Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

· di politica economico. Non c'è oggi un' altra forma economica, ci sono diversi modi di praticare il capitalismo, manon ci sonomodi di produrre ricchezza al di fuori di esso.Ci sonodiversi modi di stare nella modernità, ma non ci sono modi per stare ali' altezza degli altri attraverso strumenti politici non moderni. Non sto teorizzando che il capitalismo è meglio, non voglio emettere alcun giudizio. Yogl io solo far notareche,dove vi sono lecondizioni storiche e materiali per dare inizio ad una forma di produzione di tipo capitalistico. non credo che le grandi masse siano pregiudizialmente ostili. Mi si può rispondereche vi sonodel le forme politiche la cui legittimazione è data da una religione non secolarizzata, come I' islamismo, eche lì non c·èverso di ottenere che il centro della lealtà di queste masse passi dal fondamentalismo ad una visione più laica della vita. Continuo a non credere che questo sia vero, ma non lo so con certezza. Ho il sospello che non tutto l'Islam sia fanatico e nemico del libero mercato e delle libere istituzioni. Bisogna poi tener conto che parte dell'Islam non ha quasi problemi economici grazie al petrolio, cioè a una risorsa non rinnovabile, e quando finirà avranno qualche problema. Ci sono poi paesi di disperata povertà, anche per problemi geografici. I paesi del Sahel sono oggettivamente disperati, ma direi, con tutto il rispetto e la vicinanza morale, che non fanno testo. Quella crisi non è l'emblema del mondo moderno. ricclti perclté si ruba al rer.zo Mondo? Non è vero. Certo la modernità ha delle aporie, ma la politica non le può riso)verepienamente.Questo è il punto fondamentale: la politica non è lo strumento per risoIvere le aporie, pensareche possa risolverle è avere una visione escatologica della politica. Il tasso di complessità del nostro vivere associato è talmente alto che non è risolubile; ci sono certamente delle costanti che sono riconoscibili e di cui si possono vedere i limiti, ma sono sempre a un livello di astrazione tale che tentare di risolverle attraverso un complesso di azioni pratico-politiche produce dei disastri. Pensiamo all'aporia principale, che è probabilmente quella dei nostri rapporti col terzo mondo e con la natura. Vien detto che il modello capitalistico funziona in Occidente al prezzo di depredare il terzo mondo e/o di distruggere la natura. Non lo credo. perché non è vero che noi ci siamo arricchiti rubando adaltri, questo è un modo di pensare alla politica e all'economia assolutamente primitivo. Noi ci siamo arricchiti producendo ricchezza e se qualcuno è stato depredato,questoèstato i I proletariato occidentale, non gli indigeni del terzo mondo. La ricchezza nel pianetanonè una quantità fissa che viene distribuita più o meno equamente.e a noi sarebbero toccati iniquamente i 3/4 della ricchezza del pianeta: la ricchezza è ciò che è prodotto. Inoltre non è storicamente vero che la ricchezza cieli·Occidente nascadall'aver depredato il resto del mondo. Come non èstoricamente vero che il capitalismo sia destinato ad entrare in collisione con l'ambiente in modo strutturale e catastrofico. Ma di quale capitalismo parliamo? Un capitalismo a forte controllo democratico ad un certo punto mette in conto le risorse ambientali. li capitalismo di stato sovietico ha devastato, sotto il profilo ecologico, mezzo pianeta, ma perché in Occidente ciò non è successo?Perché ci sono l'opinione pubblica, i partiti d'opposizione, che lo hanno impedito. Nonostante questo in Occidente l'ambiente è fortemente degradato, ma vedo molto più una responsabilità politica che una responsabilità economica. I palazzinari saranno sempre disposti a riempire di cemento qualunque angolo di questo paese, non pretendo che non siano disposti a farlo, pretendo semplicemente che il potere politico glielo impedisca. Cosa fattibilissima senza mortificare l'economia. Quello che conta è che il potere politico non sia colluso con quello industriale e gli impedisca con durezza di inquinare. Un bravo industriale non inquina, fa grande pubblicità al fatto che non inquina e fa pagare i suoi prodotti di più, basta introdurre la variabile protezione dell'ambiente nei costi. La semplificazione per cui esiste una mega macchina mondiale, con centro a Francoforte, New York, Londra, Hong Kong, che