Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

STORIEDI VIAGGI leHere da un giro del mondo TAIPEI Caro Marco, ti scrivo seduto sul letto di una camera d'albergo di Taipei. Quest'isola era.conosciuta col nome di Formosa, in tempi che immagino molto diversi. Formosa mi lascia un'idea di molle bellezza, di palpabili superfici curve, di suoni dolci e avvolgenti, di profumi e di odori di spezie. Ma Taiwan, è più simile ad un bambino rimasto preso in una giostra impazzita. Questa camera. Ecco, vorrei che tu vedessi questa camera. L'ordine maniacale nella cura dei particolari, come il tentativo estremo di mantenere una disposizione delle cose eletta per sempre a rappresentazione di un'armonia perfetta. li cesto di frutta accanto al mio letto. Due mele un'arancia una banana. Posso mangiare una qualunque di queste, domani ritroverò sempre due mele un'arancia una banana e sempre nello stesso ordine: sotto le due mele, a fianco l'arancia, sopra la banana. O i saponcini del bagno: ogni giorno nuovi, appoggiati nello stesso punto del lavandino. O l'aria condizionata, che io continuo a spegnere e che ritrovo sempre accesa, due segni pr.ima del due, con un freddo da obitorio che rende tutto ancora più preciso. O il frigobar. Posso bere la bottiglia più nascosta, il mignon più invisibile ma il giorno dopo è lì ripristinata, senza possibilità di scampo. li letto rifatto con un angolo di coperte ripiegato ad invitarmi, sempre lo stesso, verificabile con un goniometro. li mio pigiama perfettamente piegato e le mie ciabatte appaiate ai piedi del letto. Le ho scagliate ovunque, tornano lì. Quest'ordine mi fa impazzire. E poi vorrei che tu facessi un giro fuori con me. C'è una luce livida che appiattisce tutto e ti costringe a tenere gli occhi stretti. Nuvole basse, ogni tanto piove. E' umido ma non fa troppo caldo, non per me. Qui potremmo camminare senza fare a spintoni, anche perché a piedi non va quasi nessuno. Dopo cinque minuti ti brucia la gola e ti fa male il naso. Lo so, è l'ossido, sarà quest'aria bassa, non si respira. Ogni poco siamo costretti a scavalcare una motocicletta, a girare attorno a un'auto. Non appoggiare le mani perché te le sporchi subito. Sulla strada c'è un caos snervante. E' l'incredibile numero di motociclette, sproporzionato. Sono sciami di scooter, simili alle nostre vespe ma più moderne. Le vie si incrociano ad angolo retto, anonime e tutte uguali. Inutile chiedere indicazioni alla gerite, pochissimi parlano inglese. Quando devo andare da qualche parte ali' albergo mi faccio segnare su un foglio di carta il nome in cinese da mostrare al tassista. Senza ci si può perdere in cinque minuti. E siccome alla fine non sei qui mi perdo sempre da solo. La gente è cortese, ha un aspetto per lo più curato ed allegro ma io mi porto addosso inevitabilmente l'intoccabilità di chi, per capitare a Taiwan, deve avere per forza degli affari da curare. L'altro ieri sono stato al World Trade Center, una enorme esposizione permanente della produzione locale, in un palazzo di vetro, cemento e granito di otto piani. Di nuovo quell'ordine, quella pulizia, quella lucidità. E' il motore, il simbolo e l'immagine che Taiwan vuole lasciare di sé. E' il canale attraverso cui vengono sparate tutte quelle cose che ci troviamo tra le mani dalle altre parti del mondo. Da qui si capisce come ce l'hanno fatta o come si sono condannati a diventare quello che sono. Ma questo "coso" sta lì a sovrastare una città polverosa che non sa di niente, un'immensa periferia di un centro fasullo. Allora mi rifugio qui in camera come adesso, e ogni volta che entro mi chiedo se non ho sbagliato porta, o se non mi hanno