Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

- le considerazioni non proprio entusiaste sul Giappone di un viaJlgiatore-lavoratore, sentitosi molto gai-j,n: estraneo In questi ultimi tempi, su quotidiani e riviste, si fa un gran parlare delle beccate che vengono scambiate tra premier politici e capi di industria giapponesi e statunitensi. Negli Stati Uniti è stato pubblicato recentemente un libro nel quale si ipotizza una guerra tra le due nazioni quale diretla conseguenza delle tensioni economiche. Il pericolo giallo, non più cinese ma giapponese, è tornato a dominare discussioni pubbliche e private e moltissimi, dai senatori del Congresso ai benzinai, fanno del Giappone il capro espiatorio della lunga recessione che affligge gli Stati Uniti. Conosco e frequento il Giappone e i giapponesi da diversi anni, leggo tutto quello che trovo in argomento e, pur non nutrendo particolari simpatie per gli americani, sulla scorta della mia esperienza diretta, umana e professionale, non mi sento di dar loro torto. Aggiungo, dal mio punto di vista di europeo, che il Giappone è un pericolo economico e, forse (anche se non pare), militare, non solo per gli Stati Uniti ma un po' per tutto il mondo. Fare un• analisi scientificamente accettabile non mi è concesso per limiti di studio; posso, però, descrivere alcuni aspetti del carattere giapponese che possono servire a comprendere meglio quanto affermato. Con questo mio primo contributo, affronterò il tema del razzismo giapponese. Dietro un'immagine stereotipata di cortesia ed affabilità si nasconde, in effetti, la mentalità più razzista della terra. Il non-giapponese viene identificato con il termine "gai-jin" che, tradotto letteralmente, significa "estraneo". Non straniero, dunque, ma proprio "estraneo", termine che, ancor più che nella lingua italiana, in giapponese assume nei fatti il significato di persona di cui diffidare, dalla quale guardarsi, alla quale è pericoloso dare confidenza e, infine, persona con la quale anche i rapporti formali (di affari) vanno coltivati solo se di qualche reale utilità pratica. A certi atteggiamenti non scampano neppure i "gai-jin" che decidono di vivere in Giappone, Paese dove i residenti stranieri devono essere in possesso di una particolare carta d'identità rinnovala a periodi regolari. In certi casi i rinnovi sono addirillura annuali, come capila ad un mio conoscente italiano che risiede in Giappone da 15 anni e che è stato assoggettato a questo obbligo di frequenza dopo che ha divorziato dalla moglie giapponese. Si intende che questa carta d'identità, senza la quale non è possibile risiedere in Giappone più di 60 giorni, può essere revocata in qualunque momento. Pochi anni fa, per giunta, il Parlamento approvò una legge in base alla quale i cittadini stranieri residenti devono sottoporsi alla registrazione delle impronte digitali presso gli uffici di polizia. Ci si può domandare perché i "gai-jin" che vivono e lavorano da tempo in Giappone dove, spesso, si sposano ed hanno figli, non chiedano la cittadinanza giapponese. Il problema è che la legge proibisce di assegnare la cittadinanza a qualunque individuo che non sia nato in Giappone, salvo che almeno uno dei due genitori sia giapponese e chieda la nazionalità per il figlio. Ma anche chi nasce in Giappone da geni tori non giapponesi deve accettare di essere apolide oppure, quando è possibile, farsi dare la cittadinanza di uno dei genitori. nessuna ciffadinanza • • a1 coreani deportati Per far capire la rigidità della legislatura giapponese in materia di cittadinanza, ricorrerò all'incredibile storia dei deportati coreani. Durante la seconda guerra mondiale i giapponesi, così come i tedeschi, ebbero bisogno di mano d'opera per mandare avanti le fabbriche sguarnite di operai, inviati al fronte, e, come i tedeschi, trovarono perfettamente naturale procurarsi mano d'opera gratuita tra gli abitanti dei paesi occupati, soprattutto in Corea. CONTO CORRENTI POSTALE: C/C N. 12405478 Intestato a Coop. UNA ClffA'arl via Ariosto 27 Forli ABBONAMENTOA I O NUMERI: 25000 LIRE ABBONAMENTOSOSTENITORE:50000 LIRE Una CiHa è in vendita anche a Cesena, alla 111,rerlaDEDALUS, via Aldini, 2 lo si trova anche a Sonlvoll, al Circolo culturale "Il castello". Gli abbonati che non