Una città - anno II - n. 18 - dicembre 1992

problemi di confine . IL PASSO DEL FER ARSI sulla presenza del limite nella storia intervista a Vito Fumagalli, storico del medioevo E' mai esistita in Occidente una società che si sia autolimitata? Ritengo che nessuna società si sia mai autolimitata e che, a partire da questa "condizione", si debbano fare delle differenziazioni fra le società, in Occidente come al di fuori di esso. Le società nascono da sistemi di valori che hanno una visione del mondo che fa loro valutare diversamente i rapporti tra gli uomini e i rapporti degli uomini con il mondo naturale. Nella nostra civiltà l'autolimitazione è un fatto intermittente, con degli sviluppi oggi imprevedibili. Non credo che si possa dire che in un domani più o meno lontano ci autolimiteremo in modo continuativo. Credo però di poter dire che si fanno, e sono stati fatti, dei tentativi di autolimitazione. Alcuni si sono anche realizzati ma, appunto, in modo intermittente. In realtà, la linea che ha sempre vinto è quella dell'affermazione dura nell' applicazione dei sistemi di valore, i quali hanno sempre avuto un limite nella loro bontà e validità. Ma di questo limite interno se ne è reso conto solo chi ha vissuto, per scelta personale o perché gettatovi, ai margini di;lla società . Eppure in passato venivano fatti dei regolamenti per l'uso delle risorse, al fine di non esaurirle. C'era quindi un forte senso del limite, una sua accettazione. Un'accettazione che, se pensiamo all'ingegneria genetica, oggi sta venendo meno. Non c'è, dunque, una differenza di segno che va oltre l'intermittenza? La differenza di segno rispetto all'epoca preindustriale sta in un senso profondo del rispetto per la fisicità. E con "fisicità" non intendo solo il mondo della natura esterna al l'uomo, ma anche la componente umana di questo mondo fisico e da lì anche la componente spirituale dell'uomo, la sua emotività, le passioni, le sue esigenze profonde. In tutta l'età preindustriale, cioè fino a poca distanza temporale da noi, si ha un profondo senso di rispetto per il mondo naturale. Questo profondo senso di rispetto, che spesso non è più che una sensazione profonda della complessità dell'esistente, è venuto calando nel tempo, ma ha ricevuto la scossa più forte solo negli ultimi anni. Una scossa Pri.rna., corne che ci ha ormai rimbalzato su un piano di estraneità quasi completa nei confronti di ciò che è fuori di noi o che è dentro di noi, ma che non abbiamo costruito noi. Costruito del tutto in base ad un principio, non dico razionale, che sarebbe la soluzione ottima, ma razionalistico, cioè di fiducia in un certo tipo di ragione e in un certo tipo di scienza. per dirla disperatamente "sia.mo nelle mani--di Dio" Una scienza· che si è trasformata sempre di più in uno strumento per conoscere dei meccanismi del mondo della natura e poterli poi utilizzare a favore di certe esigenze dell'uomo e soprattuto di certi suoi interessi. Una scienza da cui la tecnologia nasce, ma che ormai è soprattutto destinata a servire la tecnologia; una scienza il cui ideale, dalla fine dell'Ottocento e non solo in Europa, è approntare una tecnologiasempre più sofisticata, sempre più capace, sempre più agguerrita, sempre più potente. A venir meno, dunque, è stata la profonda sensazione della complessità di ciò che abbiamo di fronte, fuori e dentro di noi, di ciò che non è dipeso e non dipende da noi; una sensazione che potremmo semplicisticamente chiamare "rispetto per la natura". Oggi, per usare una frase disperata, siamo nelle mani di Dio. Non sappiamo dove stiamo andando; quanto sta avvenendo in tutto il mondo, ad ogni livello di attitudine umana, ci deve fare solo vergognare; nonostante vi siano certamente anche atteggiamenti contrari a questa tendenza, una volontà di contrastarla. Ma quanto avviene di tremendamente disumano lo conosciamo solo in parte. La grandissima maggioranza di persone, me compreso, non sa quasi nulla di ciò che avviene e di cui noi ·siamo tutti, più o meno decisamente, responsabili. Di fronte a tutto ciò forse solo qualcosa che non dipende da noi potrà cambiare la realtà, correggerla ... Quindi solo un Dio ci può salvare? Ognuno pensa a Dio a modo suo. lo penso ad una realtà .