Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

A MACALLE' li colore è giallo spento. Che confonde ed appiattisce tutto. Un colore tenue, soffice, illibato. La vegetazione è scarsissima, per lo più bassa. L'unica cosa che si riesce a mettere a fuoco sono le pietre. Pulite, solide, antiche, compatte. Pietre ovunque. Ci vuole tempo. Poi l'occhio si abitua. Le pietre sfumano e nel fondovalle appaiono i campi, prendono forma le coltivazioni, si delinea il lavoro dell'uomo. Grano fra le pietre, orzo fra le pietre, tief fra le pietre. Una sorgente, un pozzo fra le pietre. Un villaggio, lontano, sulla cima della collina, fra le pietre. Di pietra. Un altro, sull'altro lato del versante, ed altri ancora. Tutti dello stesso colore: giallo spento.L'aeroporto dove atterro, dopo un volo interno proveniente da Addis Abeba, è solo una pista che si perde nella vastità dell'altopiano. Prima c'era una lunga recinzione in pietra ed edifici aeroportuali. Ora solo macerie. li Tigray ha combattuto l'ultima delle sue guerre contro il regime di Menghistu. Dopo 14 anni di combattimenti, di assedi, di bombardamenti, di siccità, di carestie, nel maggio del '90, la vittoria. Addis Abeba venne invasa da un'orda di guerrieri venuti dal nord. Combattenti laceri e smunti, le lunghe criniere di capelli crespi. Guerrigliere piccole e grassottelle, estremamente determinate. Ma non furono bagni di sangue, non furono eccessi, non sbrigative e sommarie rese dei conti. Nel giro di pochi giorni, per quanto possibile dopo una lunga guerra civ i le, la città risultò normalizzata. Da allora le strade della capitale sono ancora presidiate. Le pattuglie sono composte dagli stessi guerrieri e guerriere che ora vestono la mimetica dell'esercito del Governo Provvisorio. E' una presenza discreta, ordinata, rispettosa della legalità. li tassista mi porta in città a 20 km. all'ora, su una vecchissima Fiat 1500. E' eritreo e parla italiano. Durante il tragitto instaura un clima di complicità paesana. Poi penetra la città. Macallè è ovviamente costruita in pietra: qua e Ià qualche edificio diroccato non ancora ricostruito, un paio di moschee e di chiese cristiane, un grande mercato, l'antico palazzo residenza dell'imperatore Johannes. Le strade sono ordinate e tenute decentemente pulite. Il traffico di autoveicoli è scarso, quello di bestiame intenso. I cortili delle case sono dimora di buoi e vacche, di pecore e capre, di bambini e massaie. Lungo le vie principali numerosi i negozi, i bar, i locali di mescita di bibite alcooliche tradizionali, le latterie, gli albergucci, perfino qualche bar pasticceria. Pochi e dignitosi i mendicanti. I cittadini vestono abiti occidentali. I villani si avvolgono in ampi mantelli bianchi. Le donne, per la maggior parte, indossano il tradizionale abito bianco ed hanno i capelli intrecciati a fom1are una elaborata ed ampia acconciatura che si apre a semicerchio sulla nuca. Non si notano segni evidenti di propaganda, pochi e discreti i simboli del partito che ha guidato la guerriglia alla vittoria, non c'è presenza di militari nelle strade. Si intuisce invece la voglia di pace, di vita tranquilla, di recuperare l'antica quotidianità fatta di gesti semplici e conosciuti. La gente è serena, cordiale, discretamente incuriosita della nostra presenza. Il personale dei locali pubblici è cortese. Altra aria dal profondo sud in cui vivo. Un ragazzino mi affianca per strada ed attacca bottone. Gli chiedo della sua famiglia. Con molta serenità mi racconta di averla persa, tutta, sotto un bombardamento. Era un aereo russo, spiega senza emozioni. Ora vive con la nonna ed è seguito ed aiutato dalla locale