Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

".zaprepolitica della rienza della parola è un'altra. Ciò che esiste per me è il marocchino che mi vende l'accendino. i ragazzi di leva che sciamano verso il mare, le donne per la strada, il desiderio, poi viene la parola che cerca il rendiconto di quell'esperienza quotidiana del paesaggio umano. Quali sono le forme del desiderio oggi? E' poi la categoria moderna dellafe111111e qui passe baudelariana, oggi ancora più accentuata. Il rilievo fantasmatico delreros, il rilievo della distanza moderna. Nel mio nuovo libro che uscirà a maggio da Einaudi -che non è un poemetto. ma un canzoniere con tante poesie- uno dei nuclei forti è la riflessione sulla distanza, su che cos'è oggi l'eros e su Il' orizzonte della comunicazione, che spoglia ilpresente di ognuno di noi fingendo la presenza e l'immediatezza. L'altro tema è quello della nostra vita legata molto all'alea, cioè la lotteria, i cavalli. il gioco, la schedina. le figure dell'alea cui si delega la vita. La poesia nasce con emozioni. con oggetti, con figure precise e poi matura dentro e quando si monta un libro si constata che esiste una costruzione di senso. Oggi la cosa che ci manca di più è trovare il senso nelle cose che fai. Per questo il novecentismo non è una risposta, ma una fuga. lo intendo sia il novecentismo critico che quello creativo, quello che concepisce l'autonomia dell'opera d'arte. A me interessa molto l'eteronomia e poi il gioco tra autonomia ed eteronomia. Il rischio del! 'ontologia poetica è quello contro cui ha già combattuto a livello critico la generazione degli anni '50 («Officina», Pasolini stesso, Romanò) con riflessioni molto meditate e molto precise. E' il rischio di una letteratura, di un'arte fondata sulla separazione dal reale, dalle cose, dalle persone -quello che una volta si chiamava il popolo-, che va per i fatti suoi quindi, una poesia fondata sulla vita interiore (sulla macerazione, sul nesso amore-morte di una linea tardo-petrarchesca, di una linea molto lunga nella letteratura italiana) e non sulla vita di relazione. Oppure è il concentrarsi sulla metafisica del libro, della scrittura, Mallarmé ... Per me questo è un consapevole peccato del letterato ed è anche una scelta rassicurante perché tutta I' inquietudine, tutto il rovello sul passare viene così spostato dentro la dimensione della scrittura. Quello che resta fuori è però il rilievo epocale del!' esperienza, l'incontro fra il dentro e il fuori. E' poi la linea del sublime, ma beato chi trova il sublime nel quotidiano. Il «sublime» è per me Bertolucci. Caproni, Questo paese, Pasolini: là c'è infatti un'esperienza che non parte dal sublime per il sublime, ma parte dall'infame, dal reietto. dal quotidiano, dal basso. La poesia da sola non vuol dire niente. Caproni diceva "non voglio che mi chiamino poeta, io sono uno scrittore cli versi'·. E questo non per sminuire l'importanza della scrittura, ma perché nella riflessione sulla dimensione della scrittura passa tutto l'altro dalla scrittura: la corporalità e tutto quello che abbiamo dentro. Lo stesso Zanzotto ci ha parlato ciel pudore del poeta ad assumere questa parola. perché fondamentalmente la critica alla cultura dovrebbe arrivare alla consapevolezza che la cultura non può fare a meno del la poesia, e la poesia non può fare a meno della cultura, che la vita di relazione non può fare a meno di se stessa. Il poeta onesto è quello che si vergogna a dirsi poeta, come diceva Dylan Thomas ·Tu sei poeta un'ora al giorno, ma il resto sei il vivo•·. Ora, se il «vivo» riesce a trovare porzioni di senso e coscienza e a farle cantare lo fa perché la disarmonia del vivente trovi un risarcimento musicale dell'orrore, come ha fatto Baudelaire. Io perché uso la rima, l'assonanza o anche strutture ordinate? Perché servono a comunicare meglio un pensiero e una disposizione del pensiero. Credo che anche la musica, non esteriore e appiccicata, ma che è dentro, sia un tentativo di risarcimento dell'orrore. Anche lì. certo, e' è un peccato, da un certo punto di vista la poesia è sempre regressiva, perché comunque cerca un'armonia ma non penso però che questo