- d. pri.rna ptll 1 tel. 402346 Viale Roma, 8-.10 Fo:r:li (' !l esterna a noi, ma che ha forse bisogno di noi. Che Dio abbia bisogno o meno di noi dipende dalle fedi. Diciamo comunque una realtà esterna, un qualcosa che uno vede come un Dio personale, secondo la tradizione giudaica e cristiana. Un Dio che soffre, che ama, che è capace anche di "odiare", ma un Dio che significa anche universo, che nella sua anima grandissi ma guarda se stesso, ogni componente, e dunque guarda anche all'uomo. Ma se la tecnologia moderna è il frutto necessario e conseguente del medioevo come dell'ottocento, come si può dire che solo oggi ci ha portato al punto di non ritorno? Lei dice che la nostra fisicità oggi è del tutto tecnologica, ma non è sempre stato così, medicina e chirurgia non sono sempre state su questo piano? Evidentemente c'è stata una lunga evoluzione, ma sin dalle origini, sin dal momento in cui qualcosa si è mosso nella civiltà umana, si è riscontrata la volontà dell'uomo di comportarsi in un certo modo. Questa volontà si è da subito tradotta in tecnologia; dall'uomo preistorico che forgia i suoi oggetti con la pietra, ali' uomo che successivamente usa il metallo rendendolo sempre più resistente. Da quelle lontane origini la tecnologia progredisce nelle varie aree geografiche e, soprattutto, nelle varie civiltà; progredisce seppure non in modo continuo, rapido e uniforme. fuffe le altre civiltà sono sfate messe a tacere E' dunque una strada che percorriamo da molto tempo. Quel che non si può non vedere è che dal secolo scorso questa strada viene percorsa con una velocità che nel passato non ha mai avuto riscontro, fino a trasformarsi, negli ultimissimi anni, in un vortice. Nella continuità del privilegio della tecnologia nella civiltà umana vi sono dunque responsabilità durature. Vi sono anche, però, delle responsabilità "congiunturali", in cui il privilegio della tecnologia assume dimensioni molto forti, più marcate che in altri momenti; dimensioni quasi totalizzanti. Questo avviene, in particolare, dalla fine del secolo scorso. Questo movimento ha proceduto partendo da limiti, ma poi ha fatto scrivere la storia come la scrivono i vincitori, per cui tutte le altre tendenze, tutti gli altri sistemi di valori, tutte le altre civiltà, sono state messe a tacere. A tacere non solo perché sono state vinte, in parte o del tutto, ma anche perché la loro voce non è arrivata sino a noi. Oggi la storia dell'Occidente non ha più tanto significato, anche perché la studiamo troppo rispetto alle altre storie. .. . . . La storia è ormai storia del pianeta e anche di qualcosa di più. Ma questa storia noi continuiamo a farla, a costruirla, con un sistema antico, con la differenza che siamo diventati più sofisticati, più potenti, più tracotanti. Stiamo fortemente osteggiando o distruggendo le società che non approviamo. Ne stiamo eliminando i mondi, i sistemi di valori e le tradizioni. Mondi, sistemi di valori e tradizioni che hanno radice in un profondo contenuto umano che noi abbiamo già fortemente depauperato, fortemente rimosso, in noi stessi. Quello che abbiamo fatto in noi, nelle nostre terre, lo stiamo facendo altrove con una maggiore facilità, perché ora abbiamo strumenti molto efficaci, perché siamo molto più avanti sulla linea che ci ha portato a privilegiare le cose rispettoagli esseri. Un privilegio della tecnica rispetto alla conoscenza, un privilegio di ciò che è alienante rispetto a ciò che è profondamente umano. Siamo al paradosso per cui la tecnologia umana, prolungamento dell'uomo, sta indebolendo l'uomo? La tecnologia è un dato della civiltà umana al quale non si deve e non si può rinunciare. Ma non dobbiamo farne una divinità, una tendenza assolùta, cancellatricedi ogni altra istanza umana, della tensione spirituale. La tecnologia ci differenzia dagli animali, ci dà strumenti potenti per intervenire nel mondo animale con facilità e disinvoltura, ma anche con insipienza. Utilizzando la tecnologia abbiamo eliminato negli ultimi secoli moltissime speci animali. Ma è una tecnologia che abbiamo creato noi; ogni civiltà, ogni sistema di valori, ogni epoca, ogni ceto sociale si crea una sua tecnologia. Non dobbiamo più intendere, come già in epoca positivistica, la tecnologia come sollecitatrice e generatrice di civiltà. •• non sono p,u protesi, ma vere sostituzioni Una volta si faceva la storia, e in parte la si fa ancora, con la storia delle invenzioni e nei manuali di storia vediamo che le invenzioni. spesso legate a società che non le hanno affatto ritrovate, segnano il cammino dell'uomo, per cui la bussola ha significato tutta una serie di fenomeni, così il motore a scoppio o l'energia nucleare. . ,. ~ oK:rl!o.YOGlt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 CO Ma è ovvio che, più della scoperta in sé, è importante il perché la scoperta è stata fatta, in quale momento e soprattutto con quale destinazione. L'epoca del trapasso, il cambiamento più forte, più rapido e più sconcertante, si ha proprio tra fine Ottocento e inizio