Una città - anno II - n. 18 - dicembre 1992

FINALMENTE -UNA STANZA PER ME intervista a Daniela Ciani, da anni impegnata nel movimento delle donne Quale ruolo ha avuto maggiore influenza nelle tue scelte di vita? Il ruolo che "non" mi sentivo. Il mio percorso di avvicinamento al movimento delle donne è stato proprio determinato dal sentirmi fuori posto nel- )' attività che svolgevo, nell' impegno politico. Credo che un elemento dominante sia stato il disagio, che riuscivo ad imputare solo a delle mie mancanze, ad una mia inadeguatezza, al "non essere capace di". Il fatto di essere attiva nella politica è stato un elemento sempre molto importante nella mia vita e tutta una serie di difficoltà che incontravo l'ho attribuita appunto, per tutto un periodo della mia esistenza, ad una sensazione di inadeguatezza, di incapacità. Poi l'incontro con il movimento delle donne, che è stato ed è tuttora, se dovessi definirlo, il luogo dove mi sono "trovata" e dove ho trovato altre. Non "le altre" in generale, ma altre. Quindi è per me il luogo della politica, dell'affettività, dei progetti da fare insieme, delle cose realizzate e da realizzare. Una stanza tutta per me. Se mai, dentro a questo percorso comune con una fetta di movimento, quello che ho trovato è stata la possibilità di non avere un ruolo, o di ricoprire diversi ruoli, in diversi momenti della vita, in diverse età della vita, a seconda delle scelte personali. Questo, a volte, anche in conflitto con quelle che erano delle condizioni esterne o le aspettative di altri, o le mie stesse aspettative non perfettamente chiarite. Forse bisogna distinguere il primo, principale ruolo, quello con la "r" maiuscola, che attraversa tutti gli altri: quello di maschio o femmina, dell'essere sessuati, che è il ruolo da cui discende poi tutta una serie di altre cose. In una certa cultura all'essere sessuato femminile appartengono compiti che si esprimono in tanti ruoli: sei la figlia, sei la madre, sei la sposa, possibilmente esemplare. Così come per l'essere sessuato maschile ne discendono altri. La possibilità di essere una persona equivalente, non necessariamente uguale, non necessariamente che miri ad essere il più possibile simile a qualcosa, questa possibilità di esprimermi l'ho trovata nell'incontro con il movimento della donne. Ho potuto scoprire che non c'era un problema di inadeguatezza mia nel fare determinate cose, se mai c'era un ambiente inadeguato a comprendermi, perché non ero abbastanza "uguale a". Questa scoperta è stata, da una parte, una grande liberazione nel momento in cui ho potuto spostare delle responsabilità da me ad un ambiente che non era abbastanza flessibile per comprendermi; dall'altra è stata anche una grossa e bella responsabilità, perché è cominciato il lavoro del costruirmi un luogo. Il disagio di cui parli è venuto fuori essenzialmente perché nella politica c'è stato un tuo incontro con ruoli maschili? No, questa sensazione c'è stata in una serie di tappe della mia vita. Perché c'erano delle aspettative nei miei confronti da parte della famiglia, e poi nella politica, nella scuola. Certamente, siccome ho frequentato molto la politica, in quell'ambito l'ho avvertito in maniera maggiore rispetto ad altre situazioni. Anche in casa, nel rapporto con i genitori, c'è stato questo elemento che adesso descrivo come sensazione ~ inaderatezza. Era;esto ed erano altre cose ancora, era il sentirsi abbastanza straniera. Questo percorso, dal senso di inadeguatezza al movimento delle donne, come è avvenuto? Innanzitutto c'è stato un "riconoscimento". Quando parlo del movimento delle donne come scelta privilegiata mi rendo conto, anche perché spesso mi è capitato, che in molti suscito anche il sorriso. Tutte le scelte che riguardano una parte vengono concepite, appunto poiché parziali, come meno valide. Sembra che se non ci si misura con l'universale, dando risposte a tutti i problemi e preoccupandosi complessivamente delle macrostrategie, si sia in qualche modo meno abili. Invece, tanto per esprimere subito una contraddizione, proprio nell'accettazione e nella scelta di questa parzialità io ho scoperto la possibilità di fare dei riferimenti di tipo universale, validi per tutti. Cosa che non mi era capitata nella politica con la "p" maiuscola. In questo senso mi si sono aperti dei confini. Il percorso fatto assieme ad altre donne è un percorso caldissimo, dove è in gioco una grossa affettività e dove non ci si misura solo con grandi progetti. La quotidianità e l'eternità si mischiano insieme. Ci sono anche occasioni di sofferenza, proprio perché metti in gioco con passione tutta te stessa, non solo una parte di te. La tua vita ne è attraversata in maniera totale. Quindi stai molto bene e stai molto male. E io di questa esperienza