Una città - anno I - n. 7 - novembre 1991

LO CONFESSO A CAPO CHINO Lo confesso a capo chino e con vergogna, nella speranza che la pubblica esternazione ed il sincero pentimento contengano in sè il germe dell'unanime assoluzione: la fine del comunismo fatto stato mi ha lasciato dentro una sensazione di vuoto, un senso di debolezza difronte ali' eventualità di una minaccia, un qualcosa che mi ha fatto sentire le spalle scoperte, non più salvaguardate da una presenza non richiesta, ma esistente. Sensazione questa assolutamente irrazionale ed irragionevole se si pensa che non ho mai provato alcuna simpatia per il modello sovietico ed abbiamo considerato senza esitazioni assolutamente condannabili molte delle sue scelte di politica estera del passato. Neppure va dimenticato che, per quanto riguarda l'Italia, durante decenni, il rigido quanto inamovibile equilibrio fra i due blocchi creava lepremesse internazionali all'impossibilità del cambiamento. Da dove vengono dunque queste mie incontrollate manifestazioni dell'inconscio prossimo? Con certezza, in parte dal1'educazione alla contrapposizione, dalla consuetudine al pensare il cosmo dividendolo in "noi" e "loro", dall'abitudine a vagliare ammucchiando i nostri da una parte, gli altri dall'altra e gli "indecisi" e gli "ambigui" in un limbo da cui avrebbero potuto essere assunti al la giusta parte i1giorno che lo avrebbero meritato. Per il presente ed il futuro dunque tutto da rifare: struttura del pensiero, rapporto con l'ideologia, valori e loro gerarchia, etc. Difficile però non ricordare che all'ombra del "grande orso" sovietico si sono consumati alcuni dei grandi sogni del nostro tempo. Quando parlo di sogni intendo principalmente le scelte, la vita, il pensiero e le azioni di milioni di singoli individui ispirati ognuno dai più sinceri ed onesti, dai più alti ed onorevoli sentimenti di giustizia sociale. Ho conosciuto in Mozambico una coppia di bianchi, poco più che trentenni, figli di ex coloni portoghesi che nel '74, al momento di scegli ere hanno deciso di tagliare le loro radici, perdere la cittadinanza portoghese, e con essa ogni previlegio a cui fino a quel momento erano abituati, per acquisire la nazionalità mozambicana e vivere in un paese in cui tutto lasciava intendere si stesse consumando uno degli ultimi grandi sogni. Erano solo due fra i tanti di una generazione, persone squisite, di grande umanità, che avevano scelto di essere partecipi di una grande speranza che si sarebbe potuta realizzare. Quanti esempi ancora si potrebbero fare? La loro speranza era generata dalla vittoria della lotta pluriennale contro il colonialismo portoghese, resa possibile dal tangibile aiuto sovietico. Qualcosa di molto simile era già successo nei primi anni '60 in molti paesi dell'allora Africa coloniale e nella stessa Cuba, è successo in Angola ed in Vietnam, oltre che inMozambico, intorno alla metà degli anni '70, è successo in Rhodesia (oggi Zimbawe) che ha concretizzato il governo della maggioranza nera nel 1980. pressoché ovunque bellissimi sogni si sono poi trasformati in storiche delusioni e spesso la radiosa speranza ha partorito orrendi mostri. Quel che rimane negli individui di tutto ciò che è il ricordo vivo ebbrezza ipnotizzante e moltiplicatrice di energie che nasce dalla grande illusione. E questi grandi sogni, tutti ed altri ancora, hanno potuto essere vissuti sotto la protezione ed il concreto aiuto dell'URSS. E' vero certo che sotto la copertura dei migliori ideali di giustizia si sono consumate orribili tragedie. Questo è ciò di cui sempre dovremo tener conto guardando al futuro. Ma non per questo si può rimuovere il desiderio di illusione, il bisogno di utopia. la necessità di sognare. Certamente, se vogliamo ripetere l'espressione