Una città - anno II - n. 15 - settembre 1992

TUFFO AL CUORE sono anche i trapianti. Io ovviamente sono favorevole, al di là delle questioni etiche che essi possono portare; il vero scandalo mi sembra il commercio clandestinodegli organi col terzo mondo, oppure le disfunzioni della sanità pubblica per cui chi è in lista d'attesa deve aspettare anni per avere un trapianto e spesso si deve aspettare che altri muoiano perché vengano depennati dalla lista e si faccia posto per altri. Comunque credo che anche i trapianti in certi settori della medicina rappresentino un fase transitoria. Per organi come il cuore si arriverà alla sostituzione dell'organo con uno meccanico, anziché con quello di un altro individuo. In questo sensosi sta già lavorando, perché saranno sempre di più le persone che dovranno esseretrapiantate, di fronte invece ad una disponibilità di cuori che non sarà mai sufficiente a coprire il fabbisogno. Ma in una visione in cui l'individuo è un tutto unico di psiche e soma, gli organi hanno anche una valenza simbolica, il cuore è il simbolo dell'affettività, il fegato del coraggio, ecc. ecc., ma con gli organi meccanici? zione di determinate sostanze chimiche, le catecolamine, prodotte dalle ghiandole surrenali che vengono messe in circolo e determinano un'accelerazione del battito cardiaco. Certo, questo con un cuore meccanico non si potrà verificare perché non avrà le stesse innervazioni del cuore umano e quindi non potrà rispondere allo stessomodo econ la stessa completezza agli stimoli del cervello. I confini fra la vita e la morte sono stati sconvolti e in futuro potrebbero mutare ulteriormente. Resurrezione clinica e diriHo a decidere fa morte. rrapianti e cuori meccanici. Un'intervista a Franco Rusticaf i, primario di cardiologia. Rispetto ai costi sociali, fino a che punto è giusto dedicarsi a operazioni di trapianto, molto sofisticate e molto gratificanti per chi le fa, ma anche molto costose per la collettività e dalle quali trae beneficio un singolo paziente? Premessoche i pazienti gravemente ammalati di cuore devono potersi avvalere di tutte le più moderne tecnologie medico-chirurgiche, i by-pass ortocoronarici, la sostituzione delle valvole, fino al trapianto cardiaco, è pur vero che in questo modo andiamo a riparare un guastoche siègià verificato. I risultati ottenibili con questi arditi interventi sono piccoli rispetto a quelli che possiamo ottenere adottando la prevenzione primaria per evitare che la malattia si presenti, o la secondaria, per contenere lo sviluppo della malattia, invece della prevenzione terziaria, cioè riparare un danno che si è già verificato. L'incidenza della mortalità per malattie coronariche sarebbe molto minore. La prevenzione in questo settore è facile e difficile nello stesso tempo: facile perché si tratta di eliminare quei fattori di rischio, come il colesterolo, l'elevata pressione del sangue, il fumo di sigaretta, il diabete o la sedentarietà, ma è in parte difficile perchéquesti fattori di rischio sono strettamente correlati al modello socio-economico che ci siamo dati, quello cioè dei paesi industrializzati; più aumenta il benessere e più aumentano queste malattie. Quindi è difficile fare della prevenzione perché queste malattie sono strettamente legate in generale al tipo di vita checonduciamo, cheè allabase di quello che definiamo stress, un evento a cui il nostro organismo viene sottoposto quando è bombardato dai cosiddetti "stressor", cioè i fattori che determinano lo stato di allarme edi ansia del nostro organismo per la vita caotica che conduciamo. In sintesi, la medicina del futuro deve migliorare le tecnologie diagnostiche, terapeutiche e medicochirurgiche perché la scienza deve comunque andare avanti: ma una risposta molto più significativa noi l'avremo quando ci sposteremo nell'ambito della prevenzione. In Italia solo le briciole vi sono destinate, mentre il grosso va all'acquisto di farmaci, per fare esami ecc. ecc., in sostanza per curare. Alla basedella prevenzione c'è l'educazione sanitaria che consiste nel dare, specialmentealle generazioni più giovani, le informazioni riguardo ai danni che un certo stile di vita o certe abitudini come il fumo possono arrecare alla salute. Fino a che punto è lecito intervenire sul corpo o manipolarlo con l'unico scopo di prolungarne la vita? L'obiettivo unico o primario del medico può essere la vita intesa come pura sopravvivenza fisica e biologica oppure va posto un limite a tutto ciò? E' un problema molto difficile, sarebbe