Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

--------------intervista a Gigi Ziniti STARE SEDUTI Come ti sei imbattuto nello zen? Fondamentalmente per caso. Avevo dei grossi problemi, delle difficoltà a gestire la mia vita. E volevo aiutarmi con varie cose, soprattutto col training autogeno, che è una tecnica di rilassamento. E lo facevo seguendo dei librini, e in questi trovai qua e là dei riferimenti allo zen, ho preso un libro sullo zen e lì mi sono accorto che nello zen c'erano riferimenti ad una dimensione religiosa che io non sospettavo. Ho approfondito questo aspetto che trovava una rispondenza in me, poi sul Manifesto un giorno ho letto un articolo di Gentiloni in cui si parlava di Pomaia come centro del buddismo italiano. Ho telefonato per sapere dove si potesse approfondire la conoscenza dello zen e mi è stato indicato questo monastero di Fidenza. Ci sono andato e ho incontrato Guareschi. Questo materialmente. Non materialmente ho avuto un'educazione cattolica, sono stato incollegio, dagli scolopi, la mattina si leggeva un brano del Vangelo. Poi a Forlì ho fatto un periodo di Gioventù studentesca, poi un po' di discorso politico, poi tutte queste cose sono passate, lasciando dei segni, certo, ma alla fine mi sono ritrovato a questa età ... e ho scoperto questa dimensione religiosa. Sono rimasto stupefatto io stesso che ci fosse questa rispondenza tra il fatto religioso e la mia vita. Non l'avrei mai detto ... E allora un po' ho frenato, un po' andavo. E ancora è così, un po' freno un po' mi lascio andare. Il mio problema era che qualsiasi cosa facessi mi si rigirava contro. Nel senso, credo, che mi attaccavo troppo alle cose, il mio ego si attaccava troppo e dopo un po' una cosa nata positiva non riuscivo più a viverla come positiva. Non so, ero arrivato a dire che i bambini mi limitavano, come poi si sentiva dire da tanti e io l'ho detto per anni. Adesso mi darei uno schiaffo, dovevo essere ubriaco, e molto, per dire una cosa simile. E ne ho detto anche di peggio. Allora questo incontro mi ha dato una grande "girata". Mi ha cambiato prospettiva, io giravo da una parte, questa cosa mi ha girato dall'altra .... Mi ha girato contro il muro, come si fa in meditazione ... Ho sentito che questa cosa rispondeva a un mio bisogno profondo. Non so cosa cercavo, c'era unarisonanza, sentivo una parola e pensavo "è vero". Ma è un'esperienza appunto, un avventurarsi, ma è molto difficile spiegare con le parole. Spesso Fausto dice "voi non capite quello che dico, ma in realtà avete capito". Oppure una frase che mi colpì moltissimo, "lo zazen è la pratica che colma il baratro fra il mondo ideale e il mondo reale". E io sentii che in questo baratro c'eravamo tutti dentro, ma se mi chiedi di spiegarlo faccio fatica. Sentii che quella frase suonava come una grande verità. Per esempio tutto il cristianesimo che ho mangiato fin da piccolo senza mai capirlo, al1' improvviso lo capivo. Ti faccio un esempio. Una frase classica del Vangelo, con Gesù che dice a Pietro "ma perché venite da me? Cosa venite a fare?" e Pietro risponde "noi veniamo da te perché tu solo -------------------------. hai parole di verità". Cosa vuol una parte o dall'altra, non c'è il "campo avverso"; il Buddhismo ha una percezione della vita come via di mezzo. L'assunto fondamentale del Sermone di Benares è la proclamazione della via di mezzo, della necessità di tenersi lontani dagli estremi; è questo che noi continuiamo a ripetere, è questo che mi ha affascinato nel Buddhismo.Il mio primo maestro, quando parlava dello Zen, lo definiva "una pratica della religione prima della religione" e diceva che avere anche il minimo pregiudizio, il fissare su un solo oggetto anche il più infimo dei pensieri, il seguire uno scopo, anche il più tenue, ci allontana ineluttabilmente dal l'autenticità della realizzazione religiosa. Lo Zen è equilibrio; è seguire il sistema cosmico assoluto, grazie alla pratica del nostro corpo e del nostro spirito, nella vita quotidiana. Nel mondo c'è un accentuato dualismo fra il materialismo e le religioni che sono divenute troppo spiritualiste