Una città - anno I - n. 7 - novembre 1991

intervista a Vito Fumagalli-------------------- assistiamo ad una fase finale, nel senso pieno della parola, di LA CITTA' HA AVUTO PIETA' Vito Fumagalli insegna Storia Medievale nella Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna. Ha pubblicato, fra gli altri, "Terrae società nell'Italia Pada11a"per Einaudi nel '76e per li Mulino nell"89 "Uo111i11i e paesaggi medievali", e nel '90 "Soliwdo camis", "vicende del corpo nel Medioevo". ln particolare nella "La pietra viva", che ha per sottotitolo "città e natura nel Medioevo" ed è uscito nell"88 sempre dal Mulino, viene affrontalo l'argomento dell'atteggiamento dell'uomo verso il paesaggio. Paesaggio e ambiente sono due concetti che si possono diversificare, io normalmente mi sono occupato dell'atteggiamento verso il paesaggio da parte dell'uomo. Di come l'uomo trasforma, di come recepisce il milieu in cui vive, di come lo pensa, quindi non solo la trasformazione tecnica, tecnologica dell'ambiente, ma proprio l'atteggiamento che poi è alla base degli interventi di trasformazione da parte del1' uomo. Una storia del paesaggio non solo come storia del contrasto, nel mondo occidentale, ma non solo in quello, fra habitat dell'uomo e l'ambiente naturale, ma sopratutto come storia degli atteggiamenti delle culture rispetto all'ambiente. Perché un conto è la cultura nobiliare, che si struttura un paesaggio adatto alle proprie esigenze, alla propria mentaJità, un conto è quella borghese, un conto è quella contadina. E poi naturalmente le differenziazioni sono segnate anche dai periodi, perché in età romana c'è un certo atteggiamento, in età altomedievale le cose cambiano. Già con la decadenza dell'Italia antica, ritorna un'economia silvo-pastorale, che prima era regredita. Questa poi si va ad incontrare con l'arrivo da noi delle popolazioni gennaniche, che sono particolarmente legate ali' agricoltura si Ivo-pastorale. E ne hanno sollecitato maggiormente il riemergere con tutto il contesto naturalistico che la giustifica e la sostiene. Il contesto delle foreste, delle paludi, dei boschi che sonoritornati largamente anche nelle pianure e nelle c9lline. Quindi ci sono atteggiamenti, interventi diversi nel mondo naturale da parte dell'uomo dell'Occidente e poi ci sono atteggiamenti di versi dettati da epoche, da momenti diversi. Epoche determinate da culture ampie che si diversificano tra antichità, tarda antichità, primo o alto medioevo, pieno medioevo, che ha significato da noi il trionfo della città, circa quaranta città-stato tra centro e nord dell'Italia, e poi il basso medioevo cioé il trecentoquattrocento. Poi le cose cambiano con l'età moderna e contemporanea. Ad esempio per quanto concerne la colonizzazione, l'abbattimento di boschi e la loro sostituzione con terreni coltivati, il secolo XVIII ha pesato molto, con l'indirizzo fisiocratico e la volontà di spingere al massimo l'agricoltura. E' stato il momento in cui, non dico che si è dato fondo ai boschi di pianura. perché questo avverrà ancora nell'ottocento, ma in cui grandi boschi superstiti sono stati abbattuti e dopo non ne restano più in numero considerevole di così grandi. Mi sono occupato molto di storia del paesaggio sopratutto nell'età medioevale, ma avendo coltivato in particolare questo settore di studi, ho finito per arrivare anche all'età moderna e contemporanea e anche a guardare indietro, al l'età tardo antica e antica, cercando soprattutto, ecco un altro elemento molto importante, di fare una ricerca comparata, vedere la diversità tra le varie culture, le ateallediverseareeeuropee e fra Occidente e Oriente. Noi nell'Italia del Nord, nella pianura padana, non abbiamo più se non qualche piccolo brandello di bosco continentale, mentre i francesi hanno ancora le foreste e questo anche in Germania. E non mi si dica che dipende dalla minore densità della popolazione: questo è proprio un fatto di cultura loro, che mantengono i boschi addirhtura in zone profondamente agrarizzate, dove la produzione è spinta al massimo, come la Champagne o la Piccardi a. E quindi veramente si vedono differenze di atteggiamento, che hanno pesato molto a lungo fino ai giorni nostri, sono differenze enormi soprattutto rispetto a ciò che ha prodotto la civiltà italiana, che è una civiltà di città. la ciffà non Ila pensato due volte se eliminare un bosco La città ha avuto il grande merito del la trasformazione del territorio, ma si è spinta troppo avanti, non ha avuto pietà, per così dire. Certo non è venuto tutto in un colpo, ma a varie riprese, con del le f011iscansioni in certi periodi. Ad esempio fra iI I I 00 e iI 1200 e poi ancora fra '700 e '800, la città ha fatto quasi piazza pulita di boschi di pianura. La tradizione della civiltà comunale è largamente meritoria, indubbiamente. E' stata una delle civiltà più "luminose" dell'Occidente e del mondo, ma nel medes imo tempo ha avuto anche quest'altro volto di atteggiamento tracotante