Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

permetterà assolutamente, se non a prezzo di una violenza estrema, una frontiera forte fra questi due stati. Ci sarà invece la necessità di continuare a lavorare, di mantenere un'economia che, per esempio a Tel Aviv, è completamente integrata. Non solo, ma Israele, la Cisgiordania e la Giordania sono un unico spazio geo-politico naturale. Gli israeliani hanno un esercito fortissimo, una coesione interna fortissima, basata non sulla coercizione ma sulla libera scelta; i palestinesi hanno un movimento di liberazione che è riconosciuto dal mondo, fortissimo. E in Cisgiordania, dove l'OLP è forte, l'ossatura dell'OLP è la borghesia, cioè i commercianti, gente che vive di turismo, normalmente indisciplinata, ma che nel momento del bisogno rinuncia a delle cose, va in galera. Sono due popoli fortissimi e organizzati molto bene, con organizzazioni capillari. Però hanno bisogno l'uno dell'altro perché i palestinesi non possono sopravvivere senza venire a lavorare a Te! Avive l'economia israeliana ha bisogno della forza lavoro palestinese. Pensi quindi che sarà possibile una convivenza anche dopo tutto quello che è successo? In realtà io credo che gli israeliani e i palestinesi siano molto simili gli uni agli altri. Per esempio, ho visto dei leader importanti palestinesi in alberghi romani ed è impressionante la somiglianza fra gli uomini di sicurezza palestinesi con quelli israeliani. Vestono allo stesso modo, hanno queste giacchette estive, a maniche corte, per nascondere la pistola, gli stessi movimenti nervosi, anche fisicamente sono identici, perché gli israeliani che fanno questo lavoro sono tutti sefarditi ... I palestinesi sono cento anni che vivono la colonizzazione sionista e che ci si devono confrontare. E se questa colonizzazione sionista per certi versi è stata atroce -nel '48 dei palestinesi furono caricati sui camion e portati altrove, nel '56 ci fu l'eccidio di 46 persone, poi ora con l'Intifada- è anche certamente basata su ideali democratici. Nel sionismo, cioè, c'è una contraddizione immanente fra il suo essere colonialista, che lo spinge ad escludere coloro che abitavano su quella terra, a espellerli addirittura, e il suo ethos profondamente democratico, quasi anarchico. Allora i palestinesi, confrontandosi col sionismo, sono stati in qualche modo contagiati dal suo spirito democratico, liberale, quasi anarchico, e da quello antiautoritario che in Israele è molto forte e i cui tratti si ritrovano anche scritti nelle Leggi. Teniamo poi presente che i palestinesi, per vari motivi, sono anche i più istruiti fra gli arabi e questo provoca una situazione di occupazione militare molto strana e inusuale: il soldato israeliano che viene spedito nelle città della Cisgiordania -in Gaza la situazione è già diversa- si confronta con della gente molto ben istruita, che ha fatto le scuole: entrambi parlano un ottimo inglese, hanno letto gli stessi libri, i palestinesi guardano la tv israeliana, vedono gli usi degli israeliani. E credo che questo sia uno dei motivi della crescita, anche nei palestinesi, di questo spirito di ribellione, anche individuale, di non accettazione del proprio destino, di andare contro, di opporsi, di resistere. Dopo 25 anni di occupazione militare è un popolo che non si piega, non c'è verso. Questa è una delle somiglianze. L'altra somiglianza paradossale - anch'essa strettamente connessa a questo spirito anarchico e libertario- è che, contrariamente ali' opinione comune, l'uso della violenza è molto limitato da ambedue le parti. Rispetto ad altre situazioni di guerra civile -e possiamo dire che quella è una guerra civile- lì le vitti me sono poche, le violenze non sono tremende, non c'è un uso generalizzato della violenza, non ci sono bombardamenti, sgozzamenti, non vengono rasi al suolo villaggi, moschee, eccetera eccetera. Non c'è paragone con l'Algeria degli anni '50-'60 o col Libano degli anni '70-'80 o con la Jugoslavia di oggi. E sono convinto che questo dipenda dal fatto che il nemico è considerato uno simile a te, non lo si considera una bestia da sgozzare. Ne sono convinto anche dai colloqui che ho avuto con la gente: non c'è assolutamente una logica di sterminio, di terra bruciata ... Poi ci sono le somiglianze psicologiche. Il vittimismo, per esempio, che si accompagna alla convinzione di vivere una condizione di cui la coscienza del mondo deve prendersi continuamente cura, è identico fra gli ebrei come fra i palestinesi. Un'identificazione, quasi, dell'etica del mondo con il proprio destino, che poi alimenta in entrambi una straordinaria forza di resistenza. Ma le cose non stanno cambiando in peggio? Non c'è il rischio gravissimo del diffondersi del fondamentalismo fra i palestinesi e di una certa fascistizzazione delle giovani generazioni israeliane, cresciute nell'Intifada? Queste cose che dici ci sono, ma non credo siano molto gravi. L'integrai ismo c'è dappertutto nel mondo arabo e quindi c'è anche tra i palestinesi. C'è molto in Gaza e non so bene le ragioni di questo integralismo in Gaza perché, a differenza di quello che comunemente si pensa, a Gaza i quadri dell' integralismo islamico non sono i poveri, i diseredati, i profughi, che per lo più stanno con l'OLP, quanto invece i professionisti, i benestanti, medici, avvocati, ingegneri. 