Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

Ho42anni, abito aCesenaemi chiamo Gianni, e per ovvi motivi non voglio dire il mio cognome. Quando hai incontrato il gioco in genere, nella tua vita? Beh, giocavo a carte già con i miei amici a 5 anni, poi ho continuato nei bar; carte, biliardo, poker, e se devo dire la verità già allora spendevo di più di quello che avevo. Anche tra amici si giocava, ad esempio in un poker a casa mia mi feci fuori tutti i soldi che avevo, non erano molti, circa l 00.000 di allora, ma per recuperarli dovetti andare a Bologna a vendermi tutti i libri di medicina del primo anno. Forse già allora c'era questo interesse. Probabilmente avevo dentro di me qualcosa che mi attirava fortemente. Da bambino avevo semprepensatoche il giocatore di professione fosse l'uomo più libero del mondo, grossi guadagni poca fatica, li vedevo nei bar seduti, distinti, duri, imperscrutabili, sigaretta in bocca, erano un mito. Invece nonèproprio così, il giocatore è debole e se lo incontri in giro dopo qualche ora è l'uomo più solo del mondo, però agli occhi di un bambino, alla fine degli anni '50 che frequentava un bar perché altri luoghi non c'erano, era un personaggio da imitare. Poi ho scoperto l'amore, mi sono trovato unadonna fissa, il bar non lo frequentavo più eho smesso di giocare, poi ad un certo punto ho escluso tutti i miei hobbyies, cinema, sport, passeggiatee vita sociale, ed è ritornata la voglia del gioco come evasione, come ricerca di sensazioni molto forti. Perché il gioco e non un' altra cosa? Io conoscevo quello. All'inizio è stato un diversivo, sono andato all'ippodromo di Cesena: bell'ambiente, gente, movimento, giocare piccole somme, passareuna serata.Poi man mano che andavo le somme aumentavano, fino ad arrivare a delle cifre considerevoli. All'inizio era molto bello, riscoprivo delle sensazioni dimenticate. Ma poi inevitabilmente sono arrivate le depressioni, i litigi, le incomprensioni, ecc. Finita l'estate c'ero dentro fino al collo. Il mio problema più importante eracomprare alla mattina in edicola TROTTO, giornale specializzato per chi gioca, consultarlo all'inverosimile, averlo sempre fra le mani praticamente tutta la giornata, la sera rispulciarlo, fare conti, percentuali, pronostici, e il giorno dopo andare a giocare. Tutto era in funzione di quello per cui non facevo nient'altro, non esisteva nient'altro, televisione, cinema, vita sociale, o problemi di altro genere... Quindi il gioco come motivazione assoluta di vita? Sì, assolutamente. Qualcosa che ti prende completamente, grandi emozioni sia negative che positive; al mattino sicuramente belle e alla sera, a seconda, belle o brutte, tutto dipende da come sono andate le scommesse, ma questo dura poco, un'oretta, perché sai che comunque domani potrai vincere, potrai rifarti e quindi non è qualcosa che hai perso e non potrai più riavere, perché il gioco domani è ancora lì che ti aspetta, non ti tradisce. Tutti i giorni. Questa è la ragione per cui un giocatore non smetterà mai di giocare, è sempre li, nessuno te lo può portare via e comunque ti puoi sempre rifare, in testace l'hai sempre. Che ne dici, una bella droga vero? Raccontami un po' di questi anni di gioco. Allora, come ti dicevo prima, i cavalli li ho incontrati sulla mia strada quell'estate all'ippodromo, nel 1978, poi in settembre ha chiuso e mi sono trovato disarmato. Poi però mi dissero che c'era l' Arcoveggio a Bologna e quindi migrazione. In quel periodo ero già sposatoe trascinavo anche la mia donna nelle mie storie, lei ormai era succube di me, delle mie ansie. Io l'allettavo con proposte varie, tipo andare a mangiare tutti i giorni fuori, prospettarle grandi vincite. E quell'inverno lo passammo a Pest Control Igiene ambientale ■ Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni ■ Allontanamento colombl da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturallstlche 47100Forlì• viaMeucc~24 (ZonaIndustriale) Tel.