ricevono il giornale o che lo ricevono in ritardo sono pregati di darcene notizia. I ritardi che si verificano fra una zona e l'altra della città sono da imputare esclusivamente alle Poste. Quindi, avvisateci. Vi recapiteremo subito il giornale e avremo elementi per reclami circostanziati. Telefonate al num.64587, Massimo o al 67077, Marzio. UNA ClffA' Hanno collaborato: Rita Agnello, Rosanna Ambrogetti, Giorgio Bacchio, ·Vittorio Belli, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Roberto Borroni, Barbara Bovelacci, Andrea Brigliadori, Libero Casamurata, Fausto Fabbri, DanielaFilippelli,RodolfoGaleotti,SilvanoGaleotti,LianaGavelli, Stefano Guidi, Giuliana Lipparini, Enrico Lombardi, Silvana Massetti, Orlanda Matteucci, Franco Melandri, Giovanni Orlati, Carlo Paletti, Roberto Poni, Linda Prati, Vero Ravaioli, Piero Rinaldi, Rocco Ronchi, Sergio Sala, Gianni Saporetti, Elisabetta· Saviotti, Massimo Tesei. Alla fine della guerra alcuni di questi ex-deportati rientrarono in Corea, ma molti, vista anche la situazione politica nella loro patria scelsero di rimanere, liberi ma senza cittadinanza, in Giappone. Oggi vivono in Giappone anche i discendenti di quarta generazione degli ex-deportati, persone nate in Giappone, cresciute ed educate in scuole giapponesi. Ebbene, nemmeno loro hanno la cittadinanza giapponese, e devono scegliere tra rimanere apolidi od accettare la cittadinanza coreana. Mi capitò di incontrare un aspirante venditore per l'ufficio di Tokyo della società per la quale lavoravo, e che poi assunsi, il quale mi presentò un biglietto da visita con un nome giapponese, spiegandomi che, però, quello non era il suo vero nome bensì il nome giapponese fittizio che la legge, benignamente, concedeva di utilizzare a lui, discendente di deportati coreani, per mimetizzarsi tra i giapponesi e poter lavorare a contatto con il pubblico senza incontrare problemi di tipo razziale. I coreani in Giappone, tra l'altro, hanno la fama di avvoltoi perché commerciano principalmente nell'acquisto e rivendita degli stock di merce invenduta che, in ossequio ad un sistema di distribuzione particolarissimo, i produttori sono tenuti a ritirare dai punti vendita dopo un certo periodo. Ma peggio dei coreani vengono trattati gli Ainu. Gli Ainu sono gli appartenenti alla po- "...Cuba creola... sogno impudico de/l'america puritana, mito gonfiato dal rum nei deliri di Hemingway e Lucky Luciano. Cuba, solee caldo, i/MoncadaelaSierra Maestra, rivoluzione nella stanza accanto a quella di fohn Wayne. Cuba, un milione di quaderni, i missili di Krusciov, la Bolivia, l'Angola, /'Eritrea, Grenada. Cuba, esotismo epolitica, comunque sempre mito... " La notte in cui una negra si un1ad un bianco per la prima volta rappresentò una tappa decisiva per Cuba. La donna certamente non sapeva l'importanza di quell'unione, non sapeva che da quell'incontro sarebbe nato l'uomo cubano, in tutta la sua complessità e ricchezza: il mulatto, né negro né bianco, ma bianco e nero allo stesso tempo, nuova categoria individuale della società, simbolo vivente della fusione delle due razze. Tutto si deve a questa unione, a questo prodotto culturale e razziale. la mescolanza degli elementi, lo scambio e l'integrazione sul piano culturale sorgono dal primo incontro tra questi due mondi, nonostante la pretesa, da parte delle devastate coscienze coloniali, di far stato un regime monocolore e schiavista. Nella guerra di indipendenza contro gli spagnoli negri e bianchi, cinesi e mulatti combatterono insieme. La stessa unità si ritrovò all'interno della rivoluzione socialista, quella che porterà alla nascita dell'attuale società cubana. Le divinità ancestrali che abitano la selva nigeriana e la Costa INTERVISTE A Giannozzo Pucci: a cura di Rosanna Ambrogetti e Franco Melandri. Al sieroposito e sua moglie. al don. Aristide Missiroli. alla psicologa don.sa Maria Grazia Parisi: a cura di Rodolfo Galeotti. A Giovanna Ravaioli: a cura di Rodolfo Galeotti e Massimo Tesei. "Al Pamela": a cura di Giorgio Bacchio, Roberto Borroni, Giuliana Lipparini, Carlo Polctti. A Marina Vitali e Dora di Lello: a cura di Giorgio Bacchio e Roberto Borroni. A Serena Sartini: a cura di Gianni Saporetti. A Enrico Fabbri: a cura di Patrizia Foto di Fausto Fabbri. Betti e Franco