e psicologiche, senza approfondimento fisiologico. Ma Io spirito e il corpo devono essere uniti, non in opposizione, la tradizione religiosa solamente spirituale dimentica l'importanza del corpo e della materia. La risposta religiosa a tutto questo non deve essere moralistica, non può essere materialisticamente impostata, non può essere in una fuga di tipo spiritualistico. In questo si inserisce con grande vigore il suggerimento della "mente religiosa", che trova la sua base, la sua creazione e ricreazione, nella pratica della meditazione. Ma la meditazione non è un "fare", il silenzio della postura della meditazione è un silenzio che ha poco a che fare con la parola, che va al di là del non proferire parole. Io penso che nell'uomo di oggi ci sia questo bisogno di "mente religiosa", ma in una società come la nostra, nutrita di spirito consumistico e assistenzialistico, è difficile che anche la proposta della meditazione non venga subito manipolata. Abbiamo a che fare con un mondo in cui l'uomo non promuove sè stesso ed in questo il cristianesimo ha una fetta di responsabilità. Ma come può l'uomo promuovere sé stesso se non può far leva sul suo ego, sul suo sentirsi "individuo" separato dal resto dell'esistente? L'uomo ha questa libertà di autodefinirsi, ma corre il rischio che essa si trasformi in arroganza, in voglia di dominare, di prendere possesso; è una specie di "volontà di potenza", per dirla con Nietzsche. Pascal si chiederebbe se tutto questo non sia un modo ulteriore di distrarsi dal problema fondamentale della nostra vita, di divagare. Possiamo dire che è opera del maligno.comunque è una sorta di distrazione. Non dobbiamo perdere di vista la nostra emancipazione, la nostra salvezza. Se uno non è pago del proprio essere uomo allora può imbarcarsi nelle imprese più scellerate, anche coraggiose, ma senza senso, inconsapevolmente cosciente di un'esistenza lacunosa. a cura di Raffaello Ambrogetti,Linda Prati, Franco Melandri dire? lo capisco che nel rapporto fra due persone non è tanto la promessa del dopo, ma è la realtà di adesso, tu solo hai parole per vivere compiutamente adesso. C'è una concretezza nell'andar dietro a uno... un ragazzo canadese ha preso su dal Canada per venirsene a vivere al monastero di Fidenza. Perché? Uno che si fa monaco perché lo fa? Per la vita eterna? Con l'aldilà? Ma stiamo scherzando? Lo spieghi solo con quello che lui vive adesso. Poi ci sarà anche l'aldilà, io non discuto di questo ... Quindi le promesse delle grandi religioni non ci sono, sembra che iltragitto, l'esperienza quotidiana sia tutto. Il motto dello zen è "qui e adesso". Non esiste altro. E' difficile spiegarlo con le parole. Quando tu siedi i tuoi quaranta minuti, seduto, in silenzio, nella immobilità, è un'esperienza ricchissima. Stare concentrato nella postura con la tua mente che viaggia, i pensieri che vanno e vengono, con le parole è difficile da spiegare. Qui e adesso. Non hai altra possibilità. Nella pienezza dell'istante presente. Fuori da questo si vive nel passato o nel futuro. Sedere, solo sedere, c'è questa frase "shikantaza" che vuol semplicemente sedere, senza scopo, senza spirito di profitto. Io per qualche anno ho pensato, va bene, sedere, ma poi ci sarà qualcos'altro. Non capivo e loro me lo dicevano. Sempl icemente sedere. Ma è difficilissimo star solo seduto. Perché tu pensi io divento più furbo, più bravo, faccio il body B1bl10eca Gino Bianco building dell'anima ... E' difficilissimo star solo seduti perché devi rinunciare a un sacco di cose. Ma è fondamentale farla, l'esperienza di sedere. Star lì, sentire iI tuo corpo stare seduto, sentirlo picchiare da una parte e dall'altra perché vuole andare via, sentire le gambe che ti fanno male ... Ma non c'è consolazione però... C'è... C'è una grande uscita dall'illusione. Fausto dice che bisogna partire dalla morte, non dalla vita. Allora la vita diventa un'altra cosa. Per esempio quando tu, ma anch'io, tutti partiamo dalla vita ... quando inizi a considerare la vita come qualcosa che compri al supermercato, e che dura 80 anni, e che devo star bene per 80 anni, allora