semplicistico dare una risposta netta e precisa; Non si può generalizzare; in questi casi credo valga la regola del valutare caso per caso, perché ogni individuo è diverso dall'altro e ogni malattia decorre in modo diverso in ciascun individuo. E qui sta la difficoltà perché noi cerchiamo sempre di costruirci degli schemi a valenza generale. Detto questo, credo che, in casi come quello della malattia tumorale, arrivati ad un certo punto, quando non ci sonoragionevoli speranze di dare un significativo prolungamento dell'esistenza, sia da evitare l'accanimento terapeutico, inteso come prolungamento della vita che sarebbe comunque temporaneo e permetterebbe una vita sempre più insopportabile; credo che invece vada fatto, e sia alla basedell'intervento medico, ogni sforzo per lenire il più possibile le pene del paziente con la terapia del dolore. In campo cardiologico il discorso è diverso, ed ecco perché dico che va valutato casoper caso. Il cuore ha delle potenzialità enormi ed imprevedibili: può cedere e morire improvvisamente oppure risponderepositivamente ad una procedura medica quando ormai si dava persa ogni speranza; ecco perché in questo caso ritengo sia necessario l'accanimento terapeutico: perché in ogni momento è possibile un miglioramento significativo. A proposito di terapia del dolore, è giusto lenire il dolore ottundendo la coscienza? PRENDI3 PAGHI2 - MELDOLAVIACAVOUR,180 TEL.491753 CASSARURALEDARTIGIANA - FORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' Io ho visto diversi pazienti, consultato come cardiologo e senzapoter fare assolutamente nulla per loro. Di fronte a certi casi, anche un medico veterano rimane sconvolto, per cui negare ad un terminale di cancro il lenimento del dolore per preservare lasua lucidità im un momento così tragico ma importante della sua vita mi sembra un ragionamento astratto ed una speculazione sulla pelle di chi soffre; ritengo invece che sia doveroso fare tutto il possibile per intorpidirgli i sensi in modo da sentire meno il dolore che in questi casi è atroce, ma senza fargli perdere la coscienza. Ma l'ultima decisione spetta sempre al paziente? Non è lui che deve decidere se soffrire meno a costo di un intorpidimento della coscienza? E' chiaro che il medico deve rispettare la volontà di un paziente, ma in trent'anni di lavoro non ne ho ancora trovato uno che voglia tenersi il dolore: i pazienti quando stanno male ti chiedono aiuto, hanno un dolore forte e ti chiedono disperatamente di fare qualcosa; non c'è nessunoche, anche se sta male, ti chiede che non gli venga fatto niente; magari lo dice nel momento in cui non hadolore, ma quando ce l'ha ... in fondo anche di fronte al mal di testa o di denti atroce non vogliamo tenercelo. Un problema dei trapianti, rispetto al donatore, è quello della morte clinica. In realtà la morte clinica è una convenzione, quindi quello che oggi è considerato morte potrebbe non esserlo più fra 20 anni. Effettivamente i confini fra la vita e la morte sono stati stravolti: noi siamo oggi in grado di resuscitare in termini clinici un paziente; un paziente con un arresto di cuore e di respiro è clinicamente morto: in non pochi casi fortunati, intervenendo in pochi minuti con fibrillazioni o altro, noi siamo in grado di ripristinare il battito cardiaco ed il respiro, per cui c'è un lassodi tempo di quattro o cinque minuti in cui c'erano i criteri clinici per considerare quel pazientemorto, enon vivo, e noi l'abbiamo recuperato da questo stato di "morte improvvisa", come viene definita. Quando non c'erano queste possibilità terapeutiche il paziente seguiva il cammino che lo portava in pochi minuti alla morte. Noi invece interrompiamo questo cammino riportando il paziente alle condizionidi vita, ecco perché il confine tra la vita e la morte è stato sconvolto. In futuro questi confini potrebbero mutare ulteriormente; la morte in questi casi si ha perché le cellule cerebrali, che, a differenza delle altre cellule, non hanno la capacità di riformarsi, venendo meno il rifornimento di sangue e di ossigeno, muoiono. Le manifestazioni della morte improvvisa sono simili a quelle dello svenimento: il paziente cade a terra pallido e quando riprende conoscenza, dopo un momento di confusione, ricorda tutto quello che è successo sino a quando ha perso conoscenza. Ma la grande differenza è che chi sviene mantiene il polso e il respiro, chi ha la morte improvvisa no. Quei pochi minuti che per noi oggi sono il tempo utile per recu~erare dalla morte, in futuro