Melandri. Foto di pag. 12: da un volantino di Animai Liberation A don Piecro Fabbri: a cura di Paolo Foto a sinistra di pag. 14: da Storia Dossier n. 15 - Ed. Giunti B~rtozzi e Gianni Saporeui. Progetto grafico: Casa Walden A Elc~a Barcdi:a cura di Barbara Bovcfacci, Fausto Fabbri e Gianni Fotoliti DTP: SCRIBA_.. :1 ·• 'Saporctti. · · ~~~-=-=~~1n~o~-➔. T,,~a~nco polazione originaria del Giappone, e stanno ai giapponesi come gli indiani d'America ai colonizzatori bianchi. Gli Ainu superstiti abitano quasi tutti nel la penisola di Hokkaido, nel nord del Giappone, e vivono, di fatto, ghellizzati in quartieri particolari, impediti a svolgere attività lavorative che non siano le più umili, discriminati nelle scuole e anche negli ospedali. Capita che giapponesi bisognosi di trasfusioni di sangue rifiutino il sangue donato dagli Ainu per timore di chissà quale contagio. peggio dei • coreani stanno gli indigeni Ainu La questione Ainu venne alla ribalta, per breve tempo, non ricordo esattamente se nel 1986 o nel 1987, quando gli Stati Uniti tirarono le orecchie all'allora primo ministro Nakasone per aver dichiarato che la mediocrità del livello scolastico americano è conseguenza dell'alto numero di neri e di ispanici scolarizzati. Nel fare marcia indietro Nakasone ritenne opportuno dichiarare che non intendeva esprimere sentimenti razzisti in quanto, tra l'altro, il razzismo è un fenomeno sconosciuto in Giappone. Fu a quest'uscita che gli Ainu insorsero eNakasone fece una seconda gaffe dicendo che non ce l'aveva con loro e che, anzi, probabilmente nelle sue vene scorreva qualche particella di sangue Ainu, come provavano le sue folte sopracciglia. Una caratteristica degli Ainu, infatti, è proprio quella di essere molto pelosi. I Giapponesi, al contrario, hanno pochissimi peli sul corpo e difficilmente riescono a farsi crescere barba e baffi. Potrà sembrare impossibile, ma c'è in Giappone qualcuno che sta ancora peggio degli Ainu. Un giorno mi trovai a passare per una strada di Tokyo insied'Avorio sono le stesse che abitano i monti cubani. Il negro le incontra 11.L'apporto africano alla cultura cubana porta con 'sé una forte dose di ribellione nei confronti di ogni ambiente oppressivo. Ed è una cultura proiettata alla resistenza, all'autodifesa, alla rivolta passiva. Questa è la ragione per cui è tanto duratura ed omogenea, oltre al fatto che vive nelle espressioni musicali, nelle danze e nella poesia, conservate e praticate fino ad oggi in maniera capillare nelle strade, nelle piazze, neiquartieri,ali' internodellecase. L'espressione culturale africana è per sua naturaeversiva, è un metodo di liberazione interiore e una via verso la ricerca della sicurezza. Preghiera, apparizione, esorcismo, danza, musica, ritmo, tutto è diretto verso il raggiungimento della liberazione. Il cattolicesimo spagnolo ha influito pochissimo sulla cultura-nera, anche se in passato i proprietari zuccherieri hanno cercato di giustificare la schiavitù con la necessità di catechizzazione, conferendo all'"ingenio'' (zuccherificio) una certa aria di tempio salvatore. Lo zucchero era la ragione ed il fine dei padroni bianchi e cos1 lo zucchero inghiott1tutto: inghiottì i boschi, il caffè, il tabacco. Alla fine cercò di inghiottire l'uomo cubano. Da questo processo si salvò solochi era rimasto alieno al suo potere fagocitante, si saivò chi riponeva la propria coscienza altrove:sullespiagge,sui fiumi,nelle foreste africane. Si salvò chi covava insé il desiderio della rivolta, si salvò chi viveva sulla propria .,. . '. ·.'. : . .. ·. : . . . :..., ·. me ad un collega giapponese. Sul marciapiede opposto al nostro si stava svolgendo un corteo di protesta. Apro una parentesi: in Giappone i cortei di protesta percorrono i marciapiedi ed attraversano solo con il verde per non creare problemi al traffico. citi è dentro è dentro citi è fuori è fuori: i non censiti Chiesi al mio collega di dirmi chi erano i contestatori ed egli, molto imbarazzato, mi spiegò che si trattava di discendenti di giapponesi non censiti che protestavano per chiedere il riconoscimento dei diritti civili. Tutto iniziò verso la fine del secolo scorso, quando il primo imperatore dell'attuale dinastia decise di applicare anche in Giappone il sistema del censimento. In