sia negativo. se nel farlo la poesia rivela la disarmonia del vivente, della presenza, dell'epoca. E' come se dicesse: "potrebbe essere armonico iImondo, anche se la materia di cui parlo è disarmonica, dissonante, epocale". Non si tratta di mentire sullo stato delle cose. Direi piuttosto che le forme antevedono una possibile armonia e quindi la offrono come una promessa. c'era l'amore per le persone. Si andava dagli operai Penso che tutto questo ci sia nella poesia e che l'esperienza bellissima della gioia, di cui parla Bergson, del passare sentito come gioia, della presenza sentita come gioia possibile, sia anche quella della nostra generazione. Io non ero in Lotta Continua perché sposavo un'ideologia fuori di me. Dentro di noi c'era l'esperienza fondamentale della gioia, il rapporto con gli amici, con i compagni, con l'altro, con le compagne, la gioia fisica, l'amore. Io penso che proprio per questo ci siamo salvati. perché c'era qualcosa di prepolitico, di preideologico. che poteva essere etico nel senso del rapporto con l'altro. dell'amore verso la gente. In Lotta Continua c'era l'amore per le persone: si andava a parlare coi militari, con gli operai, anche per uscire dalla propria dimensione piccolo-borghese e per immergersi quasi in un· altra dimensione, puri ticandosi da un' origine di classe sentita come infamante o limitante. Io la sentivo così: andavo davanti nell'estate del 1992 Sì, questo paese che non ha per secoli avuto altra patria che la lingua delle opere d'arte, nient'altro che lo distingua, null'altra parte dalla bellezza cresciuta sul marciume, questo paese di artisti e di curie separati dalla gente comune, ah adattati per naturale ossequienza al potere sta ora marciando verso la sua fine, dopo aver eliminato le gioventù ribelli che solo potevano salvarlo dall'avere di se stesso questo esito vile; ah imbelli, niente fu mai più chiaro come in questi giorni di stragi mafiose di coraggiosi giudici e di inutili scorte, in cui esplodono con gli uomini le cose morte italiane: un vecchio ceto, le stesse sfere di poteri legali e illegali che si toccano e coabitano a scapito degli umili, li bloccano strozzati da innominati e podestà; ben visibile, in fondo, lo schema manzoniano, eccolo 1à sul video che rimanda l'esplosa realtà d'un'autostrada suburbana o d'una strada minata nel centro senza sbocco della città: poteri istituiti e criminali, la loro trista e intestina guerra, la loro indiscutibile, vecchia e assassina complicità; e sfila nelle bare la Repubblica, ora scossa mentre la gente applaude irata e commossa intorno ai morti urlando la pietà, ma in questa tragedia italiana che non ha fine, ahi anche questa emozione passerà se non sapremo fare nostra la giusta libertà .. Gianni D'Elia ts1011otecal:i1no t:S1anco alla Beriell i ed è stata anche un'esperienza frustrante perché gli operai ti dicevano "A vlem i sold, no i vulanten", e io gli dicevo con rabbia ·'chiedili al padrone i soldi, stronzo!". L'ho scritto anche in lnfernuccio. Chiaramente la dimensione dell'andare verso l'altro era un sogno, una sorta di palingenesi, una purificazione della propria origine di classe, ma anche una spinta a comunicare. Per me il dato era anche umano e prepo1itico, era l'esperienzadella gioia, dell'intravvedere che la vita, se liberata, poteva essere bella, e che nel!a forma dell' oppressione, invece, era meschina e degna di essere combattuta. La poesia secondo me è arrivata anche perché questa generazione l'ha vissuta, per quanto implicitamente, non in termini di formalizzazione letteraria. Come "forma" l'ha in realtà molto dimenticata. Uno dei sensi di colpa della nostra generazione, dei dirigenti del movimento, è stato il rapporto mancato con Pasolini, il non aver capito quello che Pasolini cercava di dirci. L'ideologia era limitante se non veniva vista come un'esperienza vitale. Quando lui scriveva gli articoli prima di morire, nel '75, c'era da parte dei militanti, della base, un'avversione, uno sprezzo, un'ignoranza. Nel corso del dibattito seguito alla sua morte arrivò da Torino alla sede di Lotta Continua un telegramma "Basta con queste cazzate, parlate delle lotte operaie". Quindi