se vai sotto una macchina o ti muore il figlio è ovvio che vai via di testa. Ma se tu parti dalla morte e vivi la vita come un qualcosa di regalato, allora le cose cambiano. E la vita è un qualcosa di regalato, perché basta chiedersi cos'è che ci fa vivere ... sei tu che ti fai vivere? Io dico cose più grandi di me, ma se accetti la gratuità della vita allora, forse, puoi vivere anche il male, puoi vivere anche la malattia. Puoi accettarla, comunque non vivi in un' iIlusione. Conoscete quel brano di san Francesco che in una notte buia, piove, e arrivano a un convento, bussano e chiedono di entrare, e loro a dire "siete dei ladroni" e li picchiano, e gliene fanno di tutti i colori e san Francesco che dice se riusciamo ad accettare questo, quella è la perfetta letizia. Ah, è bellissimo. Nella totale accettazione c'è la perfetta letizia. Non dico sia facile.Però sento che lì c'è qualcosa di radicale, che va nel profondo. E nel rapporto con gli altri cosa succede? La pratica non esclude niente, il maestro dice che non si deve escludere nulla, perché se viene esci uso qualcosa al !ora vuol dire che c'è qualcosa che non va nella pratica, che l'ego si è impadronito della pratica per affermare qualcosa. C'è questa possibilità e il maestro serve proprio a questo. Loro ti dicono sempre di occuparti di te stesso, non degli altri. Guardati profondamente dentro di te, non guardare gli altri. Partendo da questo, dal silenzio, nel non parlare i rapporti fra le persone diventano poi fiammeggianti, quando poi parli con una persona è una cosa potente. Quando vado al tempio e poi torno qui, mi dico che non è possibile, noi accettiamo di vivere dei rapporti interpersonali pazzeschi. Potremmo vivere come sovrani e invece non so come dire, viviamo nella merda ... pensa alla volgarità in cui viviamo, accendi la televisione e bisognerebbe spegnerla subito. ..------------- di Sergio Sala PAURA DELL'ISLAM? Il mondo è sempre più grande di come lo pensiamo: eravamo tutti presi dai grossi problemi dei mutamenti dell'Est ed ecco che ci arrivano in casa le notizie sconvolgenti del1'Algeria. Poco più in là delle nostre coste; nuovo segnale del radicalismo islamico che da più di vent'anni procede lentamente, ma progressivamente dall'oriente all'occidente africano. Un'affermazione che dopo le crisi del nazionalismo arabo e del socialismo rivela il suo radicarsi in problemi reali e la sua grande forza di convincimento per quei popoli. illustriislamisti come ilcapolavoro dell'lslàm. Ma che peraltro produce anche gravi problemi; e per diversi motivi. Chi emigra dai paesi musulmani si trova perciò stesso sradicato o comunque allontanato dalla sua religione che fatica a ritrovare in una civiltà secolarizzata come la nostra. Questo sradicamento ci interroga: non sarebbe segno di intelligenza politica e di comprensione umana favorire anche qui, in Italia, la costruzione di moschee e l'apertura di scuole di Corano? Pensiamo a quale forza di integrazione e dimoralizzazione, pur diversa dalle tante nostre etiche, potrebbero costituire queste strutture per tanti immigrati altrimenti completamente spaesati nel nostro mondo occidentale. Chi ha paura dell'lslàm? E' forse meglio una folla di extracomunitari privi di identità religioso-culturale? E' facile per noi chiedere tranquillamente che si assimilino nel nostro sistema di vita. Novità anche per noi, che come altre volte non siamo molto ben preparati ad affrontarle; riconosciamolo: non basta rinfacciare ai popoli dell'lslàm che ci fraintendono; il fatto è che noi li abbiamo addirittura ignorati (ma usati). I nostri giudizi correnti: sono fatalisti, fanatici, arretrati; le nostre reazioni emotive: il disagio, l'arroganza, la paura. Pregiudizi e sentimenti tanto più pericolosi perché destinati ad accrescersi quanto più diffusa e numerosa sarà la presenza dei musulmani extracomunitari in Europa; già ora sono sui sei milioni. Con più coraggio e coscienza, elaborare un cammino di integrazione multietnico, per quanto possibile, potrebbe forse rivelarsi più fecondo; anche per noi. Più che pregiudizi e paure sarebbe meglio - più