nei confronti del mondo naturale: la città non ci ha pensato due volte se eliminare un bosco o mantenerlo in piedi, o mantenerne una parte. E' vero che già in pieno '200 abbiamo delle avvisaglie, degli allarmi che sembrano modernissimi. Yediamonegli statuti, ad esempio, di Reggio Emilia, nella metà circa del '200, la norma che deve tutelare il bosco del Comune a pochi chilometri dalla città. E lo si tutela con una normativa ferrea. Intanto lo si circonda con un fossato d' acqua, poi lo si rende accessibile mediante dei ponti, i ponti vengono chiusi con catene, degli uomini armati sorvegliano l'entrata e l'uscita. Si può uscire soltanto previo controllo della quantità di legname che si asporta. Questo indica fino a dove si era spinta allora la distruzione del bosco. cioè noi avevamo problemi allora come oggi, in fonna diversa naturalmente, ma altrettanto assillanti. Allora mancava il legname, già a metà '200, e la città vedeva i boschi pubblici diradarsi al punto da doverli difendere con norme di grande rigidità. E questo continua, perché ancora nel 1334 gli Statuti di Imola ordinano la sorveglianza armata dei boschi pubblici del Comune e si costituiscono delle torrette di legno dove stanno in permanenza uomini armati. Il legno era ind~1sabile per orandis;a parte delle necessità umane: dall'utensileria da cucina agli attrezzi da lavoro, le case stesse erano in parte di legno, e poi le armi, le imbarcazioni ... 11 legno è stato segno di una civiltà: è stata una civiltà del legno fino ad epoca molto recente. Poi le cose cambiano a cavallo del '900. C'é veramente larivoluzione industriale, si iniziano a creare ambienti artificiali e l'uomo ha meno bisogno della natura in senso immediato. nel passato problemi di allarmi fortissimi Io non sono affatto un ecologista e non mi sono mai riconosciuto, nonostante siano ormai tanti anni che studio il paesaggio, in questi movimenti, anchese sono movimenti meritori. Perché in essi spesso serpeggia un'anima naturalistica che io non condivido. Questo soprattutto in certe zone del1' Europa, dove queste ideologie spesso fanno precedere la natura nei confronti dell'uomo. cioè tengono conto più dell' albero e dell'animale che del- !' uomo. IIpericolo è che si crei una nuova divinità e che non si tenga conto degli avanzamenti della scienza. La scienza non si può eludere. E' una banale affermazione la mia, ma va fatta, perché per molti non è così scontata, naturale e accettata. La lotta contro la scienza, questo ritorno ali' indietro, questa volontà di recuperare il passato, non tiene conto che anche il passato ha avuto problemi di allarmi fortissimi, come ne abbiamo oggi, sotto forme diverse, ma nella sostanza sono gli stessi allarmi. Perché se ades o manca il petrolio, è lo stesso pericolo rispetto al '200, quando mancava il legno, e si dovevano far sorvegliare le foreste di pianura. Ovviamente c·erano i boschi di montagna. ma i trasporti erano lenti e poi in montagna i boschi servivano per i pascoli e per gli infiniti usi delle coCO munità rurali di montagna, che non erano poche: la montagna era molto popolata, si arriva al massimo del popolamento medievale fra '200 e '300. Tanto è vero che è sulla crisi del '300 che poi si innesta la peste. La peste non aveva trovato l'ambiente adatto alla sua propagazione, fino alla prima metà del '300, quando arriva il sovraccarico della popolazione e le risorse sono diventate poche. Il '300 vede una grande crisi per colpa di questo, cioè l'uomo ha tentato di produrre la maggiore quantità di derrate alimentari possibile per sfamare le città e per commerciare queste derrate, soprattutto per commerciarle, ma basandosi sul lavoro dell'altro uomo, sul lavoro del contadino, chiamiamolo pure sfnittamento, ma senza pensare a miglioramenti tecnologici. Perché si è tanto sbandierato iI progresso teenologicodell 'età comunale, ma questaèstataun'etàdi imprenditori. di grandi teste finanziarie. di banchieri, persone che accumulavano denaro e poi non pensavano di indirizzare questo denaro a sperimentazione di aziende agricole avanzate, che rendessero meglio. Pensavano solo ad acquistare terre e farle rendere in denaro, abbattere i bo chi per sostituirli con campi coltivati. lo non ho mai fatto conti, ci vorrebbe un'equipe di studiosi per farli, però siccome sono più di trent'anni che studio queste cose posso dire che nella Pianura Padana tra I' Xl sec. e la fine del X Ili sec., si sono di boscati centinaia di migliaia di ettari di terreno. Perché, in fondo, un progresso tecnologico non c'è stato nel1 'agricoltura in Occidente tranne in certe zone, come la Spagna meridionale, certe aree della Sicilia e dell'Italia, ma più che altro è avvenuto come già Gino Luzzatto osservava parecchi anni fa: l'età comunale ha segnato un avanzamento della superficie delle colture, una grande estensione delle terre coltivate, ma non un avanzamento tecnologico. L'aumento delle rese relative di cereali non è stata molto incisivo nel