di tutto il mondo, essere, cioè, in una realtà di totale isolamento dal mondo con tutti, gli osservatori del mondo lì dentro, fa andare fuori di testa ... Ti vedono come quelli che sono lì per aiutare, però poi ogni notte cadono le bombe ... Vedono i giornalisti, tutti belli bardati, con le loro apparecchiature, comunicare col mondo attraverso i satelliti e loro non lo possono fare. Non è un caso che con il problema della piccola Irma abbiano subito parlato di zoo e di supermercato, perché si va lì e si guarda, si parla e poi si torna a casa. E' una sensazione tremenda quando si lascia Sarajevo con il nostro bel tesserino che ci permelle di prendere l'aereo quando vogliamo. Una sensazione che loro non possono avere, loro sanno che tu puoi essere fuori a qualsiasi ora, basta che lo decidi e loro magari hanno una figlia malata ... Mi dicevano che il progetto Irma all'inizio è stato progettato dalle reti inglesi e finanziato in parte dalla stampa inglese e in parte dal governo inglese per un rendiconto di immagine ... Per non parlare poi dei soldati dell'ONU che sono terrorizzati solo a sentir parlare di bombardamento americano, perché potrebbero essere le prime vittime della rappresaglia dei serbi. A me hanno mostrato l'ingresso in cui le ragazze vanno alla sera a prostituirsi nella caserma dell'ONU per niente, in cambio di scatolette e sigarelle. E poi c'è il problema -ma questo non solo in Jugoslavia, anche in Somalia e da altre parti- della sparizione di gran parte degli aiuti. A volte a Sarajevo si arriva anche al 30-50% degli aiuti inviati. E' una denuncia che si dovrebbe fare anche se è molto difficile provarlo. E questa roba che sparisce viene venduta poi al mercato nero. Vedi le scatole11econ il marchio dell'ONU ma unp può sempre dirti che sta vendendo la sua razione. In realtà tulli sanno che non è così... In questi giorni la tensione bellica si è molto allentata, si spara poco durante la nolle e la gente è fuori nelle strade. E' una popolazione che ha mantenuto un'unità e una dignità inimmaginabili. Appena possono escono e hanno un gran contegno, anche nel vestire, molto più di noi giornalisti, che siamo molto trasandati. Appena c'è un po' di tranquillità riaprono i bar e i negozi con quel poco che hanno, con un minimo di benzina fanno andare un generatore e fanno un po' di musica nelle strade. I bambini hanno ormai fatto il callo agli spari, ma la prima volta che li senti mentre stai camminando ti viene un brivido alla spina dorsale ... senti il colpo alle tue spalle, sai che stai passando in una zona scoperta e non sai se arriverà anche il proiettile. Questo è il clima di terLa sensazione del campo di concentramento dove però giornalisti di tutto il mondo vanno e vengono. li contegno, la dignità, l'ospitalità della gente di una città che resterà per sempre simbolo della convivenza umana e della resistenza alla cattiveria. Intervista a Emilio Casalini. rore che hanno creato a Sarajevo. I cecchini che controllano una strada lasciano magari passare 50 persone e poi colpiscono il cinquantunesimo in modo che quelli già passati e quelli che devono ancora passare non sanno più cosa fare, se andare avanti o tornare indietro. E poi ogni zona è un luogo di pericolo perché la granata arriva dal cielo in verticale e nessun palazzo ti può proteggere da una granata. Addirittura hanno sparato negli uffici con la contraerea, mi hanno portato sul posto, proiettili di contraerea contro la popolazione civile ... Ma loro ormai convivono con tutto questo ... però a livello psicologico non ce la fanno più ... Sperano in un intervento? Tutti sperano in un intervento NATO che potrebbe da una parte finalmente risolvere la situazione perché si attacca l'aggressore, dal1 'altra però sanno bene che l'intervento NATO non distruggerebbe neanche la minima parte delle forze serbe e che la rappresaglia delle forze serbe potrebbe essere un massacro per Sarajevo. Mi spiegavano che le forze serbe su Sarajevo si muovono continuamente sui monti, non hanno una posizione stabile, trasportano i cannoni coi muli per non essere individuati dagli infrarossi. Per cui anche un attacco americano non riuscirebbe a creare delle perdite ingenti nelle forze che accerchiano la città. E così loro da una parte sperano nell'intervento, ma dall'altra sanno che cosa può loro capitare. E' certo comunque che se i serbi attaccassero Sarajevo, verrebbe fuori una battaglia casa per casa, perché sono pronti a fermarli ad ogni casa. Nonostante ciò continuano a sperare. Ho fatto le foto a una coppia che si era appena sposata, a uno che stava mettendo a posto una galleria d'arte bombardata perché -mi ha detto- "le opere d'arte torneranno". Hanno una grande speranza dentro e l'idea di distruggere Sarajevo è quella di distruggere il simbolo di un'unità interetnica che resiste a tutto. L'hanno distrutta in tutta il resto della Yugoslavia, ma in Sarajevo resiste, perché lì convivono tulli, mussulmani, serbi, croati, ortodossi, cattolici, ebrei, tutti. Le stesse macchine dell' HVO, della polizia militare croata che a pochi chilometri di distanza si stanno scannando con i bo niaci, in città girano normalmente. E si