europeo- cercare di conoscere. Quante volte ci è capitato di verificare, trattando dell'lslàm, che il primo argomento che viene in mente è il"gihàd", la guerra santa. Una curiosa immagine e una ben strana riduzione del Corano. L'intera tematica della pace -radicata persino nel nome di questa religione: lo stesso trilittero vale per "salam" e "lslàm"- è completamente trascurata. L'lslàm non è violento, anche se si vuole vincente. E sempre in questa prospettiva, ci si potrebbe anche aspettare ilsorgere di un'esperienza storica originale: l'affermarsi in Europa di un lslàm "dell'"Europa. Non dimentichiamo che si tratta di una religione mondiale e che la più numerosa presenza si trova nella lontanissima Indonesia con caratteristiche immensamente diverse da quelle per esempio iraniane. Perché allora non pensare e adoperarsi a che il contatto con le tradizioni occidentali, laiche e cristiane, possa favorire una modalità europea della fede musulmana? Infondo, nel Magreb la convivenza interreligiosa è molto più tollerante che in Pakistan. L'lslàm europeo potrebbe ispirarsi alle forme più aperte della sua tradizione. E se attualmente il movimento interno è di islamizzare la modernità, ci sono anche orientamenti che mirano invece a modernizzare l'lslàm. Quale delle due spinte finirà per affermarsi in Europa? E ancora, più che pregiudizi e paure sarebbe meglio cercare di capire. Per esempio sarebbe già un primo passo se imparassimo a considerare l'lslàm non solo come una grande religione (perché di grande religione si tratta), ma come una "shari'a", una globale prassi di vita, individuale e sociale, fede e legge, religione e società. Di qui proviene quel suo carattere di forte capacità integrativa e unificante che è stato considerato da Dipende anche da noi. Ma non c'è una rotta di collisione fra la pratica zen e una società come la nostra, ma anche con la famiglia, il lavoro, ecc. La pratica disturba sempre la tua vita. Ma non può essere altrimenti. Gesù diceva "chi ama suo padre e sua madre più di me non può venire con me". Era durissimo in questo, è una cosa che fa orrore quasi, se lo dici in una chiesa il più della gente esce. "lo voglio venir con te", "va bene vieni" "però è morto mio padre e vado a seppellirlo", "no, allora vai pure". E' chiaro che la pratica disturba la tua vita, perché se no te la fai come ce la siamo fatta a proprio uso e consumo però non significa più niente. "Sei religioso?" "Sì, a modo mio". Adesso io ho capito che il "modo mio" non esiste. Non può essere che ti fai la religione come ti pare a te, perché diventa un'ideologia, una pratica consolatoria o non so cosa. Può essere anche una parte della tua identità. Per esempio io, andando lì la prima volta e vedendo la statua di Budda, ci sono rimasto male, perché io sono cristiano. Ho avuto una difficoltà perché essere cristiano fa parte della mia identità, ma non aveva più nulla a che vedere con la mia vita. Una domanda a parte. Correre ha avuto una sua importanza, c'entra qualcosa in questo tragitto? C'entra. Di sicuro quel po' di arrampicata che ho fatto con Renzo. Correre non lo so, anche lì c'è un'esperienza di solitudine, di rapporto con se stessi, di rapporto con la fatica, anche un po' con il dolore. Sì, secondo me è stata un' esperienza omogenea, anche se ci sono aspetti non omogenei, per esempio l'affermazione, l'agonismo, questi no. Però il rapporto con te stesso, la concentrazione, per esempio nel1'arrampicata questo è decisivo non avere pensieri che disturbino l'azione, perché nel momento che pensi di non farcela, non cc la fai. Nel I' arrampicata tu devi essere totalmente in quel gesto. Poi è una situazione estrema, anche la corsa, ma soprattutto l'arrampicata, nel senso che sei messo in una situazione in cui non ti puoi nascondere. Sei lì, se passi passi se non passi cadi. Te la devi giocare lì, non c'è altra via. In questo anche c'è un'omogeneità. Al 'inizio forse sono stati fatti sportivi, ma poi è subentrato qualcos'altro, è cambiato di segno. Anche se adesso, fisicamente, correre mi dà fastidio, perché non va d'accordo con il fatto di stare