passaggio da alto a pieno medioevo e sembra che l'aumento delle rese relative abbia avuto un balzo in avanti verso la fine del Medioevo quando, mancando le braccia, per forza e per necessità, si fu costretti a spremersi iIcervello per trovare il sistema di produrre di più. E le rese sono aumentate ancora tra '300 e '400, dopo la grande peste, che pare abbia mietuto secondo alcuni demografi la metà, per altri i due terzi della popolazione dell'Europa centro-meridionale. Comunque tantissima gente. Non si dovrebbe dire così e non è che io lo pensi in termini di soluzione, però si deve constatare che la peste ha risolto il problema demografico, purtroppo. Però, e questa è una accusa che mi sento di fare, la peste è arrivata inserendosi in una situazione igienico- anitaria, alimentare e sociale di grande pesantezza. Quindi la peste è stata provocata. Come ha scritto Bloch in un libretto meraviglioso "Apologia della Storia'·, non c'è fenomeno naturale che non abbia a che fare in qualche modo con l'uomo, con la società, sia che venga provocato, sia nelle conseguenze. li terremoto ad esempio, viene arginato più o meno bene a seconda di come le strutture edilizie sono state approntate. l'uomo armato fino ai denti contro la natura è quello del secondo 800 li rapporto uomo-ambiente si è evoluto nel tempo, ma nella sostanza è empre stato un rapporto conf1ittuale, che però io non estenderei al di là della civiltà dell'Occidente e anche all'interno della civiltà occidentale farei delle distinzioni soluzione finale, checché se ne dica, e gli appelli degli ecologisti sono sempre più disperati ... molto incisive tra paesi di tradizione urbana, come l'Italia, oprattutto nel centro-nord, e paesi invece di tradizione più marcatamente rurale. C'é una differenza profonda tra cultura contadina e urbana. Perché la cultura contadina è legata al mondo naturale, ne sente, prima che ne rifletta, le ragioni. Ne sente la complessità, la delicatezza, sa benissimo che non si può intervenire radicalmente nel modo della natura. Ba ti pensare al culto degli alberi, che in certe zone ancora sopravvive. Il contadino certamente ha diboscato parecchio, questo per l'esigenza di sfamarsi. Il contadino ha dato il via alla colonizzazione non tanto per creare un profitto dalla terra, come invece il borghese di città, ma per affrontare il problema della fame. della sopravvivenza, per venire incontro ai problemi di un'epoca in cui la popolazione cresceva smisuratamente. Si deve poi pensare che allora, in ca o di epidemie e di carestie. che ono sempre legate, le scorte non erano molte, per cui c'era questa propensione a crear i più terre coltivate anche da parte dei contadini. Però il contadino non è mai intervenuto nel mondo della natura, come del re to anche il nobile, come è intervenuto il cittadino e in particolare la componente della città che noi diremmo borghese. C'è quindi differenza a seconda del ceto a cui si appartiene e a seconda della cultura di questo ceto. Il comportamento è molto diverso. Il contadino ha un ri petto per il mondo naturale che il cittadino ha meno, anche a quel tempo, anche nel '200, anche se non possiamo pensare che l'uomo ragionasse in termini moderni. che si fosse come noi allontanato dal mondo naturale al punto da non conoscerlo più. li cittadino del '200 conosceva il mondo naturale, la città stessa era subito circondata dalla campagna fuori dalle mura, dentro la città stessa ci sono orti, campi, addirittura vigneti, che vengono però progressivamente eliminati man mano che la città si distingue sempre più dalla campagna. Però il cittadino aveva ancora rispetto per il mondo naturale, per cui quando noi vediamo questi interventi drastici, distrutti vi, dobbiamo sempre pensare che allora lo facesse a malincuore, con un senso di colpa, come quando gli usurai chiedevano tassi di interesse per il denaro prestato del 60, 70, 80, I 00% e in fin di vita disperdevano addirittura interi patrimoni per rappacificarsi con Dio e coi Santi. Lasciavano gran parte dei loro beni alle chie e, perché allora non c'era l'insensibilità moderna verso l'uomo, per il male che uno può fare rubando agli uomini. Allora la paura religiosa e una certa sen ibilità umana che si collega alla paura religiosa negli schemi del tempo. facevano sì che questi personaggi si disperassero in fin di vita rovinando la sostanza familiare per ingraziarsi il buon Dio e assicurarsi un posto nell'aldilà. Lasciando denaro, terre, beni alle chiese e ai monasteri proprio per l'assistenza dei poveri, all'aiuto delle vedove, dei carcerati, dei pellegrini, a tutta quella stratificazione di deboli ed emarginati, alla cui debolezza e alla cui emarginazione essi stessi avevano contribuito. Quindi non pensiamo che allora l'uomo fosse come oggi staccato dal modo naturale al punto da intervenire in esso senza poi avere grandi rimorsi. E d'altronde, se noi vogliamo vedere l'uomo veramente ar-

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