missione ·'Don Bosco", retta da Salesiani italiani. Racconta di sé ma non c'è odio nelle sue parole. Non c'è autocommiserazione. Piuttosto c'è dignità. L'orgoglio di avere partecipato, di essere un oscuro protagonista della storia della sua gente. La dignità di questo popolo ha radici antiche. Il nucleo originale dei remoti Imperi d'Abissinia comprendeva il Tigray ed alcune altre regioni confinanti. Axum, l'antichissima capitale pre-cristiana è in Tigray. Gondar, la prima grande Capitale Imperiale della storia moderna, è qui vicino. Lalibela, millenaria cittadella-monastero, culla della cristianità etiopica, è poco più a sud di Macallè. Nell'altopiano qui attorno, sconvolto dal sole, dal vento e dagli eventi geologici, tutti quelli che hanno tentato la conquista, sono stati respinti: sudanesi ed egiziani, turchi e yemeniti, e ultimi gli italiani. Menghistu, nemico interno, barbaro del sud dell'Etiopia, non ha voluto tenere conto della storia ed è l'ultimo degli sconfitti. La gente, in particolare le donne, si mostra pacatamente sicura di sé, come chi vive nella sicurezza di un mondo in cui tutto è stabilito, è chiaro, è certo, è antico. Le donne che non erano in prima linea a combattere, erano a casa con i vecchi a coltivare i campi, ad allevare il bestiame, a tenere uniti i nuclei familiari, a piangere, ad urlare di non cedere. In Tigray, forse unico esempio in tutta l' Africa, è stata formalmente dichiarata per legge la completa parità di diritti fra i sessi. Loro stesse spiegano, con orgoglio e consapevolezza, che la quotidianità è ancora cosa diversa da ciò che è stabilito per legge. Ma aggiungono che la legge ha recepito, migliorandolo, ciò che già era acquisito dalla consuetudine. Ci rechiamo in un villaggio sull'altopiano. Lo si distingue appena: pietre organizzate geometricamente fra pietre allo stato confusionale. E' un insieme apparentemente casuale di case e cortili che si inerpicano sui versanti di due bassi colli. La vista richiama alla mente immagini medioevali: case di sasso e fango, stradelli polverosi, animali ovunque, nessun segno di tecnologia. Mentre mi arrampico con altri lungo le vie del villaggio vengo avvertito, unico italiano in una comitiva di tigrini, che un vecchio del posto dichiara di parlare la mia stessa lingua. Lo incontro poco più avanti e tento l'approccio: "Buongiorno, come stai?" Si volta di scatto. E' sorpreso ed incredulo al suono di una lingua che lo riporta di colpo indietro di 50 anni. Mi fissa per un lungo attimo, gli occhi lucidi e vivi. Lo sguardo brilla di stupore e di curiosità. Intuisco lo sforzo della memoria che scava nel profondo di una lunga esistenza. Percepisco il tremore delle labbra che cercano di pronunciare suoni perduti. Il sorriso si apre: "Sto bene, grazie" la risposta insicura, ma chiara. Racconta della sua gioventù e di quando c'erano gli italiani e della sua famiglia di origine e dei suoi figli e del suo campo. Mi invita nella sua poverissima casa, sono presentato alla vecchia moglie, beviamo il tè. Mi regala una manciata di uova e si scusa perché di troppo poco si tratta. Alla mia partenza ci scambiamo saluti fraterni. Rientriamo in città. Lungo il percorso il raccolto di un contadino sta bruciando investito da un improvviso incendio.L'autista blocca il fuoristrada. Tutti, uomini e donne, ci uniamo ad altri che già lavorano cercando di spegnere le fiamme. Ci ritroviamo avvolti da una nube di polvere e paglia, di fumo e di calore. Le spighe mordono le caviglie e graffiano la pelle. Salviamo buona parte del raccolto. Nessuno ringrazia e nessuno di noi se ne stupisce. Ciò che andava fatto è stato fatto. Così va il