precedenza non si era mai posto il problema dato che, a parte i nobili, i samurai ed i preti, gli individui praticamente erano considerati poco più che animali, sui quali nobili e samurai poterono esercitare il potere di vita e di morte fino a circa la metà dell'Ottocento; tanto durò, infatti, il Medioevo in Giappone. I poveretti non avevano nemmeno diritto ad un cognome, privilegio riservato alle caste dominanti, pertanto il censimento, condotto dall'esercito, dovette provvedere non solo ad individuare e contare i cittadini, ma anche ad assegnare loro un cognome da aggiungere al nome così che fosse possibile istituire un'anagrafe. I censori dell'esercito presero a percorrere le pianure ma, soprattutto, le montagne, dove la popolazione giapponese viveva frazionata in innumerevoli villaggi. Volendo fare in fretta, utilizzarono largamente, per l'assegnazione dei cognomi, il termine Yama (montagna). Questo spiega come mai tanti cognomi giapponesi pelle la necessità di emancipazione. La schiavitù del passato ha lasciato una cicatrice indelebile nel popolo cubano, nella cui profondità è radicata una inestinguibile voglia di libertà. "...forse 11011 sappiamo ancora bene chi siamo ... non credo che questo sia importante, perché trascende tutti i dubbi, è che quello che noi siamo ci appartiene. Quello che noi siamo è, per la prima volta, autenticamente nostro. Abbiamo smesso di essere spagnoli puri per essere cubani. Abbiamo smesso di essere bianchi per diventare mulatti... " E' proprio questa ritrovata identità etnico-razziale, accompagnata da una ferreadeterminazione che, insieme alla solidarietà internazionalista, ha permesso a questo popolo di sopportare il più lungo embargo economico (33 anni) che la storia moderna ricordi e che tuttora perdura. Cuba non può comprare o vendere niente agli USA; nessun aereo o nave diretto ali' isola o da essa proveniente, può far scalo negli Stati Uniti; i cubaninonpossonousare il dollaro nellelorotransazionicommerciali; i cittadini statunitensi non possono sbarcare nell'isola o comunque devono superare ostacoli di ogni tipo. Al blocco statunitense si associarono tutti i paesi americani, con l'eccezione del Messico e del Canada. Prima della rivoluzione Cuba aveva il suomercato naturale nel continente e l'embargo fu dunque un colpo che avrebbe poErboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 comprendano queste quattro lettere, ad esempio Yamada, Yamaha, Yamagiwa, Yamamoto ecc., che hanno significati tipo "dietro le montagne", "sopra le montagne", "nelle montagne alte" a seconda di dove venivano individuati i citladini. Successe che i censori non individuarono parecchi villaggi perché i loro abitanti, per sfuggire alle prepotenze di samurai, nobili e preti, si erano rifugiati in zone particolarmente impervie, facendo perdere le loro tracce. Negli anni che seguirono, naturalmente, queste persone ripresero i contalli con il resto del mondo, ma in virtù del fatto che non erano stati individuati all'epoca del primo censimento, non vennero mai riconosciuti come cittadini giapponesi. Questa particolarissima applicazione della regola "chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori", è stata estesa anche ai discendenti di quei poveretti, che ufficialmente non esistono e, quindi, sono privi sia di cittadinanza che di diritti civili, il che li rende una casta di paria. Conoscendo come si comportano con i loro conterranei non ci si può, dunque, sorprendere se per i giapponesi tutto ciò che non è giapponese, in linea di principio, fa schifo, e sta agli altri, ai "gai-jin", dimostrare il contrario. Il razzismo, la storia lo insegna, produce spesso situazioni paradossali, ed il Giappone non sfugge a questa legge. E' quanto si è verificato negli anni recenti a proposito del- !' AIDS. Se si guardano le notizie di stampa e le statistiche ufficiali, si deve pensare che l'AIDS in Giappone non è mai sbarcato, anche se questo pare davvero poco credibile. Ad ogni modo i giapponesi hanno proposto varie soluzioni per prevenire il diffondersi del contagio. Una di queste proposte prevedeva che gli stranieri, entrando in Giappone, fossero costretti ad esibire un certificato attestante la non sieropositività. Rinunciarono all'idea quando gli Stati Uniti fecero loro sapere che