si abbatte sul!' Amazzonia e distrugge la foresta vergine, non rispecchia la realtà. L'Amazzonia è distrulla da gente mandata là dal governo brasiliano. Quelle sono decisioni politiche contingenti che nasconodalla premodernità di quel governo, dal suo preferire un rapido guadagno oggi ad un investimento ecologico sul futuro. Certo il capitalismo modifica l'ambiente, modifica gli stili di vita, ma come effetto del capitalismo c'è stata anche la nascita di una sensibilità ecologica, il desiderio di tornare al tempo dei "mulini bianchi", il vagheggiamento di un'età dell'oro, in cui il nostro rapporto con la naturaecol mondo era,ma non è vero, meno duro. meno rigido, meno ossessivo e affannato. da sudditi riottosi a cittadini responsabili Bisogna però distinguere ciò che è impallo psicologico da ciò che è minaccia strutturale ali' esistenza del genere umano, equesta io non la vedo. Nel nostro futuro non c'è una riconci Iiazionedel l'uomo con la natura, né dell'uomo con gli altri uomini, né dell'uomo con dio. C'è una riconciliazione di noi con un nostro destino che può esserepiù o meno piegato, modificato, ma lasoluzione dei problemi del mondo non esiste. Né, tantomeno, questa soluzione è la politica. Il senso della politica sarebbegià molto che fosse vivere in libere istituzioni volute da tutti e da ciascuno. Ma uno degli elementi che distinguono l'essere umano è la richiesta di senso, nella politica non c'è uno spazio per essa? Certo. Mettere le mani negli ingranaggi del potere,adesempio, può essereunagrande, nobi le ambizione. Pensatead un momento costituente: una nazione che si interroga su se stessa e decide che fare, in modo relativamente libero, con ampio dibattito: c'è abbastanza senso per accontentare una generazione. Abbiamo davanti a noi, se vogliamo, se lo riteniamo opportuno, il compito di diventare, da sudditi riottosi, cittadini, che vuol dire essereancora più severi verso noi stessi. Nel rifare uno stato-nazione secondo me di senso ce n'è parecchio. La domanda di senso, un senso molto forte, era ciò che nel nostro paese caratterizzava la sinistra. Adesso per la sinistra che prospettive ci sono? Può solo diventare una sinistra di tipo anglosassone o è ipotizzabile un altro sbocco? Sono assolutamente sicuro e convinto che non ci sia compimento. Noi stiamo vivendo ali' interno di una teologia politica della differenza, non del compimento. Politicamente Dio è morto, non stiamo marciando verso un "Ordine·', non c'è più "Ordine". Non c'è più una sostanza che innerva il mondo e sarà bene che lo teniamo ben presente. Heidegger, per nominare un filosofo molto citato nei diba11itia11uali. non ha teorizzato il compimento. ha teorizzato che, se prestiamo ascolto ali' essere, forse l'essere ci apparirà in un modo diverso da quello in cui oggi, nascondendosi, ci appare. Chi pensail compimento, la chiusura. la fine dei tempi, la riconciliazione, pensa a dei sottoprodotti del problema. Questi sonobisogni indotti, non sono alternati vi. Riguardo alla sinistra, va sottolineato che la sinistra anglosassonenon è unasinistra "gialla'', asservita al padronato. Basta chiedere notizie al padronato anglosassone su che cosa sono gli scioperi là: cose che noi non ci immaginiamo neanche.Certo lì nessunovuole fare la rivoluzione bolscevica, non nesono rimasti molti a volerla fare sul pianeta terra, dati i successidi quella storica. Si dice che è stato un tragico equivoco echesi potrebbe fare meglio un'altra volta, ma non credo che la contraddizione strategica dell'età moderna sia quella fra capitale e lavoro. Se c'è una contraddizione strategica è quella che dicevo ecioè la teologia politica della differenza assoluta. rappresentare la na.zione: un Gramsci da abbandonare Questa è la vera contraddizione: noi siamo diversi da dio e non c'è mediazione che tenga. E a tenerla viva e a farcela vivere come contraddizione ci bastala chiesa. Noi dovremmo viverla come consapevolezza e cioè che è finito l'ordine sacro o comunque l'ordine garantito, sostanziale. Il compito della sinistra potrebbe essere stare dentro questo ordine, conoscerlo e accettarlo senza riserve, perché questo ordine contiene infinite possibili declinazioni e naturalmente una cosa è una società di modello berlusconiano, altra cosaè una società di modello svedese.La tassazioneprogressiva che arriva al 92% fa la differenza