c'è un rimorso: le cazzate, cioè la vita, l'esistenza, le forme della contraddizione vitale, non solo sociale ... poi c'è stato anche un rimorso generazionale, per non avere capito la sua voglia di 'comunicare e questo a causa di una spocchia ideologica, non temperamentale, incapsulata dentro un'onda lunga che persisteva. la sua crisi generazionale doppiava la nostra Leggendolo dopo, nel '77, io ho scoperto la sua poesia straordinaria, che viveva l'esperienza della crisi di una generazione che era stata la sua e doppiava la nostra. La questione che dovevamo allora affrontare, il conflitto con un'ideologia che sacrificava il vitale, era, 20 anni dopo, la medesima di Pasolini -Le ceneri di Gramsci- ed era straordinario vedere come coincidesse il sentimento di una sconfitta, l'elaborazione di questo sentimento e soprattutto della contraddizione di questo dissidio. Oggi abbiamo capito che la contraddizione non era solo fra il capitale e gli operai, ma fra la vita e la forma di ogni sua possibile rappresentazione istituzionale. Accettare quindi oggi la contraddizione e non sanarla continua ad essere la linea esistenziale di ognuno, mentre prima forse c'era l'ipotesi di poterla chiudere dentro l'ideologia, il che non è possibile. Bisogna sopportare la contraddizione, non è possibile chiuderla neanche in un pensiero, in uno stato, in un'ipotesi di società. Dobbiamo invece pensare che probabilmente l'utilità (se c'è un'utilità) della parola poetica, è la sua estrema concretezza. I poeti ci danno I'"urto" percettivo col reale, con la presenza, con l'epocale negli oggetti, nelle creature. nel sentire. che anticipa tutto ciò che ancora non è stato pensato né dalla filosofia né dalla scienza (così cerco di comprendere l'esigenza heideggeriana). La funzione dell'arte è proprio questa: anticipare nell'urto esistenziale il non ancora pensato dalla filosofia e dalla scienza. Se l'istanza esistenziale, l'urto con le forme dell'esistenza in cui siamo immersi sono al fondo della parola poetica, è chiaro allora che diviene fondamentale per la poesia e per l'arte il rilievo dell'altro da te, l '«esposizione» al reale. Per chiudere vorrei tornare a quei versi che hai letto ieri sera, che sono tratti da un tuo poemetto ancora inedito, intitolato Voto d'aprile. Parlando del cambiamento di nome del PCI, auspicavi un partito "che assumesse la chiara ideologia della Ginestra". Questa idea di una "politica leopardiana" è seducente e non estranea alla vicenda di questo giornale. I versi sono questi: "Ah, solo un partito che assumesse la chiara/ ideologia della Ginestra - solo questa mesta/ e veritiera coscienza necessaria avrebbe il cuore// di vincere il malore, i vivi confederare, battere/ la volontà del volere, di chi non si vuole mortale ...". li riferimento in questo poemetto era proprio alla riflessione che anche il "politico" (inteso come sostantivo astrattivo) potesse essere superato. Noi abbiamo vissuto per anni l'esperienza politica, poi l'esperienza della cancellazione della politica e della cosiddetta "autonomia del politico" che ha sostituito la politica. Ora, dopo tutti questi anni, e dopo la sconfitta e l'elaborazione che di essa c'è stata, quello di cui si sente il bisogno è la ricostituzione della politica e la liquidazione del «politico», inteso come autonomia del politico. Questa potrebbe allora essere la grande lezione leopardiana: riacquisire e riassumere su di sé la mortalità come orizzonte dello stesso fare politico. assumere la chiara ideologia della Ginestra L'ideologia della Ginestra è proprio questa coscienza del passare umano, coscienza che non deve portare alla disperazione, ma alla coscienza del destino. Il limite stesso della categoria del politico è quello di costituirsi come qualcosa che si autoperpetua, che ignora la radice, l'orizzonte della finitezza, della mortalità e che quindi si concentra sulla volontà di potenza e dimentica il passate. Leopardi mi sembra che ci abbia lasciato un grande messaggio politico: la confederazione degli umani non nasce, egli scrive, dalla bontà umana, ma dalla necessità (veritiera coscienza necessaria). Il leopardiano "vero amor" nasce da un