(0543)722062 Telefax(0543)722083 ORA NON GIOCO PIU I NEMMENO AL TOTOCALCIO Bologna fra grandi illusioni. Questo comunque non mi bastava più così iniziai ad andare anche nelle agenzie ippiche e lì, il fascino dell'ippodromo scompari va, l'ambiente era molto più ristretto, fumoso, ci trovavi di tutto, dal disgraziato che giocava le I .000lireal tipo che giocava milioni su tutti i campi. Anche questo non bastava più, quindi iniziai ad andare al Casinò a Venezia, agli ippodromi di Firenze, di Milano, e quindi un pellegrinaggio continuo; il gioco eradiventato la mia vita, tutto, le mie emozioni venivano tutte da quello. Poi ho iniziato a lavorare, per bisogno, ma molte volte mi mettevo in malattia, partivo il pomeriggio e andavo a Venezia, il gioco porta all'assenteismo sul lavoro. Partivo al mattino caricatissimo poi alla sera mi venivano le paranoie, mi scontravo con la realtà. Molti per un certo periodo più o meno lungo continuano a giocare e ad avere una vita normale, fra virgolette, anch'io ad esempio, da mezzogiorno alle due, nell'intervallo lavorativo andavo a Cesenatico, a Cesena o a Rimini, in una sala corse a giocare dei cavalli, poi alla seraquando uscivo tornavo là per vedere seavevo vinto o perso e vivevo anche dentro il posto di lavoro l'emozione del gioco, sapevo che alla tal ora c'era quella corsa e vivevo il gioco mentre lavoravo, visionando nella mente i campi da corsa edera come se fossi lì in una sala corse. Ricordo una volta, sono partito un pomeriggio, appena ritirato lo stipendio con mia moglie, felice perché alla sera avrei giocato, la giornata era bella, quasi una vacanza. Lungo il tragitto, verso Venezia, ci siamo fermati a pranzare, la strada fra l'altro costeggia delle zone bellissime. Ero carico perché alla sera mi sarei rifatto di tutte le perditee di tutte le spese,perché per un giocatore, i soldi non rappresentano il loro valore reale, sono il mezzo, non il fine. Arrivati al Lido abbiamo prenotato una stanza in albergo, saranno state le cinque del pomeriggio, dopo mezz'ora eravamo già dentro al Casinò. Dopo due ore ero già fuori in preda alla disperazione, calciando tutto quello che incontravo e maledicendo tutto e tutti. Mia moglie mi seguiva e io imprecavo anche verso di lei, questo era importante perché mi scaricavo di tutto. Uscii senza avere neppure cinque lire, quindi i progetti di stare via due giorni erano già sfumati, ma mi intestardii a tal punto da chiedere se lei aveva rimasto 10.000 lire da qualche parte per tornare dentro e rifarci, e lei mi rispose che i pochi soldi che aveva addossome li aveva già dati dentro, al tavolo. Immagina, io non me ne ricordavo già più. A quel punto, fortunatamente, l'albergo l'avevamo già pagato, non avevamo nemmeno le 5.000 per tornare in vaporetto aPiazzale Roma e quindi la prima cosa che mi venne in mente fu di vendere qualcosa, il suo anello? Lei non volle, ebbe la forza di iniziare a chiedere soldi alla gente che passava, l'elemosina, mille lire ad uno, mille lire ad un altro, e io nascosto dietro i muri asbirciare per vederecosa succedeva. Pensacosa poteva pensare la gente! Racimolati i soldi, tornammo in albergo, e alle quattro del mattino, senza aver dormito, prendemmo il vaporetto, salimmo in macchina e via. A Porto Garibaldi ci fermammo in unboschetto,con la rugiada mi lavai la faccia e via, arrivati a casaera già svanito tutto. Andai dove lavoravo, senza dormire, chiesi un anticipo di mezzo mese, convinsi la mia donna apartire per Bologna all' Arcoveggio, perCQ ché comunque ci saremmo rifatti di tutto, anche di quelli persi a Venezia. Sotto la pioggia arrivammo a Bologna alle quattro del pomeriggio, alle otto non avevo più nemmeno quelli. Pulito. Un disastro. Questa è una storia per farti capire. Ma ce ne sono tante altre. Ad esempio, venduta la macchina, sono ripartito alla riscossa e dopo quattro giorni ero al punto di prima. Questo è il gioco. Hai parlato alcune volte di Casinò, cosa vuol dire? Chi gioca, in genere gioca un po' a tutto, molti ad esempio giocano ai cavalli il pomeriggio, la seraa carte nella bisca e la domenica vanno al Casinò. Dipende