seduti, perché irrigidisce le articolazioni, dell'anca, delle ginocchia, me ne accorgo quando mi siedo dopo aver corso. Faccio più fatica. E come avviene, come fai? E' una cosa che continua a stupirmi. Ho ancora tante difficoltà ad andare là. Mi sento un principiante. Telefono edico "vengo", e poi appena messo giù, scoppia una guerra dentro di me per non andare, scopro impegni, penso alla famiglia. Poi alla fine vado. E resto un weekend, quattro o cinque giorni. E lì è un'esperienza forte, non ci possono essere paraventi, sei in rapporto con te stesso, non ci si può nascondere. Ma in modo anche amorevole. Ecco, le due cose che ho provato andando lì, sono state rigore e dolcezza allo stesso tempo. La prima volta che sono andato là, e mi ero messo seduto, e in quella posizione non ero per me la prima volta, e una mano mi ha toccato, per correggermi la postura. Questa mano era dolcissima. Non so di chi fosse quella mano, perché ero girato verso il muro e non la vedevo, p~rò quella mano che mi ha toccato mi ha trasmesso quella dolcez-· za che mi ha permesso di restare lì. Dico la verità, se la mano fosse stata rude probabilmente sarei andato via. Perché il passo era stato molto forte, da un libro letto mi ero ritrovato in un tempio dove c'erano queste persone con i capelli rapati a zero, mi sono trovato in abiti monacali, poi immerso in questa cultura giapponese ... però quella mano mi ha permesso di stare lì. E il rigore? Il rigore deriva dalla necessità che si fa così. Si fa così. Tu dovresti vedere la cerimonia dei pasti, quando si mangia tutti insieme, una cosa di una bellezza sconvolgente. Aprono le ciotole, mettono giù le ciotole, tutti si preparano, ci sono i suoni, arrivano dalla cucina, tutto il monastero partecipa alla cerimonia. Ti servono, ci si saluta ogni volta, è attraverso queste cose che passa, tu ti rendi conto che tutta la tua vita può avere una dimensione di bellezza. Loro dormono anche ritualmente, vanno al gabinetto ritualmente. C'è un modo per andare al gabinetto. La prima volta che ero là vidi un appunto di un ragazzo su come si dormiva, pensai che fosse un matto. Poi fai un'esperienza che tutti i gesti della tua vita possano avere questa bellezza, questa eleganza, un significato. E allora dopo fai fatica ad allontanarti. Quando vedi Fausto, vedi che cammina non in un modo qualunque ... Che e' è qualcosa, che nel suo modo di muoversi esprime un'attitudine ... E' così, non è un buttarsi là come il mio... ma la regola libera allora? Non è una contraddizione in termini? Pier che è un monaco che sta lì, alla domanda "che cos'è la libertà" ha risposto "è la regola"... La regola è l'uso appropriato, sacro di ogni cosa almeno per quello che ho capito io. Sempre la cerimonia dei pasti è bella perché è chiusa in sé stessa, come tutte le cose. Arrivi lì con le ciotole chiuse e te ne vai con le ciotole chiuse. Finito. E poi, per esempio se ti cade qualcosa lo devi lasciare giù, viene qualcuno che lo raccatta. Tu non puoi raccattarlo. Dopo di che vedendo che deve venire qualcuno io mi sono detto che non doveva cadermi neanche il chicco di riso. Perché anche con il chicco di riso viene l'inserviente. Tu mangi per terra, nel dogio, nel posto dove si fa meditazione, e anticamente si faceva tutto lì, si dormi va anche, quindi ... A te ti cade qualcosa, tu continui a mangiare, arriva l'inserviente, ti si inchina davanti, tu smetti di mangiare lo saluti, lui si china prende la cosa, lui ti saluta tu lo saluti, lui va via ... Se tu vivi due o tre giorni così .... E poi il silenzio. Nel dogio non si parla. A nessuno viene in mente di parlare. Torna il problema dell'altro. La parola non apre all'altro? Ma il silenzio c'è in tutti i monasteri. E perché? A te pare che la parola apra all'altro? Quando io dico all'altro "cosa fai" in realtà voglio dirgli cosa faccio io. Certo, delle perplessità le ho anch'io, ma spesso sono idee che ti fai, proprio idee, mentre nella realtà concreta ti ritrovi più umile, e più disponibile anche. a cura di Franco Melandri e Gianni Saporetti UNA CITTA' 1 5

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