rispetto ad un paese,ad esempio gli U.S.A., in cui quando arri vaal 36%ègià molto. Queste sono differenze tutte compatibili, e qui ciascuna forza politica si gioca e sceglie di analizzare la realtà in cui vive nel modo a lei più proficuo, sperandochesiaanche iI modo più realistico. La sinistra in Italia deve rifare tutto. Prima di tutto deve ripensare sestessa. poi il senso dello Stato, e deve lasciar perdere l'idea gramsciana di rappresentare tutta la nazione. Deve abbandonare l'idea che ci sia un universale in atto nella storia e un portatore particolare dell'universale, cioè un portatore, un tempo era il proletariato, che contiene in sé la negazione determinata. Non è così; la sinistra non si deve far carico della nazione, dello stato-nazione, nessuno deve farsene carico. La sinistra si deve far carico del modo di inserire nell'interno di uno stato-nazione gli interessi, degnissimi, dei suoi rappresentati. La sinistra, in un momento di rifondazione costituente della cittadinanza italiana, dovrebbe stare insieme atulli gli altri allo scopo di volere uno Stato, questo universale vuoto, astratto, eppure tanto efficace. Poi, una volta che questo ci sia, insegnare ai suoi adepti a rispettarlo, aproiettare lealtà versoquestenuove istituzioni e giocarci dentro col massimo di durezza. Ma, almeno per una parte della sinistra, il problema non è che non si possa più credere al compimento, quanto tenere alto il senso del cercare ... E' la triste scienza del disincanto. Bisogna impararla, non chiedere troppo. Ed è già moltissimo. E' necessariounosforzo ed investimento di energie immenso per crederenel disincanto. E' talmente controfattuale, talmente lontano da ciò che vorremmo, che c'è veramente da impegnare tutto di se stessi per capire questa triste verità, che tuttavia deveessere accettatasenzarimpianti esenza fughe. Il sensodella politica è porre argini al disordine, non tanti argini da togliere il disordine, perché il disordine è fecondo, ma dar forma a qualcosache, altrimenti, è assai peggiore, anche da un punto di vista morale. Si pensi soltanto ache cosasaremmo noi senon ci fosse l'ordine politico, pur imperfetto e mediocre. Abbiamo enormi problemi e pericoli dacui di fenderci, sapendobene che unaparte di irragione resta dentro la nostra ragione. Non ci sono lemagnifiche sorti, non c'è la terra completamente rischiarata. Questo è assolutamente vero, però c'è modo emodo di abitare in una contraddizione. Io ho sempre teorizzato lo stare nella contraddizione, che è una cosa scomodissima, tuttavia più nobile, più umana, chenon tentaredi eliminare le contraddizioni. Tradotto in politica vuol dire che non va sublimata la richiesta di senso, ma va orientata verso il senso possibile. - PARZIALISSIME MA VERE Il ciclo storico delle rivoluzioni socialiste e proletarie si è chiuso per sempre in questo scorcio di fine secolo con la caduta irreversibile del comunismo: del comunismo tout-court. Si potrebbe dire che l'età delle rivoluzioni popolari era già finita nelle giornate di maggio del 1937 in Catalogna. Se non che, nel corso degli anni '60 e '70 abbiamo assistito in Europa, e particolarmente in Italia, ad una specie di rinascita sotto l'aspetto, al tempo stesso tragico e farsesco, di una lotta politica condotta da èlites intellettuali contro il sistema vigente, ed è sembrato amolti che tale ciclo avesse, sotto mutate spoglie, ripreso a far girare la ruota della storia nella direzione del "sol dell'avvenire". Si trattava invece di una farsa perché i soggetti che ne furono protagonisti -soggetti, nella sostanza, totalmente slegati dalla reale situazione socioeconomica della quale invece credevano di essere gli interpreti-, erano la ripetizione teatrale e caricaturale di una cultura e di una tradizione che proprio allora si stava spegnendo senza rimedio. Il parossismo della lotta armata è stato, a questo proposito, l'esempio più eloquente. Nella sua caduta il comunismo ha trascinato con sé anche il socialismo. Non poteva essere diversamente, visto che le aspettative messianiche che sorreggevano l'uno e l'altro si erano poste come premessa negativa per la comprensione della nuova realtà storica e per la crescita di una cultura veramente riformista, mentre la relativa prassi dello stesso riformismo si è inceppata in questi anni in Italia -ma anche in Spagna, in Francia e