Novecento e non solo nel l'area occidentale. Le grandi crisi che scoppiarono allora, non a caso ci fu una gran fortuna della psicanalisi, come credo che non ci sia più stata, sono nate proprio per il sofferto distacco del l'uomo da se stesso, corpo e spirito. Un distacco che avviene in favore di una tecnologia che certo Io aiuta, ma che, in un'altro suo aspetto, ci fa in grandissima misura solo danno. Ci fa danno perché ci fa intendere i prolungamenti, gli ammennicoli, le protesi come sostitutivi di organi essenziali. Non sono quindi più protesi, sono sostituzioni, e qui sta Io sbaglio, ma è lo sbaglio della tecnologia che sostituisce la scienza. Una scienza che si è qualificata sempre più come ancella della tecnologia, non viceversa. La tecnologia dovrebbe essere un derivato del la scienza, un derivato a cui, se è il caso, applicare poi ciò che le conoscenze scientifiche ci fanno intendere. Con l'ingegneria genetica si è arrivati a toccare non solo la realtà, ma anche le potenzialità dell'essere umano. Come si possono allora stabilire dei limiti; è la società che deve farlo o è la scienza che deve trovare il suo limite? Gli scienziati, almeno una cospicua parte di loro, sono stati definiti come apprendisti stregoni e questo dice tutto. Ma non credo che si possa colpevolizzarli. Specificità a parte, sono sullo stesso piano degli storici, dei filosofi, degli studiosi di problemi religiosi, dei politici. La scienza ha vissuto il suo momento più vistoso ed eclatante alla fine dell'Ottocento, quando l'uomo credeva di risolvere tutti i suoi problemi con la scienza fisica. Yerne, per esempio, fu Io scrittore più ricco del suo tempo, quando gli scrittori non arricchivano, perché disponeva di argomenti scientifici, soprattutto dei grandi sogni della scienza, da applicare alla sua formidabile capacità narrativa. Gli scienziati oggi hanno alle spalle questa grande risonanza, igrandi successi nello studio del mondo fisico e quindi sono portati ad avere più ottimismo di altri. Non che i filosofi o gli storici non siano anche ottimisti, non credano anch'essi nel progresso, ma lo scienziato è portato, per legge d'inerzia direi, a credere, come si credeva alla fine dell'Ottocento, che la scienza possa risolvere molto. salvataggi clte non siano il contrario cli salvataggi Ora, cosa può dire uno storico, un umanista, come me? Può dire che significa avere molto ottimismo credere che la società possa capire questi problemi, che qualcuno possa spiegare come vanno affrontati problemi così gravi. Mi chiedo se il modo di porre certi problemi verrà spiegato bene o male; se l'uomo avrà l'umiltà, la modestia, che vuol dire essenzialmente l'onestà, di proporre salvataggi scientifici che non siano il contrario di un salvataggio. Purtroppo, la scienza mette sempre le mani in campi in cui spostare qualcosa vuol poi dire spostare più di quanto si voglia effettivamente fare. Ma anche ammesso che vi siano scienziati, come certamente ce ne sono, che possano intendere bene gli sforzi della scienza, crediamo che la società sia disposta ad accettare soluzioni veramente scientifiche, nel senso di veramente oneste? Fare questo significherebbe fare sacrifici, fare grandi rinunce. Già l'invito a fare a meno delle protesi, diventate ormai così tante, così parte di noi stessi, così trasformate in membra, in arti, in essenze, sarebbe una grande rinuncia. L'uomo si sta sempre più chi udendo in sé; nella nostra civiltà l'isolamento, l'egoismo, la chiusura, il continuo considerare gli altri come diversi, il continuo colpevolizzare il diverso, il renderlo spesso mostruoso, sono ormai diventati un fenomeno universale. Basti pensare a quanto sta avvenendo, con la prevaricazione più sottile, con la violenza più incredibile, nei confronti di quelli che, sbagliando, noi chiamiamo diversi, ma che tali non sono. Il diverso è un concetto nato tanti secoli fa e che per questo ha potuto rafforzarsi. Si è cominciato a considerare diverso l'animale e tra gli animali soprattutto alcuni, come il lupo. Allo stesso tempo, nel pieno e tardo medioevo occidentale, un'etica borghese tesa al guadagno vedeva nella donna minori forze in funzione della produttività, del lavoro, della resa, e ha cominciato a considerare diversa la donna. Si cominciò a considerare i boschi improduttivi e inutili e quindi si preferì sostituirli con campi coltivati che rendevano di più, senza pensare alla funzione dei boschi. Quando gli statuti comunali proteggono i boschi lo fanno perché costretti e non per un senso ecologico come Io intenderemmo noi oggi. I boschi vengono protetti

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