affettiva sono molto grata, perché mi ha fatto vivere con tinte forti, senza l'ambiguità del chiaro scuro. La mia vita politica dal momento in cui ho incontrato il movimento delle donne è stata una vita politica colorata. Parlando di ruoli li hai chiamati "compiti", che in qualche modo rifiuti. Cosa "senti", invece, esclusivo della donna? Non è un rifiuto dei "compiti". Ci sono dei momenti in cui assolvi a determinati compiti perché ti senti di farlo, in altri momenti no. Quello che rifiuto è il doverli fare per obbligo, perché ti appartengono in quanto connaturati al tuo essere donna. Prendiamo l'esempio più ricorrente, che è quello dei lavori domestici, del lavoro di cura. Il lavoro di allevamento e cura è un'attività che ha grandi risorse, dà grandi gratificazioni e grandi frustrazioni. Tuttavia è un lavoro dal quale non si può prescindere, è lì come un piatto al centro della tavola. La cosa che dico è che di quel piatto non devo essere l'unica depositaria. Voglio essere depositaria di quel piatto per le gratificazioni che dà, non voglio esserne l'unica. E' un insieme di compiti che compete alle persone che vivono insieme e va distribuito fra loro in una contrattualità che si ricostruisce giornalmente. La cosa che trovo insostenibile ormai, è che ci siano degli ambiti di competenza esclusivamente pertinenti ad un sesso. D'altra parte, ad esempio, essere donna secondo me significa una maggiore attenzione alle relazioni. lo questo lo rivendico. Penso che sia un aspetto che andrebbe maggiormente indagato. Una volta mi faceva molta paura ammettere la differenza. E credo che sostenere il discorso dell'uguaglianza abbia fatto bene a tutte, perché ci è servito a dire: "possiamo fare questo ...". Ad un certo punto il "possiamo fare questo" è diventato: "ma vogliamo fare uest.9?Ci interessa?". Il "questo" erano i compiti e le riflessioni pertinenti al sesso maschile. Adesso sono curiosa di andare ad indagare, invece, quali siano le nostre differenze. Sono convinta che proprio il fatto di avere nei secoli curato maggiormente l'aspetto riproduttivo della specie può aver consolidato la capacità di intrattenere relazioni, rispetto alla capacità, per esempio, di costruire steccati. Credo che ci siano anche delle capacità proprie del sesso. Ma queste diverse capacità non stanno in un rapporto di "più" e "meno". Stanno in un rapporto di equivalenza nella differenza: semplicemente io so fare cose diverse, vedo il mondo in maniera diversa, ho categorie di interpretazione della vita diverse. Che queste mi provengano da un fattore biologico non lo so, può darsi. Da un fattore storico sociale, sicuramente. Allora desidero che non ci sia più una sola realtà di riferimento, ma anche la mia. Ma non credi che certe strade intraprese dalle donne in questi anni vadano proprio nel senso opposto al riconoscimento e alla rivendicazione della diversità? Sono talmente convinta che ci sia questa differenza che penso agisca qualsiasi cosa noi facciamo, che addirittura a volte sia operante nonostante noi. Io rivendico la maternità delle cose che ho fatto fino ad ora. Noi non abbiamo avuto potere, mai. Abbiamo però espresso una potenza, perché nel gestire tutto l'apparato di riproduzione siamo un elemento di riferimento. E questa è una potenza, chiunque di noi guardandosi alle spalle sa di essere nato da donna. Il fatto è che questa potenza non è riconosciuta, non esprime anche un potere reale. Noi non sappiamo bene che tipo di società andiamo a precostituire nel momento in cui cominciamo a numerare da due, anziché da uno. Non lo sappiamo neanche per noi cosa significa questo. Io naturalmente ho una curiosità straordinaria di indagare questa cosa. Mi sembra un'utopia straordinaria, una mutazione genetica. Tuttavia per molti versi significherà cambiamenti e quindi anche l'accettazione di altri modi di essere. La cosa che non voglio proporre, che non mi sento più di proporre, è l'alternativa "o"- "o". Io voglio dire "e", perché credo che questo sia iImodo di cambiare completamente le categorie secondo cui si è organizzata la nostra vita sino ad oggi. Non soltanto la nostra vita di donne, ma anche la vita degli uomini. Non pensi che poi in concreto, nella mentalità, nella cultura, nella sedimentazione dei passi avanti e passi indietro, il modello emancipazionista, in qualche modo, vada a collidere con questi problemi? Un certo modello emancipazionista senz'altro collide fortemente, ed è il modello che interpreta la realizzazione di sé come omologazione. Se io intendo di potermi realizzare assomigliando il più possibile al modello che mi dà il maschio bianco, adulto e in buona salute è ovvio che c'è contraddizione, perché io non sono un maschio bianco, adulto, in buona salute. Ma guardarsi dentro, affermare per sé