negli stessi paesi scandinavi- ' nelle secche dell'incapacità gestionale politica e tecnica, impotente a far fronte al processo sempre più diversificato e incontrollato della modernizzazione capitalistica. Questa, nel suo farsi, ha consumato e distrutto porzioni sempre più ampie della precedente legittimità popolare sulla quale finora aveva vissuto la democrazia, e in generale, il sistema liberale. La crisi dei partiti (Tangentopoli è l'effetto, non è la causa) nasce appunto dalla crisi della legittimità popolare della democrazia che, per l'appunto, sta metamorfizzandosi in altre soluzioni, tutte fondate sull'efficentismo tecnico ed economico e non più sulla sanzione politica e ideologica (il senso storico della proposta maggioritaria sta tutto qui: l'efficenza della governabilità viene anteposta al valore della rappresentanza). E' ancora una volta la secolarizzazione che avanza senza trovare ostacoli intelligenti ed avvertiti, che sappiano volgere a profitto della collettività quello che sarà invece l'esito certo di una nuova e più aggiornata ristrutturazione gerarchica della società, visto che tutto ciò sarà maggiormente basato sulla valorizzazione della meritocrazia. In questo quadro il socialismo, tutto il socialismo, non può che essere perdente: perdente perché non moderno, e tanto meno post moderno. Beninteso, se per socialismo si intende quello specifico movimento storico, ideologico, politico e ideale che assegna ai valori della giustizia e dell'uguaglianza una preminenza la quale vuole prescindere dall'efficentismo tecnico ed economico, quando invece le ragioni della modernizzazione richiedono sempre di più la messa in atto di un concetto di giusto ed ingiusto fondato sul riconoscimento dell'efficenza, cioè su un contributo - individuale o collettivo, non importa- che arrechi razionalità e ricchezza al processo complessivo del funzionamento sociale. Il socialismo, dunque, continuerà ad essere perdente se continuerà a pensarsi e a progettarsi come è stato finora. Diversamente, una strada percorribile può essere quella di sposare le ragioni etiche con quelle storico-economiche, ma ciò comporta, inevitabilmen81 bI I O eca Gino Bianco te, un ripensamento generale sull'irrisolto rapporto tra la dimensione rivoluzionaria e dimensione riformista. Una dimensione rivoluzionaria del socialismo, che voglia essere anche immediatamente una dimensione politica -per cui il socialismo è un movimento sociale le cui ragioni stanno al di fuori delle ragioni complessive della società- si configura oggi come una manifestazione settaria e, soprattutto, sterile. Il socialismo, invece, dovrebbe finire di essere l'espressione di una parte della società per rappresentarsi come un movimento generale, capace di dar voce ad un'universale concezione della giustizia nella quale, in linea di principio, tutti potrebbero riconoscersi. Ne deriverebbe una prassi riformista sul piano politico e un perseguimento rivoluzionario, anzi a dir meglio radicale, su quello etico. Ma questo significa la definitiva e irreversibile accettazione della civiltà liberale, che non dovrebbe più essere vista come un ostacolo da abbattere, ma come un trampolino di lancio da cui partire. In questo modo, la parte conservatrice e reazionaria del liberalismo e della democrazia verrebbe spinta ai suoi confini naturali, per cui lo scontro avverrebbe sul piano dell'avanzamento generale della libertà e della giustizia, le quali sarebbero senz'altro determinate dalla curvatura storica del momento -dunque una parzialissima giustizia, una parzialissima libertà ed una parzialissima uguaglianza- ma costituirebbero comunque il patrimonio della stragrande maggioranza della società. Il passaggio obbligato, quindi, è quello che impone l'abbandono definitivo di ogni concezione classista, oggi del tutto obsoleta. Solo allora il socialismo potrebbe trovare la forza per ripartire, per alzare cioè il livello di giustizia e di uguaglianza ad una verità più profonda. Nico Berti ELOGIO DEL PECCATO In questi giorni io mi sento enormemente sollevato quando leggo o sento una notizia che mi ricorda l'esistenza del male anche tra la gente ordinaria. Come persona ordinaria che crede nell'esistenza del peccato originale (comunque lo si voglia chiamare) e che ne ha combinate tante nella sua vita provo un senso di gratitudine nei confronti di