però dal livello di coinvolgimento nel gioco. E' chiaro che se tu giochi a carte fra amici al bar o al circolo, è più facile che tu non esca mai da quell'ambiente. Anche perché il vero giocatore, se gioca ai cavalli e perde, la sera crede di rifarsi a carte, e poi magari di nascostoscappae va al tavolo verde sempre per rifarsi equestoalla lunga lo porta ad essere un solitario, a chiudersi, a fuggire. Se in un posto perdi non ci vai più. Ad esempio per i cavalli funziona un po' così, in zona ci sono solo cinque corse, ungiocatore oggi lo trovi qui, domani da un'altra parte. Si èanche scaramantici, se un giorno vinci cerchi di rifare tutto uguale, magari ti vesti nello stessomodo, ti siedi nella stessa sedia, e così via. Molti poi lo fanno di nascosto, c'è chi non vuole farsi vedere, quindi si sposta. In questa categoria metterei persone normali, fra virgolette, impiegati, professionisti, operai. Ho visto anche gente che ha dilapidato fortune, case e terreni. Ridotti sul lastrico. Ricordo ad esempio di essermi trovato addirittura con dieci pezzi da cento lire, andare in un bar per farmi dare un pezzo da mille e credere che avrei fatto 4.000, poi 20.000, poi 100.000. Assurdo! Uscii senzale mille lire naturalmente. Il gioco èquesto, una continua illusione, un'attrazione fatale. E poi la sera depressioni e sensi di colpa, però hai sempre, il giorno dopo, la possibilità di rifarti di tutti i soldi persi. I soldi, in un modo o nell'altro li trovi sempre, ma anchequi e' èun limite. Io sono arrivato al fondo, ma forse non completamente. Non ho mai chiesto soldi a strozzinaggio, in questa maniera non esci più veramente in nessun modo, ti leghi indissolubilmente e lì scattano altri meccanismi ancora più perversi, perché ti leghi inevitabilmente alla malavita. Quindi io ho dilapidato risparmi mJeI, non miei, ho chiesto fidi, mutui, ma sono riuscito a resistere, forse mi sono salvato per questo. Quello che non ho salvato è la mia vita, ho perso praticamente tutto, matrimonio, affetti ... Tornando a prima, raccontavi dei tuoi continui spostamenti, che gente incontravi? La gente più o meno era sempre la stessa,ogni tanto arrivava qualche nuovo e lo vedevi subito, erabrillante, estroverso, perchéali' inizio effettivamente è nient'altro che un gioco. Gli abituali erano più riservati, al massimo un po' di abbozzata euforia quando vincevano. Ma se i nuovi rimanevano nel giro, dopo due o tre anni li ritrovavi anche loro uguali, un po' depressi, più trasandati. Per il giocatore di cavalli non ci sono feste, solo il lunedì perché è il giorno di chiusura degli ippodromi. Nelle sale corse di Firenze ricordo di aver visto uno che cercava fra le ricevute buttate per terra per vedere se qualcuno avesse, per sbaglio, buttato una ricevuta vincente. Questa è follia. C'è solidarietà fra chi gioca? Nell'ambiente delle corse forse sì, perché tutti sono Il per vincere, e nel perdere si è tutti uguali, non ci sono persone a cui si devono fregare soldi, si gioca tutti contro il totalizzatoreal l'ippodromo, nell'agenzia, tutti contro i proprietari del1' agenzia equindi, quando uno vince tutto sommato si è anche contenti. Oggi è toccato a lui, domani toccherà anche ame, a differenza del poker dove ognuno gioca per sècontro gli altri giocatori. Nel mondo dei cavalli c'è più solidarietà, uno ti può dire che oggi ti dà un cavallo buono e così via. poi magari ognuno fa a modo suo. Il poker no, quando ti siedi sai già che uno o più dovranno andare via sconfitti, quindi un giocatore come te, uguale a te, nella tua stessacondizione, in questo caso vince l'individualismo più sfrenato. cose strane: cavalli che vengono offerti a molto e non hanno possibilità di arrivare, vincono. Quello di cui ho parlato fin ora è il gioco legale, tutto alla luce del sole perché gli ippodromi, le sale corse, i casinò, sono legalizzati con tanto di regolamentazione statale. non devono mangiare non so per quanto tempo e altro, non è un bello spettacolo. Andare ali' ippodromo e non scommettere per me è una schifezza. Attualmente