fermano nei bar perché Sarajevo è la loro città. Ai serbi di Sarajevo nessuno ha torto un capello malgrado quello che altri serbi stanno facendo alla città, e loro stessi temono più la rappresaglia dei serbi che li considerano traditori ... Sarajevo è iI simbolo della convivenza passata e può essere il seme di quella futura. Ci dicevate prima del concerto che era stato organizzato per l'arrivo di Mir Sada. Un'esperienza toccante. Il concerto è stato bellis imo, toccante, con tutte le candele che avevamo portato. Si esprimevano con i loro mezzi semplici, ma hanno dato tutto quello che avevano: la loro arte che è ancora viva in Sarajevo l'hanno data a noi quasi come simbolo da portare fuori al mondo, per affermare che loro non cedono su niente, in particolare sulla loro dignità umana. Ha poi parlato il Sindaco di Sarajevo e ha parlato il capo delle forze armate bosniache e questo è stato un momento molto forte. Ha letto un messaggio in francese ed era una specie di poesia d'amore e di pace tra tutti gli uomini. L'ha letta quasi piangendo e lui è il capo delle for.i:earmate bosniache. In una situazione come quella, di estrema violenza, che provoca a sua volta reazioni altrettanto crudeli e violente, rimane quella sensibilità e quell'ideale. E anche le cose più semplici -miss Sarajevo che ha partecipato-ci fa capire come si attaccano ancora con tutte le forze a tutto quello che li unisce alla vita di prima. Per non parlare poi della loro ospitalità che è stata squisita. L'altra sera sono stato a casa di un mio amico, mi ha invitato a cena, io avevo freddo e lui mi ha dato un maglione. E gli ho detto "insomma, sono io che porto gli aiuti, e sei tu mi dai da mangiare, da dormire, da vestire ..." E' gente belumani sono estremamente forti e quelle persone, passate attraverso le prove più difficili, insegnano tanto. Poi, comunque, il legame non si rompe perché anche noi stiamo lavorando soprattutto con le lettere che sono estremamente importanti perché tutti hanno ormai dei parenti fuori. Siamo il tramite di questo contatto umano che non vuole interrompersi. Adesso che torno là avrò lo zaino pieno di lettere, centinaia e centinaia di lettere che porteremo lì e distribuiremo casa per casa, perché è importante che le varie comunità in Italia, in Francia, in Germania, in Croazia mantengano questo legame con i familiari e anche con la rappresentanza al- '»- ·/ ~;J-.H.'_. .. ,,., < .:{S<:d9'0 ''••'""·••• :. :~~~:;;- f 1:~~?i;;,,~,❖: ,. :~ ~~~~: lissima. L'immagine che mi è rimasta più viva è quella che mi evoca la canzone che ha cantato un ragazzo, che è "la dolce Sarajevo". Che è quasi di contrasto con tulla la violenza che c'è, eppure continua a esprimere lo spirito di que 1a città. Una ci11à che esprime ancora rapporti umani che sembrano fuori dal tempo e impensabili per quella realtà. Sarajevo sarà ancora per molti anni un simbolo di resi lenza, contro i problemi del la guerra che vengono riportati a livello religioso. contro i problemi politici, geografici, contro tutte le violenze. E negli anni futuri che andiamo ad affrontare, che saranno pieni cli violenze. di tensioni, di scontri di interessi economici e territoriali che assumeranno I' aspe110della guerra etnica. il ricordo cli Sarajevo resterà vivo, l'insegnamento di una città che non solo ha resistito a una tremenda violenza ma che ha continuato. contemporaneamente, a mandare un messaggio di convivenza. lo ho finito il mio incarico, ci sono altri che seguiranno il progetto, ma ci tornerò perché ho lasciato quasi ali' improvviso la gente. Ho il desiderio di tornare per condividere con loro ancora qualche momento, perché all'interno di quella situazione così disastrata si respira un clima che nei nostri paesi occidentali, nella cultura del benessere non si riescono più a vivere. I rapporti l'estero di comunità del loro popolo, che è una cosa molto interessante dal punto vista politico, una diaspora che sia attiva, che raccoglie il sostegno e la solidarietà da parte di altre popolazioni e che diventa sostegno alla resistenza della ciuà. Per esempio mi ha appena telefonato il sindaco di Ragusa e mi ha detto che lì si è creato un centro di solidarietà costituito da persone fuoriuscite da Sarajevo e che questo centro diventa un punto di riferimento molto importante per la solidarietà da parte della popolazione italiana. Quindi non più attraverso la televisione che fornisce notizie molto asettiche e spesso falsate, ma attraverso un tramite diretto. Anche per questo si può dire che Mir Sada non è fallito, perché ha portalo avanti l'idea che la gente e i paesi in pace intervengano. non si estranei no da questi problemi. Occorre diventare consapevoli e cominciare a creare queste reti che non sono di protesta fine a se stessa o di terrorismo, ma sono forme di non violenza che cercano di andare oltre i confini degli stati, di abbattere veramente queste frontiere non solo sul la carta, ma concretamente, tra la gente che comincia a preoccuparsi della sorte di quello che gli sta vicino, pensando a lui come a un compatriota. Di questo negli anni a venire ci sarà bisogno. -

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==