dato di cultura, dalla coscienza della necessità del!' unione contro iIcomune nemico, che è iI destino biologico. Nel mio nuovo libro c'è una poesia che parla di questo concetto della politica. Questa poesia è nata nei giorni della Pantera studentesca del '90. Andai a trovare un amico a Padova e insieme a lui ci recammo a Lettere occupata. Qui ho assistito ad una scena che poi ho raccontato in questa poesia: una ragazza scoraggiata, viene fuori dal crocchio dove due si accapigliano, fanno polemica, e impreca fra sé "Ah, sempre polemica!", poi torna sui suoi passi e ricomincia con la voglia di discutere. La poesia finisce con questa ragazza che capisce e dice: "La gara da polemica a politica, la vera ...". Questa è la vera gara! Politica se ne fa infatti pochissima, per lo più si rimane prigionieri della polemica, anche quando ci si muove, come in questo caso, dentro un'ipotesi di liberazione. Questa gara, da polemica a politica, lunga, difficile, da imparare, è però la posta in gioco. La tattica potrebbe essere anche questa. Questa scena è stata molto illuminante. La poesia dice: "Tra sé a ridire, irata e scorata, che la scena / sempre d'ubiqua polemica era, da mane I a pranzo a cena, - pure bene e concreta sapeva// già dai dispacci in versi e la guardiola / fitta di turni e scadenzari,-che quei due/ cinti dal crocchio, in piedi, si affondavano I nella verbale paludosa arena, saggiando la non breve// gara da polemica a politica, la vera ...". Questo venir via, poi ritornare con questa voglia di cambiare le cose ... questo è probabilmente quello che si dovrebbe fare in futuro. Quanto a ciò che potrebbe essere quello che con una boutade hai chiamato il partito della Ginestra, direi che si tratta non di un partito ma di una pratica esistenziale, in grado ad esempio di acquisire come dato fondamentale di tutti gli uomini la poesia, ma non in senso specifico, letterario, retorico, estetico. La poesia va qui intesa piuttosto come cuore del momento vitale di ognuno. Io non credo che l'emarginazione della poesia dal pensiero politico sia un dato acquisito, come se la poesia parlasse di un'altra cosa ( di questo abbiamo discusso parecchio anche con Franco Loi). Che cos'è in fondo il discorso leopardiano se non l'acquisizione su di sé, attraverso la musica, di una parola molto prosastica (la critica fatta ~Ila -Ginestra è stata che non era una poesia)? Questo dovrebbe essere un punto di riferimento letterario per i poeti nuovi. La Ginestra è uno dei luoghi miracolosi in cui il pensare e il sentire nella lingua italiana si sintonizzano su una riflessione, che però parte fondamentalmente dal sentire, dall'essere dentro un paesaggio, dall'inerpicarsi su un vulcano, dalla presenza. Anche l'argomentatività della Ginestra come stilema linguistico letterario è quindi importante, proprio per superare il dato del1'attimo simbolista e instradare la poesia sulla durata cognitiva (la durata non può esistere in poesia se non come cognizione dell'evento). Il simbolismo ha puntato molto sull'estetica dell'attimo. Il guado del '900 è quel tentativo di lasciarsi alle spalle l'estetica, la poetica dell'attimo per una poetica del la durata e questo guado richiede l' acquisizione del passo cognitivo e argomentativo che è forse anche iIpasso del poemetto, della lirica, della capacità di cogliere un evento in uno spazio metrico breve, ma concatenato con altri spazi metrici brevi che compongono quasi un romanzo lirico, come ho tentato di fare con Febbraio, con Segreta e con altri libri. E come cerco di fare anche in quest'ultimo Notte privata che deve ancora uscire. Esso presenta addiritturaall 'inizio una poesia che cerca teoricamente di dare l'immagine di un mortaretto che scoppia, caduco e istantaneo, che diventa figura di senso di questo guado in cui siamo. L'ultima quartina dice: "E come ancora soltanto/ riardé la cosa bruciata, I se presto in durata dirada / la fiamma tutto il su0 vanto". Ecco, questo dato dell'istantaneo che invece ha come scommessa la durata, "la fiamma tutto il suo vanto", è quasi una fotografia del domandare della poesia. - UNA CITTA' 9

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