giochi ancora? No, l'ho fatto per otto anni, sono tornato una volta ali' ippodromo a Cesena e sono stato malissimo. Sono scappato via, mi è successo come a quello che prima fuma dieci sigarette, poi un pacchetto, poi due pacchetti fino alla nausea, dopo non sopporta più nemmeno il fumo degli altri. Poi ci sono i tipi che ti avvicinano e ti dicono che il tal cavallo te lo pagano 4 senza limite di scommessa, ma questo è gioco illegale, un'altra cosa. E' vero che molte volte si sa prima il cavallo vincente? Sicuramente negli ambienti degli allevatori i proprietari sanno, ma comunque mai con certezza. Quando giochi nelle agenzie e hai la possibilità di giocare su tutti i campi d'Italia, ti accorgi che in ippodromi come quelli di Aversa, Napoli o Palermo, succedono delle Mi sorge un dubbio, l'ippica allora è uno sport o no? Una piccola percentuale di persone andrà anche a vedere l'animale, ma seti piacciono i cavalli, certamente non vai ali' ippodromo, prendi un cavallo e vai a fare una scampagnata lungo il fiume. All'ippodromo vai per scommettere, sfoggiare o incontrare altra gente, ma non certamente per vedere i cavalli. Se tu li vedi da vicino! Ne passanodi cotte e di crude questi animali, ali' arrivo sono congestionati, pieni di bava e di sudore, stravolti, anche perché devono sempre dare il massimo, quindi farmaci, iniezioni, ecc.. Pensa che prima di una gara Oggi posso dire che per me era una fuga totale dalla realtà. Vivere grosse sensazioni sia quando vincevo che quando perdevo. Per smettere devi ritornare ali' inizio e capire che la vita è fatta di piccole cose, piccole gioie. Questonaturalmente lo dico ora, quando ci sei dentro fino al collo niente e nessuno te lo può far capire. Le cosebelle chemi rimangono di quegli anni sono i momenti prima, le grandi mangiate, le grosse bevute, le baracche, i viaggi. Ora non gioco più a niente, nemmeno al totocalcio. a cura di Carlo Po/etti .-------------- di Roberto Balzani CLUB E GIOCO D'AZZARDO A FORLI' NEL SECONDO onoCENfO Il vecchio Aurelio Saffi, austero apostolo di una moralità d'altri tempi, le considera "due delle più funeste ed infelici passiont; altri democratici della sua generazione non giungevano a tanta severità, ma certo non gradivano che i figli degli operai e della piccola borghesia benestante tentassero una veloce ascesa sociale al tavolo verde. E' certo, tuttavia, che il "bere" e il "giuoco", tanto negli ambienti pittoreschi delle cameracce proletarie, quanto nelle sale ovattate dei club, costituissero la mania del momento, il sistema più diffuso per trascorrere in allegria il tempo libero. Intendiamoci. Di giochi e di giocatori, meglio se proibiti, abbondano le cronache romagnole fin dagli albori dell'età moderna. Dall'introduzione del "faraone" nel Settecento, al solerte governo del vizio in età napoleonica; dai modesti falsari del tempo del papa-re, alla piaga costante del lotto clandestino, non occorre particolare fantasia per tracciare una precisa genealogia, quasi una linea evolutiva, del proteiforme universo dei passatempi illeciti. Le piccole tragedie familiari -i figli che dissipano i pochi risparmi dei padri; le inutili reprimende del clero; gli arresti e i processi ai truffatori- costellano la volta di questa storia "minore", che lambisce come un virus invincibile tutti gli ambienti e tutti i ceti, senza esclusioni e senza pregiudizi classisti. E tuttavia, all'interno di questa vicenda ai limiti dell'aneddotica, è possibile scorgere il profilo di una comunità in via di strutturazione, colta nel momento magico della fondazione di nuovi "riti" sociali. "lo non pretendo far prediche e non pretendo che tutti gli uomini diventino eroi o santi; -si sfogava Aurelio Saffi, nel marzo del 1881ma è un fatto che, senza essere santi ed eroi, si potrebbe fare molto di più di quello che non si fa per la Causa comune della giustizia e della libertà". Parole oscure, troppo gravi e sproporzionate alla realtà del fenomeno, quelle pronunciate dal triumviro in un momento di straordinario sconforto? Forse. D'altra