mondo, mi pare, là in Tigray. Andateci se potete. C'è bella gente lassù. Ma andateci in pace. Rodolfo Galeotti LO CHIAMANOPARADISO erano i mezzi normalmente usati per conseguire rango, potere, ricchezza, terra e la garanzia di consegnare rutto ciò allapropria stirpe. Creata, conservata ed allargata attraverso ipreziosi genitali dei capintesta, mezzi di produzione sociale usati anche dal popolo minuto. Che cosa ha a.chefare tutto questo con la prostituzione d'oggi? La totale incominglesi se per caso, fra le Loro tante stranezze, rientrasse anche questa nauseante consuetudine alimentare. L'incontro con Bueno avviene ai piedi di una delle tante cascate che discendono dal cratere dell'Haleakala, il vulcano spento dell'isola di Maui. Ad una svolta della tortuosa strada di Hana lo vediamo seduto, intento a intrecciare cestini di foglie di palma. E' circondato dalle macchine dei turisti, in gran parte americani, che approfittano dello spazio per fermarsi ad immortalare l'ennesima cascata. Ci avviciniamo mentre lui continua a lavorare, apparentemente indisturbato, e appena alza lo sguardo lo salutiamo. Dopo un breve scambio di battute gli chiediamo se è hawaiano, ci risponde che lo è "per metà": sua madre è un'hawaiana pura di Hana, il padre è un filippino immigrato alle Hawaii come bracciante. Lui infatti si chiama Bueno, Bueno Ventura De Via. Il corollario alla nostra domanda è un commento tra lo sconsolato e l'ironico. Ci dice infatti: "Se non farò figli, ecco che un altro po' di sangue hawaiano sarà andato disperso. Siamo rimasti davvero in pochi ormai''. Gli chiediamo del suo lavoro, dei cestini che intreccia per venderli ai turisti: sono l'unica forma di artigianato locale che abbiamo visto fino a questo momento. "E' difficile ormai trovare qualcosa prodotto dagli hawaiani in vendita qui, - risponde- quel la che trovate nei negozi è tutta roba prodotta in fabbriche di Honolulu o addirittura sulla terraferma. Io però sono contento così, i miei cestini mi danno da vivere. Chi sta meglio di me? Non ho niente, non ho un lavoro fisso, non vado in fabbrica o in ufficio o nei campi, eppure ho tutto, questa cascata è mia, questa foresta è il mio ufficio". Fa una breve pausa, poi riprende: "Non sarà così per molto, purtroppo. Ci sono già troppi turisti, anche se sono molti meno che dall'altra parte. Ci siete stati? E' brutta, solo alberghi, ristoranti, e poi la natura non è bella come qui. Ma forse riusciranno a rovinare anche questa parte. Adesso la strada è brutta, ma i turisti vengono lo stesso, è una processione continua di macchine. Quando finiranno di asfaltarla sarà anche peggio". A questa punto ci chiede da dove veniamo, e alla parola Italia fa un sorriso divertito: "Ah, è dove avete quella pornostar come sindaco, o qualcosa del genere ..." Approfittiamo per portare la conversazione sull'argomento politica e, dopo avergli fornito qualche breve chiarimento sulla situazione italiana. gli chiediamo che cosa ne pensa delle elezioni presidenziali americane e per chi ha votato. "Votare? lo non voto. Cosa cambia per noi con Bush o Clinton o l'altro, Perot? Loro, gli americani, si sono presi le nostre isole, la nostra terra e poi hanno detto: una parte molto piccola. il 10%, è per gli hawaiani, il resto è territorio federale, se volete potete comprarlo. Ma cosa vuol dire? Era nostra e adesso dobbiamo comprarla? Edè il terreno migliore,ci sono le piantagioni. Ma naturalmente chi lo compra sono gli americani, le grandi compagnie, le catene di alberghi, adesso anche i giapponesi, e piano piano se ne vanno anche le piantagioni per fare posto ai turisti. Prima non avevamo bisogno di molte cose, c'era