chiunque osi riconoscere che il suo sbaglio o la sua colpa, o quel che è, non sono automaticamente cancellati da una inchiesta giudiziaria riguardante i politici, i pezzi grossi, i capi del nostro paese. Se c'è qualcosa che mi rende affine a qualcuno in questi giorni sta nel suo evitare di auto assolversi pronunciando quella famosa formula magica che minaccia di trasformarsi nella pietra angolare della rifondazione della repubblica: "mani pulite". Stranamente l'uso di questa formula suona alle mie orecchie come una domanda di complicità. lo aborro frugare fra gli aspetti meno nobili della vita civile e dei singoli cittadini ma confesso che pur di trovare un antidoto all'alluvione di bene che sta avvelenando la coscienza degli italiani corro a bere avidamente dalla cronaca nera, purchè non mi riproponga per l'ennesima volta l'opus nauseous del tangentaro. Se fossi un censore promulgherei con procedura d'urgenza un editto di questo tenore: "Si ordina a tutti gli informatori di dare esattamente lo stesso spazio e lo stesso rilievo alle notizie su Tangentopoli e alle notizie di ordinaria malvagità (anziana signora lasciata in piedi per l'intera corsa de/l'autobus numero 57, barbone steso a colpi di karatè davanti alla stazione perchè puzzava, usuraio onorificato dai soci per gli ottimi risultati). Si fa divieto a chiunque di iscriversi ope legis nella categoria degli umiliati ed offesi dai grandi torti se prima non ammetta di essere responsabile di almeno un piccolo torto e rinunci alle attenuanti. Si obbligano i giovani studenti all'atto dell'iscrizione alla Facoltà di Giurisprudenza a seguire un biennio propedeutico di terapia analitica privo di ogni valore legale". Mi preoccupa in particolare una cosa: che il peso terribile e nefasto di tutta questa insopportabile santità che dilaga per l'Italia venga poi improvvisamente scaricato sulle spalle dei più giovani, di coloro cioè che avrebbero diritto a non essere ingannati, a sapere come veramente sono andate le cose, ivi compresi i condoni, l'evasione fiscale, le fatturazioni fasulle, i rimborsi spese gonfiati, e le tante forme di immoralità ordinaria. Che i furbi incassino il premio della loro innocenza e siano poi i giovani a doverlo pagare dedicando le loro energie non a migliorare se stessi ma a cercare il paradiso in terra. Dopo la caduta del fascismo la maggior parte degli italiani diventarono partigiani, per non parlare degli ebrei. Tutti li avevano aiutati, sulla loro roba nessuno aveva osato allungare le mani. Se l'attribuirsi meriti che non si hanno si risolvesse in uno sfogo di vanità, come per chi corre sul palco a farsi vedere a fianco del leader maximo di turno, passi. Ma dirsi onesti fino in fondo, proclamarsi senza colpa e senza macchia, ripetere e ribadire che "vedete dove ci hanno portati ... e in che stato ci hanno ridotto ... " fino a convincersi che non si ha nessuna parte e non si èmai cercato e trovato nessun vantaggio in quell'andazzo, è ipocrita e disgustoso. In questi giorni apprezzo più del solito la compagnia di persone moderatamente peccatrici. Michele Colafato E.N.D.A.S. - Comitato provinciale ASSOCIAZIONE CULTURALE 'PAIDEIA" PAROLE-CHIAVE Seminari sui fondamenti della storia della filosofia Quarto ciclo: ESTETICA Programma: • Venerdì 2 aprile '93, ore 17,30: "Platone e i poeti" Relatore: Rocco Ronchl • Venerdì 9 aprile '93, ore 17,30: "La catarsi tragica nella Poetica di Aristotele" Relatore: Ivan Zattlnl • Venerdì 16 aprile '93, ore 17,30: "Dionigi L'Areopagita e Dante. La poesia apofatica" Relatore: Ivan Zattln/ • Venerdì 23 aprile '93, ore 17,30: "Nietzsche e Dostoevskij. La psicologia dell'uomo del sottosuolo" Relatore: Rocco Ronchi • Venerdì 30 aprile '93, ore 17,30: "Bergson. Un'ipotesi sul comico" Relatore: Rocco Ronchl • Venerdì 7 maggio '93, ore 17,30: "Il dialogo HeideggerHolderlin. 'Ma ciò che resta lo fondono i poeti'" Relatore: Ivan Zattlnl A conclusione del ciclo, venerdì 7 maggio, alle ore 21, Gino Zaccaria leggerà alcune poesie di Holderlin nella nuova traduzione da lui recentemente proposta. I SEMINARI E LE LETTURE POETICHE AVRANNO LUOGO AL CINEMA SAFFI - Viale dell'Appennino 480 - Forlì Le iscrizioni devono essere effettuate presso il Cinema Salti o gli uffici ENDAS (C.so della Repubblica 83 - Forll) UNA CITTA' I 3

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