1nfatti quando Israele espulse i 400, prendendo, se vuoi, una decisione criticabile o condannabile, una delle cose più squallide fu la propaganda che gli stessi deportati cercarono di fare dicendo: "noi non siamo dei tagl iagole, siamo prof esQUANTO COSTANO GLI UOMINI Sarajevo, un nome che ci peserà sulla co- sull'Europa, su ciascuno di noi peserà invescienza. Se ancora sapremo ascoltare la ce il giudizio. Quanto meno di omissione. voce della coscienza. Quel che sta succe- Abbiamo assistito inermi, apatici, indifferendendo da due anni, e che continuerà a sue- ti. "Mani Pulite". Ma perché l'Europa non è cedere anche dopo il trattato di ''pace", è uno intervenuta? Prima di accusare ONU o USA, di quegli eventi che segnano la memoria e Eltsin o Tito, i fascisti della Croazia o i comudiventano giudizio. Le guerre passano; la nisti della Serbia: perché l'Europa, noi non guerra civile resta. Abbiamo conosciuto un siamo intervenuti? Che non si debba intervenuovo delitto, la ''pulizia etnica". Hitler ucci- nire troppo tardi nella prossima quarta guerdeva per eliminare; i serbi generano per ra, per il Kosovo o la Vojvodina o la Macedosopprimere. Tutti e due in modo intenzionale nia. Sempre più spesso si ripete che al/'orie sistematico. Razza o nazione, è sempre la gine non c'erano le obbiettive difficoltà tecnistessa ossessiva affermazione dell'identico, che per un intervento, ma gli opposti interesdel "se stesso" e la violenta esclusione del- si e lepaure tra Francia-Inghilterra e Germal'Altro. Così tremila donne sono state stupra- nia: i Serbi servono per bloccare il mercato te per far nascere "gli uomini migliori". tedesco. Ma non è orrendo tutto ciò? Con 8 . Da son eCaàs~ 1rf omB°f à riCOO potremo ancora parlare di diritti sionisti". E infatti gli israeliani avevano preso i quadri dirigenti. Cosa succederà con questo integralismo io non lo so, però so che, paradossalmente, quando loro sono stati espulsi tutti hanno detto: "vedrete che questa espulsione bloccherà il processo della pace" equesto invece non è avvenuto. Anzi, di loro nessuno parla più, sono dimenticati e allora vuol -dire che questo integralismo poi non è tanto forte, fra i palestinesi, quanto noi abbiamo pensato. Almeno si spera. Per quanto riguarda il rischio di fascistizzazione in Israele, credo che dei fascisti ci siano anche, ma la vittoria di Rabin dimostra che un rischio reale non esiste. Credo, anzi, che Rabin sia più a destra dell'opinione pubblica israeliana, anche se non sono in grado di provarlo. Sono convinto che una volta avviatosi un processo di pace le cose andranno meglio, nel senso che sia l'integralismo che il fascismo perderanno terreno. Ti racconto un aneddoto di come sia facile, poi, convincere la gente. Un giorno, prima dell'Intifada, tornavo da Hebron con un taxi e andavo verso Tel Aviv. Scendendo nel deserto della Giudea al tramonto ci si trova davanti al paesaggio forse più bello che ci sia al mondo, una cosa quasi metafisica, straordinaria. E il tassista mi disse: "che peccato sarà restituire questi posti a loro". Siccome, però, strada facendo, passando per i vari villaggi, il tassista aveva una paura fottuta, tremava dalla paura, gli dissi: "tu tremi dalla paura, in questi posti non ci vieni mai; immaginati allora di potere venire qui senza la paura, con l'unico problema di far vedere il passaporto al confine. Ti dispiacerebbe?" E lui ha dovuto ammettere che no, non gli sarebbe dispiaciuto. E' importante cominciare questo processo, poi certe paure verranno meno. - umani? Era il vanto della coscienza europea. A Sarajevo abbiamo bruciato la coscienza. Hanno ragione i paesi musulmani quando ci imputano di agire con due pesi e due misure. Ha deciso il mercato e noi abbiamo eretto un nuovo muro. Per i ricchi. Ai pacifisti arrivati con le loro bandiere iridate fino a Mostar, il vescovo Rakko Peric ha freddamente osservato: "Queste cose non servono a niente. Bisogna andare a Londra e a New York, dai signori che hanno in mano le chiavi di questa guerra". Noi non siamo neanche scesi in piazza. La pace bisogna conquistarla qui, sopra i nostri interessi immediati. Ma siamo capaci di autocritica? Quasi un anno fa il patriarca serbo Pavle e il cardinale cattolico Kuharic hanno scritto: "Con una stessa voce: fermate, immediatamente esenza condizioni, tutte le ostilità. Sia permessa al clero musulmano la possibilità --.-r:-.~.' t di svolgere senza ostacoli il suo ministero. Condanniamo e ci dissociamo da tutti i criminali, quali che siano il popolo o l'esercito o la Chiesa o la religione di cui pretendono essere membri". Altri appelli sono seguiti di tutte e tre le comunità religiose fino ai più recenti di esplicita autocritica per le politiche dei propri governi. Se il Nemico si costituisce come proiezione della colpa, la pace si costruisce assumendo la colpa. Ma siamo capaci noi, in Europa, di questa coscienza? Il timore è che stiamo diventando quella folla il cui ideale di tranquillità è, come diceva Hegel, la birreria. Dopo Sarajevo si è almeno capito che, se si può discutere su Maastricht per fare l'Europa, non si può transigere sulla coscienza e i diritti dell'uomo se non la si vuole ridotta a mercato. Sergio Sala. UNA CITTA' 3

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