già sbattuto fuori e ancora non lo so. Perché è ancora tutto da rifare, è tutto ancora nuovo, tutto al suo posto. Io adesso prendo tutte le bottiglie, i mignon dei liquori, le lattine di bibite, i succhi e li rovescio nella vasca. Poi ci butto dentro 'sta maledetta frutta e ci faccio il bagno. Adesso. Dopo aver chiuso la busta. Piero Rinaldi Tutta kl scelkl chevuoi I Vialedell'Appennino1,63 -Forlì Pest Control Igiene ambientale ■ Dlslnfest•zlonl - Der•ttlzz•zlonl • Disinfezioni ■ Allonun•mento colombi d• edifici e monumenti • Disinfestazioni di p•rchl e gl•rdlnl ■ lnd•glnl n•tur•llstlche 471()()Forll - via M eucci,24 (Zdna ln4ustriak) TeL(()543) 722~2 · t elef~Ù0543/!22083.' ·· ------------------------------ "impressioni di viaggio" INCONTRIBUDDISTI l,irmania Ogni religione si caratterizza per due aspetti: quello ritualistico che serve a coprire gli spazi delle noie domenicali e quello altamente spirituale riservato alle anime belle. A Rangoon mi pare che la Golden Pagoda assolva alla prima funzione. E' un complesso monumentale, un po' come i nostri cimiteri e, come questi nei giorni dei morti, è squillante di colori. I tempietti, gli altarini, gli stupa, le statuette di ceramica ne fanno un ambiente svagato e variopinto e la gente vi sciama dentro a piedi scalzi, cicalando sommessamente e trascinandosi appresso i bambini e le nonnette. Il gigantesco stupa centrale, lastronato d'oro, svetta al cielo coi suoi giri di trivella. Le fila di gugliette rosse, i tettucci ondulati delle pagodine, le trine a stucco delle cappelle, gli elefantini e i draghetti degli ingressi, i buddini accoccolati o semisdraiati, i genietti benefici coi loro svirgolati cappellucci che li fanno sembrare tanti pinocchietti danno al tutto un aspetto da paese dei balocchi. Questo buddismo non tanto hinayana mi piace. Sinceramente devota mi sembra la gente che colma di fiori i vasi di bronzo, che rinnova i legnetti aromatici nei bracieri, che riempie i bacili d'acqua cosparsa di petali, che si genuflette con naturale abbandono. Ciò non toglie che due belle ragazze, cui indirizziamo il complimento delle nostre macchine fotografiche, civettino con maliziosa ingenuità. Nei pressi di Mandalay facciamo un'esperienza più intensa, del secondo tipo. Il tempio sorge su di un'alta collina da cui l'occhio scorre su tenere campagne, su laghi di crespa tranquilla, su macchie di verdure boschive. I grandi stupa ornati di svastiche, di filatteri, di racemi stuccati scoprono le piaghe del tempo nelle screpolature e negli sgretolamenti. E' pietra del XVI secolo. Più recente il grande Budda ermafrodito sul cui viso di biacca aleggia un sorriso fra il melenso e l'ambiguo. Ali' interno incontriamo un Maestro circondato da uno stuolo di ragazzini in tonaca gialla. Sono qui per unire alla introflessione mistica un' opera di restauro e ripulitura del sacro edificio. Il Maestro, togato come un senatore romano, ci invita a un esercizio yoga ed è così armoniosamente persuasivo da vincere ogni nostra ritrosìa. Racconta di essere stato un ricco industriale dello stagno che ha abbandonato beni e famiglia per seguire la via di Shakyamuni, il principe Siddharta. la via dell'illuminazione per estinguere il dolore eliminando il desiderio. E' uomo coltissimo e conosce la filosofia occidentale. Prima del l'operazione i monachelli ci offrono, in ciotole di metallo, un brodino di verdure: il corpo deve essere rilassato anche rispetto alle esigenze del nutrimento. Per fortuna poco prima abbiamo ripulito una bancarella di spiedini di pesce. Il Maestro ci guida all'immersione: dobbiamo stare comodi, seduti a gambe incrociate o come meglio ci piace, per