la frutta, cocco, ananas, pescavamo il pesce ... Basterebbe veramente poco per stare bene qui, questo lo chiamano il paradiso, no? Però che paradiso è, oggi, mi domando io, dove ci sono i disoccupati, i senzatetto?". Gli chiediamo che cosa ne pensa delle scuse ufficiali che il governo americano, per quello che può servire, ha da poco tempo chiesto al popolo hawaiano per averne rovesciato la monarchia nel 1893. "Non ce ne facciamo niente delle scuse. E' la nostra sovranità che dovrebbero ridarci. La nostra monarchia non era poi male, il ~ ~ 0Kl·1,·:06lt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 nostro concetto di sovrano non è come quello occidentale, con l'idea di potere e possesso su tutto, è piuttosto l'idea di un sovrano benevolo verso il suo popolo, che regna per il bene del popolo". "E della vostra cultura cosa è rimasto?" "Ben poco, purtroppo. Da una parte, infatti, è stato importante andare alle scuole americane, perché se sei educato, se hai cultura, puoi combattere per i tuoi diritti, puoi far sentire la tua voce, ma d'altra parte in questo modo ti allontani dalla tua cultura, diventi simile a loro. Della nostra religione non è rimasto praticamente niente, siamo "convertiti", -fa una smorfia ironica- la maggior parte di quello che resta sono le "cerimonie" per i turisti". Il cesto è quasi finito. Passano alcuni turisti in mountain bike, il tipico aspetto dei californiani tutta salute, e salutano Bueno per nome. Sorride e ci spiega che lui non ce l'ha con loro, anche se non gli piacciono, che lui è gentile con tutti. Un americano che assomiglia, e non solo fisicamente, al padre di Dustin Hoffman ne "Il laureato", si offre di scattarci una foto insieme. Quando si allontana, Bueno lo guarda divertito. Poi compriamo il suo cestino, e lo salutiamo. Ci dice che è stato davvero interessante parlare con noi. Ma forse siamo solo altri turisti come tanti. !/aria Baldini Le Hawaii sono l'esemplare testimonianza di una totale interscambiabilità di esperienze culturali talché ogni forma di razzismo vi diviene inconcepibile. Con uno di quei tratti di buon senso elementare di cui spesso Lereligioni si impadroniscono attraverso fastidiose ed elaborate mitologie che ne complicano la naturale sostanza, gli hawaiani ritengono che chiunque vada a risiedere nelle loro isole divenga automaticamente indigeno, Kama 'aiUNIPOL ASSICURAZIONI AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, 10 FORLI'- Tel. 452411 no, unfiglio della terra da essa nutrito. Ciò spiega perché là convivano senza problemi, accanto ai superstiti polinesiani, giapponesi, cinesi, messicani, filippini, americani, inglesi, russi e tanti altri confusi in un gaudioso mesco/io di sangue. Poiché il sistema simbolico d'origine, del tutto empirico, venivafacilmente mutato in relazione alle esigenze pragmatiche di un 'aristocrazia eroica, con grande scioltezza si è sostituito a/l'antico prestigio del capo col suo esercito feudale di sotto~ capi e servi quello del/' imprenditare capi tal ista con le sue schiere di stipendiati e salariati. Ed ora i bianchi rivendicano a proprio merito il risultato della disponibilità di un sistema socia/e volatilee "destrutturato" ad assumere una qualsivoglia altra struttura, purché confacente a/- I' interesse dei capi. Nella logica del profitto immediato rientra il passaggio dall'economia agricola (canna da zucchero e ananas) a quella di risorse ricavate dalle basi militari e dal turismo. Che sono tutto fuorché industrie di base. In questo modo le Hawaii sono diventate, per la solita ironia della statistica, lo stato americano col più alto reddito medio ed anche coi prezzi più