il fatto di essere come si è, e non come si deve essere, credo vada soltanto nella direzione di emancipazione da un ruolo culturalmente precostituito e storicamente predeterminato. E comporta la liberazione di una potenzialità diversa. Il modello CO emancipazionista può andare benissimo se non si traduce in un modello di omologazione. Se domando di potermi affermare come persona, mi emancipo da una condizione di costrizione. Ti faccio un esempio banale: le donne che vanno soldato. Nelle retrovie a curare i feriti si salva qualcosa di quegli aspetti propri della donna di cui parlavi. Ma se quelle stesse donne vogliono andare in prima linea? Quello è il modello omologante. Ma nonostante questo, sono convinta che faranno ugualmente scattare qualcosa. Prima pensavo proprio alla guerra del Golfo dove c'è stato un enorme problema rispetto alla costruzione di gabinetti per le donne e un problema per il trasporto degli assorbenti igienici. Sembra una stupidaggine, ma mi serve per dire che la differenza gioca nonostante me, gioca per strade non sempre eclatanti. Allora che faccia il soldato, ma nonostante cerchi l'omologazione la sua differenza agirà. Per me sono elementi di cambiamento e qualcosa produrranno, anche se personalmente ritengo che l'elemento del la battaglia, della guerra, ci sia molto estraneo come cultura. Tornando a ciò che affermavi prima, non c'è il rischio di trascurare di "essere", mentre ci si guarda dentro per affermare se stesse? Ad esempio nei confronti della maternità. Da parte di tantedonne c'è stato il rifiuto e poi, a distanza di tempo, la grande rivalutazione. Si sono riprese la vita. Si sono riprese anche questo aspetto della vita, ma ne hanno assaggiati altri. La potenza connessa al poter dare o non dare la vita, che è una potenza annichilente, forse è il terreno fondante del connitto uomo-donna. C'è una serie di clementi che depongono a favore del fatto che molto di questo confliuo si sia giocato sulla capacità di riproduzione della specie: oggi ci sono gli strumenti della scienza e della tecnica, si arriva a pensare ad uteri meccanici, c'è la riproduzione della specie in vitro; in passato c'era la monogamia. Questo è un livello di scontro possibile. Ma non vorrei che si demonizzassee il conflitto. Il conflitto c'è stato, c'è e continuerà ad esserci. E' un elemento vivificante, non necessariamente distruttivo. Bisogna prenderne atto. Anzi io voglio in molti casi che esploda in maniera riconoscibile, che non sia taciuto. Queste tecniche sulla riproduzione della specie che oggi offre la scienza sono una sfida che ci viene fatta e non credo che si possa rispondere a questa sfida dicendo che non dobbiamo scegliere la carriera, ad esempio. Su quello che significa, in termini psicologici, la capacità biologica di riprodurre ci dobbiamo lavorare ancora molto. L'istinto materno così come lo conosciamo è dell'800, non si è sempre espresso in questi termini nella nostra civiltà. Qualcuna di noi può non desiderare di utilizzare questa potenzialità biologica e la cosa non mi sconvolge. lo sono molto soddisfatta del- )'esperienza di maternità che ho fatto. E' stata una gran bella idea. Ma non faccio della mistica della maternità per questo. Ma scoprire la maternità a sessant'anni non è una sconfitta? Sì, capisco che sia una grande sofferenza per una persona che arriva a sessant'anni guardarsi indietro, scoprire di avere inseguitopersessant'anni un progetto di omologazione e adesso desiderare di riscoprire anche delle potenzialità che c'erano fin dall'inizio e che non ha potuto soddisfare. Perché non ha potuto? Ha scelto altre cose... Su questo non sono daccordo. Sull'elemento della "scelta". li problema è che ancora una volta la scelta non è nelle mani di quella donna, non di quella singola donna, in generale non è nelle mani di tante donne. La ricerca scientifica, l'analisi del rapporto fra etica e medicina, per la maggior parte, non è in mano alle donne. In un panorama di questo tipo la scelta, l'effettiva possibilità di scegliere, è molto limitata da una serie di condizioni sulle quali non puoi intervenire. Finché questi meccanismi vengono governati completamente dal1 'altro sesso la cosa mi spaventa molto. Per questo voglio discutere di bioetica, proprio per verificare se c'è un modo mio, come donna, di interpretare queste cose. Per adesso vedo che stiamo tentando delle strade che per alcuni versi mi sconcertano, perché gli strumenti che ci permettono di saggiare queste strade sono di fatto in mano ali' altro sesso. Mi sembra che nonostante il desiderio di contare "dal due", nello stesso tempo tu sia molto di parte, alle donne perdoni tutto, non hanno colpe, non sono responsabili di scelte ... Dal punto di vista individuale non è affatto vero che perdono tutto. Non