avrebbero fatto altrettanto nei confronti dei cittadini giapponesi che si fossero presentati ai loro confini. Un'altra idea che venne presa in seria considerazione fu quella di creare locali pubblici interdetli agli stranieri. I giapponesi, in definitiva, sostengono che l'unico pericolo di diffusione della peste del secolo sul loro territorio venga dagli stranieri. I' aids clte non può venire clte da ,.. . . Percompren«Jf~ . questa tesi, occorre sapere che le medie e grandi ditte giapponesi organizzano annuali viaggi premio per i dipendenti più meritevoli, invariabilmente tutti maschi dato che le donne, in Giappone, non fanno abbastanza carriera per meritarseli. Tra i viaggi premio più graditi ci sono i tours nelle Filippine, a Bangkok, a Taipei, dove i bravi dipendenti visitano i bordelli più famosi e frequentati, e, talvolta, (mi è capitato di constatarlo di persona a Taipei), vengono muniti di prostituta fissa, che oltre a far loro compagnia di notte, li affianca durante le gite cultural/turistiche diurne. Con tutto ciò i giapponesi sostengono seriamente che solo gli stranieri possono diffondere l'AIDS in Giappone. Scrisse un giornalista europeo che scelse di vivere in Giappone tra la fine dell' 800 ed i primi del 900: "per i giapponesi gli altri popoli sono sì composti di esseri umani, ma un po' meno. umani di loro". Niente di nuovo sotto il sol levante. Stefano Guidi DA CUBA tuto rivelarsi mortale. Cos1 tutto dovette essere comprato in Europa, quasi sempre nei paesi socialisti. Ma la tecnologia era diversa, i costi di trasporto enormemente superiori, le necessità di stoccaggio di materie prime molto maggiori, con conseguente immobilizzo di capitali immensi. I turisti statunitensi che avevano invaso l'Avana e le spiagge del1' isoladurante gli anni '50 (tutte le sere partivano da Miami sei aerei con tanto di orchestrina "salsa" e "merengue" e procaci mulatte che distribuivano sigari) scomparvero di colpo. Cuba ripiegò in un' austerità stoica. Rispose con una grande campagna di alfabetizzazione: centinaia di studenti, di ragazze e ragazzi, lasciarono le loro case e le scuole per andare ad insegnare a leggere e a scrivere a contadini che non avevano mai visto un maestro in vita loro. Negri, bianchi e mulatti insieme studiavano e lavoravano fondando in questo clima di_~olidarietà una nuova nazione. Nel giro di pochi anni, come constatò con sorpresa l'ONU, Cuba venne, dichiarata "territorio libero dall' analfabetismo". I contadini videro per la prima volta che un governo si occupava concretamente di loro. Un messaggio di cultura, di solidarietà e di emancipazione arrivò cosi negli angoli più sperduti del paese. Durante il mese di permanenza nell'isola ho avuto necessità, mio malgrado, di usufruire delle strutture sanitarie statali in seguito ad una banale, ma fastidiosissima otite da immersione subacquea e sono rimasto allibito di fronte ali' ottima organizzazione e all'eccellente dotazione di strutture e personale sanitario; l'assistenza medica e ospedaliera è gratuita per tutti (eccettò i turisti ovviamente); Cuba ha una mortalità infantile più bassa degli USA ed è inoltre uno degli stati che fornisce il maggior numerodi medici per la cooperazione internazionale con i paesi in via di sviluppo. Il dissenso certamente esiste, ma è pressoché limitato ai giovanissimi, coloro cioè che sono nati dopo la rivoluzione castrista e che hanno quindi come unico termine di paragone le immagini di opulenza e consumismo che giungono loro dalla televisione americana. Diversa è la posizione di chi, prima della rivoluzione, ha visto Cuba ridotta a bordello dei puritani sudisti americani. L'impressione che ho riportato in un mese di permanenza a Cuba è che Castro è ancora amato dal suo popolo e che la rivoluzione sia intimamente radicata nella coscienza della gente. Roberto Poni (citazioni da Miguel Barnet, poeta e scrittore cubano) Coop. Cento Fiori I.ab. Art fitopreparazioni ViaVal Dastico, 4- Forlì Tel. 0543/70'2661 - Estrattiidroalcoliciindiluizione 1:10 dapianta frescaspontaneao coltivata senzal'utilizzo di prodottdi isintesi. - Maceradti ~mme. - Opercoli dipiante$~ e formulatloncion materia prima ~ica oselezionata. Produzioni suordinazione UNA CITTAr

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