potrebbero aumentare, per esempio con dei farmaci o delle procedure che rallentino la morte cerebrale, ibernando in qualche modo le cellule in modo che il loro bisogno di energia sia minimo e possano resistere molto di più in casodi assenzadi battito cardiaco. In piccolo questo si fa già: per esempio nelle operazioni di cardiochirurgia in ipotermia profonda; in questo caso l'intervento si fa acuore fermo e la temperatura del corpo viene portata molto al di sotto della nostra temperatura normale, che è intorno ai 37 gradi, in modo che tutte le cellule per sopravvivere abbiano bisogno della temporanea mancanza di sangue. I confini tra la vita e la morte sono sempre confini posticci, ma forse in futuro saremo in grado di posticipare ancora di più quello che noi attualmente definiamo urio stato di assenzadi vita. Si cerca di portare sempre più avanti il confine tra vita e morte. E' il vecchio sogno umano dell'immortalità? Mah, non credo chequesto sarà mai possibile. Però credo che col tempo sarà possibile allungare notevolmente la vita degli individui. Io non so se questo sarà un bene o un male. Comunque dobbiamo pensareche nell'ultimo secolo, se non adGÀIÀ ~/)U(')//W~ad ~~ -Sli')ut)u Biblioteca Gino Bianco dirittura negli ultimi decenni, la scienza ha avuto un'accelerazione enorme: il progresso ha unacrescita esponenziale, e questo vale anche per la medicina: i primi a descrivere le malattie di cuore, tra cui l'infarto, furono gli antichi egizi, ma fino a vent'anni fa delle malattie coronariche si sapeva ben poco; oggi abbiamo moltissime conoscenze, che doMa allora certe sensazioni si perderanno ... Questo è quello che si pensava una volta. In realtà questo appartiene alle funzioni psichiche superiori, a livello cerebrale. Sì, certo, il classico tuffo al cuore quando vedi la ragazza a cui vuoi bene con il cuore meccanico non lo potresti più avere... Comunque il centro di tutto rimane il cervello. Anche nell'evoluzione della malattia, a parità di terapia due persone possono reagire in modo opposto: chi vuole guarire e ci riesce, chi si abbandona, magari perché non ha più stimoli, è solo, non hapiù persone care, muore. Questo perché il cervello può scatenareenergie tali da far guarire chi ha la volontà di guarire: per questo il cervello è tuttora il grande sconosciuto del nostro organismo, senz'altro col tempo si potranno in parte chiarire questi problemi, ma io credo che non si possa ricondurre tutto a ormoni o recettori di impulsi chimici, ma che ci sia veramente qualcosa che tuttora ci sfugge, che forse noi riferiamo anche alla fede, anche se con questo discorso andiamo a sconfinare. Poi può darsi che tra dieci o vent'anni troveremo in parte le risposte. Ma alla fine non troveremo mai la soluzione. mani potrebbero ancherisultare sbagliate perché la scienza non è esatta e procede per una continua revisione e sostituzione delle conoscenze precedenti, ma è pur vero che si sono fatti passi avanti chesembravano impensabili. E setanto mi dà tanto ... In quest'ottica ci Sì, però quando uno ha delle emozioni, il cuore batte ... Sì, ma non perché il cuore autonomamente accelera il battito; non è il cuore che è colpito da un'emozione e batte più forte: è il cervello che reagisce alle emozioni con impulsi nervosi che stimolano la produ- - L'ABORTO, UNA STORIAROMANTICA Diritto alla vita o diritto "paterno" sulla vita? Sacralità dell'esistenza o sacralità del seme fecondatore? Difesa di chi non ha voce némezzi per difendersi oppure difesa come di un ordine -ordine simbolico, politico, culturale- da ciò che lo minaccia? Nelle Eumenidi di Eschilo si racconta di Oreste che, avendo ucciso per vendicare il padre la madre Clitemnestra, è sottoposto ad Atene a giudizio. A sua difesa scende in campo Apollo, divinità solare e maschile, contro di lui infuriano invece le Erinni, rappresentanti del più antico diritto materno violato dal gesto omicida di Oreste. Esse conoscono come sacra, vale a dire intoccabile senza contaminazione, solo la madre e chiedono la punizione esemplare del figlio impuro. Come è noto, non la spunteranno. Con loro grande disappunto, Pallade Atena voterà a favore di Oreste, tradendo il proprio divino sesso. Non pochi commentatori hanno letto in questa tragedia giudiziaria la drammatizzazione di un passaggio cruciale nella storia dell'umanità: la fine del matriarcato comunitario (e comunista) e la nascita del nuovo ordine "apollineo" caratterizzato dal primato incondizionato del padre, dalla proprietà privata, dal primato della razionalità