a caso parlo "di" donne e non "delle" donne.. Ci sono donne alle quali mi se1_tto più vicina e donne con le.quali non mi sento di condividere· molte cose. Le differenze intervengono anche fra noi, ci sono donne a cui mi affido e donne a cui non affiderei niente. Non è che perdono tutto alle donne come categoria generale, però è vero che sono parziale. D'altra parte non siamo ancora arrivate alla cultura del "e". Allora essere parziale è l'unico modo per far sentire la mia voce, per affermare il mio punto di vista e lo difendo in maniera a volte anche schematica, ma questo non mi fa paura. Una volta avevo paura di non essere universale. Adesso non mi interessa niente di non essere universale. So che non lo sono. Sono femminista, cioè faccio parte di una corrente di pensiero che interpreta gli eventi in una realtà che ci ha sempre escluso. Non posso non fare contrapposizioni. E' tutta una cosa di testa ... Quando parliamo di differenza facciamo della filosofia, costruiamo un pensiero. Par1 iamo in termini teorici, contrapponiamo un pensiero ad un altro.C'è stato un pensiero che ha informato la nostra vita, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico. Deve nascere un altro pensiero possibile. Espressione di questo pensiero sono le donne. Quindi è certamente un fatto teorico. E comporta dei conflitti. Ci piacerebbe tanto essere in armonia, ma la nostra esperienza quotidiana ci dice che non è così. Bisogna farsi carico di questo, anche se ci fa male. Questa esclusione dal mondo tante la vivono proprio come un peso storico, una cosa che lacera la pelle. Ma questa filosofia del "e" pensi che sia un dover essere, oppure ci sono concreti messaggi in questo senso? Fare politica delle donne ha la caratteristica di essere un tutto tondo. E' vero che stiamo parlando di cose teoriche, ma queste attraversano la mia vita anche dal punto di vista pratico, in ogni momento della mia esistenza. Non si può fare questo tipo di politica senza esserne attraversate profondamente. E' una tensione, ma ha significati quotidiani nella mia vita presente. Ad esempio quello di fermarmi sempre quando faccio qualcosa, per chiedermi se c'entra con me oppure no. E anche fermarmi a pensare con altre donne. Fidarmi di altre, affidarmi ad altre e ricevere anche da loro fiducia e affidamento. Che significa il riconoscimento delle capacità dell' altra e la consegna ali' altra anche di una parte rappresentativa di me. Per questo penso ci debba essere un luogo, conclamatamente separato, di riflessione fra donne. Perché difficilmente in un luogo misto la differenza può essere assunta come fatto separato, come elaborazione separata. Questo mi ha messo molto in crisi rispetto alla mia militanza politica. E un certo modo di fare politica non mi appartiene più, non mi esprime, non ci sto dentro. Adesso faccio altre cose. Sono in un'associazione di genitori, dove faccio battaglie minime. Faccio dei corsi di orientamento per donne adulte. Provo a costruire, assieme ad un gruppetto di 4-5 donne, dei progetti di formazione specificamente rivolti a donne, provo ad ipotizzare delle azioni positive. Prendo abbastanza le distanze dalle istituzioni. Prendo gran: de distanza da una militanza politica intesa in senso tradizionale. Faccio la donna in nero. Faccio cose in cui penso di esprimermi e che valgono anche per altre, oltre che per me. Con dei progetti di cui vedo l'inizio e anche la fine. Credo di avere cambiato il mio sguardo sul mondo. Mi interessa molto costruire delle relazioni con le altre donne, relazioni che possono servirci a fare delle cose. Viceversa in passato si facevano delle cose, e questo determinava anche la costruzione di relazioni. Parlavi di tre cose come di un grosso bagaglio da portarsi dietro: badare alle piccole cose quotidiane, la cura delle persone e l'affidamento fra donne. Però la politica non resta un patrimonio strutturalmente legato alle grandi cose? Questo bagaglio può allora essere portato nel campo della politica senza perderne dei pezzi per strada? Io credo che questa sia una delle strade ineludibili che la politica deve percorrere se vuole rinnovarsi. Il fallimento della politica come l'abbiamo conosciuta e praticata fino ad oggi è sotto gli occhi di tutti. lo pratico una strada possibile di rinnovamento, che attiene al coinvolgimento nella politica della mia vita quotidiana. Il mio personale è politica nel senso che io faccio politica facendo una serie di cose nella quotidianità. Ci sono momenti in cui mi occupo di temi piccoli e ci sono momenti in cui mi occupo di grandi temi. E' un coinvolgimento costruito sulla base di una relazione forte con altre persone. Certo è molto più consolante pensare 1di occuparsi del mondo intero. •

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