favorire la concentrazione; dobbiamo controllare il respiro e fissare la mente su di una cosa qualsiasi, solo suquella, magari sul nostro ombelico. Ci provo e mi viene da pensare che avrebbe bisogno di una lavatina. Dopo mezz'ora di artefatto silenzio, s' ode una risatina repressa. Poi un'altraeun'altrae infine una incontenibile dilagante ilarità ci invade tutti. Chiediamo scusa al Maestro ma quello ride con noi: non è facile, ci vuole convinzione e atmosfera. L'imbarazzo scompare di fronte ali' espressione di imperturbata amabilità del suo viso, lontana e divertita insieme, quasi d'uno che c'è e che non c'è. Mi coglie il sospetto che egli ci abbia insegnato, di questa religione, più di quanto potevamo ricavare dalla felice riuscita del I' esperimento. ceylon Dopo Birmania e Thailandia completo il mio itinerario di buddismo theravadin, quello della Dottrina dei decani contenuta nell'antichissimo canone Tipitaka in lingua pali. Che è anche quello più vicino agli insegnamenti del Beato. Vado a Ceylon. Il mio distacco dalle passioni non è tale da farmi trascurare una sosta a Passe KuC,andove in RUattro ci godiamo venti chilometri di spiaggia frastagliata di palme. Il trasferimento ad Anhuradapura, per visitare il Monastero che fu culla del Theravada, è piuttosto negativo. Qui c'è un tale viavai di gente da farmi rimpiangere le immersioni in mare e diffidare di quelle nella meditazione. Due monaci occhialuti, drappeggiati in eleganti tuniche color ocra e muniti di ombrelli neri all'inglese, ci indicano il viale di accesso. All'interno una folla di fedeli con ceste e sporte piene di vettovaglie si dirige da qualche parte. Ci spiegano che il "dono" alla comunità è titolo di merito primario e consente ai monaci di sopravvivere in cambio di prestazioni contro gli spiriti malvagi. Siamo alle solite. Non mi pare che questo abbia gran che a che fare col Budda ma tant'è: non è la sola religione che si acconci alle superstizioni degli umili. In un terrazzo isolato un gruppo di donne anzianotte in tonaca bianca, prostrate a terra, bofonchia orazioni sotto l'occhio di un monaco guardiano severamente eretto. Il monachesimo femminile non è ufficializzato, anche se consentito, perché, a quanto pare, le donne per lo più riescono a farsi illuminare solo dal sole e dalle lampadine. In una delle innumerevoli cappelle i devoti si inginocchiano ai piedi di una fila di piccoli budda incastrati in nicchiette. Sull'altare sottostante sono sparsi petali e corolle di loti e ninfee. Un nugolo di colombi svolazza ali' intorno e si posa sul profumato tappeto. Sarebbe squisita scena di grazia se non fosse che quelli becchettano furiosamente gli insetti fra le stinte spoglie dei fiori. Da qualcosa di simile, secondo tradizione, derivò il primo trauma del giovinetto Gautama. mongolia sinuose che si affastellano intorno alla grande statua di un Budda pacioccone. Dentro e fuori, gruppetti di fedeli piuttosto compunti. Quando alziamo la voce per chiamarci fra noi, due vecchi monaci imberrettati di giallo e oppressi da mantelloni rossi antigelo, sotto un sole a 35°, ci rovesciano addosso una valanga di misteriosi improperi, ondeggiando pericolosamente sugli stivali di feltro con punta all'insù. Ammutoliamo ritirandoci timidamente. Forse ci hanno preso per tecnici russi. Non ho imparato molto sul buddismo mongolo, salvo che il dominio delle passioni non sembra essere una sua prerogativa. Siamo di fronte ad una palese violazione della seconda prescrizione dell'Ottuplice Sentiero, quella del "pensiero corretto" che esige, fra l'altro, il controllo delle escandescenze. Viene quindi ignorata l'ultima della Quattro Grandi Verità, che