alti. Tradizioni e costumi sono stati disinvoltamente adattati allo sfruttamento commerciale, completamente spolpati di ogni sacralità. Prendiamo questa storia di leggendaria lascivia femminile. Le donne che si offrivano in massa ai marinai di Cook non UNIPOL: DA 5 ANNI, FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON fi.UwJ\U! neo erano in preda ad una foia tropicale ma, avendo identificato in Cook il dio Lono, che ogni anno ritornava per promuovere lafertilità della terra e degli uomini, vedevano in essi i suoi rappresentanti con cui si doveva celebrare unfestoso rito di fertilità. E prendiamo anche questa storia della generale licenziosità che tanto orripilò i rigorosi missionari calvinisti. L'esplicita sessualità dello "hula ", lafamosa danza di fianchi e di ombelico, faceva parte di un impianto sociale estremamente mobile in cui eterosessualità ed omosessualità, ipogamia ed ipergamia, poliginia e poliandria, incesto ed esogamia prensione del bianco per i popoli "pril'l'Jittvi"viene svelata, nello speçifico, anche da un altro episodìo. "Quandogli inglesi si videro restituire poche ossa di Cook, ucciso in una scaramuccia coi nativi, avendo saputo dai sacerdoti di Lono che il corpo del capitano, per sacre ragioni, era stato spezzettato, chiesero Loro se ne avessero fatto uno spezzatino. Al che costoro chiesero agli er gli al,l,onati Le Hawaii sono state il primo esperimento coloniale degli Stati Uniti. Un colonialismo morbido che tuttavia è sempre pervenuto all'estirpazione radicale delle culture d'origine mediante l'imposizione del proprio modello economico efficienti sta e produttivistico, ideologicamente supportato dalla predicazione protestante. Così l'America, valutando l'importanza delle isole per i traffici marittùni con l'Asia, cominciò con l'impadronirsi delle principali risorse economiche del!' arcipelago: lepiantagioni di canna da zucchero passarono nelle mani di proprietari americani. Nel 1886 si fece cedere la base di Pear/ Harbor ed impose un governo semipar/amentare, a tutto scapito della debole monarchia locale. Quando la più energica regina Liliuokolani tentò di restaurare l'autorità regia, l'America organizzò un incruento colpo di stato che la tolse di scena. Il nuovo governo provvisorio repubblicano concluse con Washington un trattato di annessione che si realizzò nel I898. Amen. Così è scomparsa, oltre a una nazione, un 'antica cultura, stentatamente memorizzata da solo I' 1 o/o dei 700 mila abitanti, cioè da quelli di origine polinesiana di cui i più puri, circa 250, si sono autoisolati sulla scabra isola di Niihan. li rispetto delle culture morenti si manifesta ora negli USA solo mediante una ricerca antropologica d'alta scuola teorica, esercitata sul campo in circoscritti territori di "sopravvivenze", isolati e sterili come quelli delle riserve indiane. Oggi, quando il turista si sentirà accolto dal dolcissimo saluto di sempre, "alhoa ", che in passato esprimeva una parentela di sostanza con l'altro e l'intento di dare senza ricevere, lo consideri solo un invito a svuotarsi le tasche in allegria. L.C I libri elencati di seguito possono essere acquistati con lo sconto del 15% riservato agli abbonati di "Una Città", per tutto il mese di aprile, presso: LIBRINCONTRO 2000 - Via Giorgio Regnoli, 76 - Forlì - tel. 0543/ 28347 - L. Pareyson. "Dostoevskiy" (Ed. Einaudi); - I. Mac Ewan. "Cani Neri" (Ed. Einaudi); - Y. Bonnefoy. "Racconti in sogno" (Ed. Egea); - R. Savinio. "Ombra portata" (Ed. Anabasi); - H. Murakani. "Sotto il segno della pecora" (Ed. Longanesi). l'alJIJonamento a UNA ClffA' è 30000 lire.

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