discorsiva sulla poesia originaria ecc. Ma non è questo il punto. Sono piuttosto le argomentazioni con cui il dio si rivolge ai giudici per persuaderli della innocenza (nel senso religioso della non impurità) di Oreste a riguardarci direttamente. Si tenga presente che esse suonavano per quell'immaginario tribunale ateniese come qualcosa di nient'affatto owio, come qualcosa di fino allora "inaudito": "Non è la madre che genera chi è chiamato suo figlio,/ ma solo nutrice del seme gettato in lei./ Genera l'uomo che la feconda, ella, come ospite a ospite,/ conserva il germoglio, se un dio non lo soffoca prima". La madre insomma ospita, è terra che deve essere arata e fecondata dal seme paterno. La vita non le appartiene direttamente ed esclusivamente. Al limite, continuava infatti Apollo, con un'osservazione che, in tempi di ingegneria genetica, molto dovrebbe farci riflettere, la sua funzione è inessenziale: non vi sono forse dei che nascono senza concorso materno? L'inizio sta nel seme del padre, oggi diremmo, salmodiando insieme ai difensori della "vita", "fin dal momento del primo concepimento ...". La vita appartiene al Padre non alla donna, questo è dunque il nuovo diritto paterno inauguratosi ad Atene in quel fatidico giorno con grande delusione delle Erinni, ben espressa dal semicoro che, dopo la sentenza, canta sconsolato: "Ohi, nuovi dèi/ voi calpestate le antiche norme". Il punto di vista "tradizionale" delle Erinni era naturalmente opposto: la vita appartiene alla madre, alla Terra. La funzione del seme maschile è del tutto occasionale. L'importanza che nella concezione patriarcale si riconoscerà all'attimo del concepimento era qui del tutto sconosciuta. La prima origine di un essere coincideva con l'attimo del compimento perfetto nel parto, con l'esposizione al mondo, la quale è tragicamente pensata come immissione nel circolo della distruzione inevitabile. Grazie a questa antica storia qualche nube ideologica comincia allora lentamente a dissiparsi, qualche assoluto si relativizza, qualche presunta owietà diviene problematica. L'argomento degli awersari del diritto all'aborto è apparentemente irresistibile. Esso infatti suona: chi può decidere sulla vita a venire? Nessuno, dunque l'aborto è un attentato all'ordine naturale. La vicenda eschilea è allora esemplare. Non c'è qualcosa come la ''vita" che deve essere salvaguardata "sempre e comunque", non c'è se non nella mente di qualche grande semplificatore un si o un no alla vita come tale. C'è piuttosto un problema, per così dire, "politico", una decisione da prendere che riguarda i rapporti di forza tra i sessi e due opposte concezioni della comunità e del sacro. Stabilire quando inizia la vita non è una constatazione neutra, magari da affidare allo sguardo puro della scienza. Questa infatti, se è in buona fede, non potrà che constatare, tautologicamente, che la vita è sempre già inii:i&ta. Stabilire quando inizia la vita vuol dire in realtà decidere a chi essa, in ultima analisi, appartien~. chi deve tragicamente farsi carico di essa, espiando con il proprio dolore, la propria angoscia, la propria radicale solitudine, questa proprietà essenziale, questa responsabilità inevadibile. Dire poi che essa non appartiene a "nessuno", perché appartiene a Dio è una scappatoia che già la consuetudine linguistica si prende cura di smentire: Dio è Dio Padre e l'ordine che esso inaugura è quello paterno e familiare. Se la questione del libero aborto torna a scadenze fisse a tormentare la coscienza dei contemporanei ciò si deve allora al fatto che, lasciando alla donna ciò che modernamente si chiama la "facoltà" di decidere (ma che le Erinni avrebbero inteso come "destino"), essa mette in questione la costellazione dei valori patriarcali, il diritto paterno sulla vita. Non a caso l'opposizione all'aborto assume in modo tendenzialmente irresistibile aspetti viscerali, di grottesca crociata e di caccia alla strega assassina. Ma dietro alla questione morale, c'è, a ben guardare, l'attaccamento al proprio diritto e al proprio privilegio del divino Apollo. C'è un primato da difendere: il primato della tecnica maschile, dello "spirito", sulla materialità femminile, sulla terra non lavorata dall'aratro paterno. Non l'amore della Vita, dunque, ma l'egoismo del nuovo proprietario che si vede minacciato nel suo diritto (che vorrebbe inalienabile) dalla restaurazione dell'ordine antico: l'ordine delle Madri. Rocco Ronchi UNA CITTA' 1 5

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