parte, però, i "suoi" circoli urbani, quella fitta maglia di minute associazioni che avrebbero dovuto affrettare l'immancabile trasformazione di una plebe informe in un popolo cosciente, parevano aver dimenticato (salvo che nelle rare e consuete occasioni celebrative) lo spirito delle origini, il mutuo soccorso, la parsimonia operosa. Le cameracce non mancavano certo di assidui frequentatori, ma anche di abili professionisti del gioco: una categoria "prestigiosa", destinata ad un rapido successo. Era il fallimento del grande progetto educativo mazziniano, la dissoluzione di un sogno di emancipazione da conquistare giorno dopo giorno, con metodo, sacrificio e buoni sentimenti. I notabili per primi, d'altronde, avevano offerto ai ceti subalterni il "cattivo" esempio. Se, nel 1862, anno in cui era stato fondato il Circolo Forlivese , punto di ritrovo per tutta la classe dirigente, indipendentemente dall'inclinazione politica dei singoli aderenti, l'impulso che aveva spinto l'élite urbana alla ricerca di nuove occasioni sociali era parso risiedere nell'omologazione a costumi e stili di vita più moderni ed europei, vent'anni dopo il vecchio tarlo del gioco d'azzardo aveva "metabolizzato" anche le sale più esclusive, per renderle oggetto delle quotidiane e un po' fatue attenzioni di una borghesia benestante in ascesa. Alcune testimonianze dirette documentano questo passaggio: da un lato i regolamenti del club, dalla delineazione di un "luogo deputato" esclusivamente maschile allo spazio offerto alla consumazione di inediti "culti" urbani (il caffè, il fumo, la lettura dei giornali e delle riviste, il biliardo); dall'altro, l'impazienza di giovani enfantsgatés, desiderosi di affermare, attraverso l'accesso al "tempio" del notabilato, una formale secessione dall'austerità mazziniana dei padri. Magari anche attraverso la pratica di rituali "trasgressivi", come il gioco d'azzardo, antitesi logica e culturale della proverbiale parsimonia della piccola borghesia democratica. Il caso di Eligio Dirani, figlio di Gaetano, commerciante ed ex consigliere comunale radicale, travolto da una clamorosa sconfitta al tavolo verde, resta emblematico. "lo non so descriverti il terribile colpo, quando ho inteso simile iniquità, -avrebbe scritto Gaetano ad Alessandro Fortis, nell'autunno del 1884- mentre sono tanti anni che io mi privo anche del necessario per poter alleviare la mia famiglia". Per il giovane tracotante, reo di aver infranto il principio intangibile dell'austerità, unica garanzia possibile -agli occhi dei mazzinianiper conquistare emantenere un certo benessere, non potevano bastare pene pecuniarie e forzate limitazioni; il padre, distrutto e accorato, invocava l'aiuto del potente amico onorevole per una soluzione ancor più radicale: l'emigrazione in Africa. Vita di club e gioco, nella seconda metà dell'Ottocento, contribuirono a sottolineare l'evoluzione che andava consumandosi nella mentalità del ceto dirigente. La fine del monopolio del Circolo Forlivese , awenuta nei primi anni '80 per ragioni politiche, e la moltiplicazione dei luoghi di ritrovo borghesi, graduati a seconda dell'estrazione dei soci (dal Piccolo Club , esclusivissimo, alla Società dei Trentanove , ultra-democratica), rafforzano questa interpretazione. Più la comunità forlivese si organizzava, strutturando proprie gerarchie, definendo barriere di ceto, di sensibilità e di "lusso", più l'antico spirito consociativo del "popolo municipale", tendenzialmente egualitario, si dissolveva, lasciando in eredità un ambiente sociale frammentato e indecifrabile, dominato dai "nuovi" valori di competizione, di potere e di successo. Bibliografia essenziale: "Elites e associazioni nell'Ottocento", numero monografico di "Quaderni Storici", nuova serie, XXVI (1991), fase. 2; R. BALZANI, Politica egioco d'azzardo: i circoli privati forlivesi del secondo Ottocento , in "Bollettino del Museo del Risorgimento", (Bologna), XXXII-XXXIII (1987-1988), pp. 55-82.

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