implica la conoscenza e l'applicazione di queste norme di comportamento. Si rivela una chiara deviazione tantrica ed antisovietica dal nucleo originario della dottrina. laddalc Mi dicono che questo "Paese dei Valichi", compreso fra Himalaya e Karakorum ad oltre 3500 metri di altitudine, è l'ultimo paradiso del Lamaismo tibetano dopo che quello di Lhasa, contaminato dagli insediamenti cinesi, ha perduto il suo marchio doc. Ma nemmeno questo mi pare destinato a una fine migliore da quando il turismo occidentale sta trasformando un popolo mite e sorridente in una congrega di astuti trafficoni. Qui si venderebbero anche le ossa di Milarepa e non è insolito notare qualche monaco contrattare discretamente un mulino di preghiera o qualche xilografia di diavolerie tantriche. Le Comincia qui il mio contatto viuzze e le piazzette di Leh col Lamaismo del Grande sono invase da bancarelline Veicolo. Ma questo è un paese ricolme di oggetti devozionali comunista e non trovo traccia "antichi" di prezzo sostenuto. di un tempio che non sia un La città, di taglio rusticamente museo se non alla periferia di medioevale, pare essere sulUlan Bator. E' una vispa pago- l'orlo di una polverulenta dida a tetti sovrapposti con fasce sgregazione. Il palazzo reale, marcapiano decorate come in suli'erta di un picco laterale, un'allegra torta nuziale. Al- sta cadendo in frantumi e assai l'interno, un profluvio di sta- presto le preziose carte qui tuette dipi_nt.e,di thar1ka e di conservate si disperderanno fra m~ndala cò~ figure'co,;itolte é.-., Ì calcinacci. Ma i' magnifici "gompa", le cittadelle monasteriali dominanti le voragini e le vorticose calate di queste montagne nude e truculente, .stanno ancora a testimoniare la forza di un culto secolare. Forse. Le sbrindellate "bandiere della vittoria" pendono mence come le insegne di fortezze in disarmo. Dentro, pochi monaci sporchi ed oziosi controllano il pigro affaccendarsi di qualche novizio. Il lamasterio di Hemis, gloria del Piccolo Tibet, pare il deposito di un rigattiere: sotto polvere e ragnatele si accatastano bandiere e cilindri di preghiera, sete cinesi, pitture thanka, lumi votivi, piccoli "chorten", timpani, campanelle, tamburi, gong e conchiglie. Nella furia dell'ammassamento è capitata qui anche una stampa della Cappella di Guglielmo Teli sul lago dei Quattro Cantoni che ha a che fare col buddismo quanto una mucca svizzera. Ma l'entusiasmo icono filo della corrente "vajarayana", quella del Veicolo Adamantino introdotto nel 747 dal guru Rimponche, non va per il sottile. Fra i tanti simboli, arraffati dall'induismo, dal tantrismo e dal primitivo sciamanesimo Bon Po, non ci sta male l'immagine stregonesca di un mondo alieno. A Kam paghiamo i monaci perché ci improvvisino una cerimonia. Quelli dapprima ci portano sulla terrazza del tetto, si mettono in testa un cappellone rosso e soffiano energicamente dentro assordanti trombette di bronzo: è un richiamo alla preghiera che rimbalza fra le gole dei monti e dilaga sui deserti di pietra delle vallate. Poi ci guidano in un salone senza finestre illuminato da ceri fumiganti e si raccolgono in preghiera cantilenando in gruppo, ma senza troppo impegno. Qualcuno si scaccola con poco riguardo. Qualcun altro imprime alla recitazione le variazioni dello sbadiglio. Infine ci offrono un thè, il famoso "tchai" emulsionato con burro rancido e sale. Fuggo in un vicino cortile e scarico il rigurgito in un angolo, fingendo di adorare un muro assolutamente privo di segni metafisici. . Libero Casamurata Nella foto: Tainlandia. Ayudhya. Budda dormiente. (di Ubero Casamurata)

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