usata da Giovanni Zauli sul numero scorso di questo giornale, mi vergogno se le mie scelte politiche ed ideologiche, se le mie azioni collettive ed individuali hanno oggeuivamente contribuito ad avvallare il consumarsi di storiche tragedie. Non per questo mi sento capace di smettere di sognare. Rodolfo Galeotti A MIO PADRE PASSAVO''KOLIMA'' e paradossale situazione di un comunisLa che pensa e riflette sulla politica e sull'azione politica individualmente o meglio all'interno di una sfera individuale. Oggi questa situazione è condivisa da migliaia di comunisti, credo che sia una buona cosa e che porti la ricerca di nuove forme del- !' agire politico collettivo nel superamento della forma-partito comunista classica, storicamentedeterminatae tuttavia così pervasiva del sistema politico italiano. gionevole risuolare le vecchie scarpe se le ultime si sono rotte; ma io dubito che, se gli scarponi del comuni5mo storico si sono rivelati di cartone, la sinistra possa pensare di affrontare i rigori del lungo inverno che la attende con i mocassini liberaldemocratici. Il volto orrendo che il nostro paese sta assumendo dovrebbe farci seriamente riflettere. Cari amici, mi avete proposto 4.000 battute per parlare/testimoniare(?) della mia problematica identità comunista; troppe e troppo poche. Fra la semplice e sbrigativa "riaffermazione" e la puntigliosa "ricostruzione/dimostrazione" delle ragioni di una tale identità c'è uno iato incolmabile in 4.000 battute. Dirò allora qualcosa sui due problemi che secondo me tengono aperta la questione comunista: iI problema del rapporto dell'uomo con la storia, intesa come luogo del divenire del le formazioni sociali, ed il problema della In alto a sinistra: manifesto rivoluzionario russo del I923. A fianco: mcmifesto e/e11oraledemocristiano del 1948. liberazione dell'uomo. Due concretissime questioni che mi sono state insegnate e consegnate quando, ancora bambino, sulle ginocchia dei miei nonni ascoltavo le storie delle rivoluzioni in Russia, Cina, Cuba, Vietnam e sentivo parlare del colonialismo, di Lumumba. I miei nonni, l'uno muratore per 40 anni emigrante all'estero e l'altro contadino che non ha mai po seduto un mq della terra che ha lavorato, fra di loro diversissimi per temperamento caratteriale, avevano in comune l'aver combattuto nel grande macelcrollo, ma di stile Cari amici, se potessi credere che, come scrive Giorgio Calderoni. è tempo dicominciare a sperare nel- !' affermazione di: "verità", "tolleranza". "valore della persona•·, ''non violenza". da ottenersi ancorando i alla facile base di un sano scetticismo, non esiterei un istante a raccomandarvidi organizzare un incontro fra iIvostrocollaboratoredel lepri mecolonne di pagina 2 e il vostro intervistato delle pagine 6 e 7 dell'ultimo numero di Una città. affinché il· primo catechizzasse il secondo. Purtroppo non credo a una qualunque efficacia della ricetta Calderoni, sia riguardo all'universo mondo. che nei confronti del neo-vergognoso, per cui mi astengo da ogni consiglio e vi chiedo ospitalità soltanto per un paiodi osservazioni. Poiché !"intervista a Giovanni Zauli è stata tenuta ul piano del vissuto. proponendo ai lettori un veroe proprio strazio esistenziale, non si può non vedere che v·è in essa qualcosa che vanifica l'ira e lo sdegno, gli anatemi e la politica che esprime. Salta infatti agli occhi che se il mondo è cambiato, e l'intervistato lo sa, questi invece non è cambiato e non lo sa. Il rifiuto peggio che sprezzante che. a quanto egli stesso dice, Giovanni Zauli riservava agli altri e alle loro idee nel tempo del suo traviamento comunista (ai democristiani. ad esempio), ora che si è faticosamente installato sulla retta via lo riserva tale e quale ai comunisti (mentre "'riabilita'' idemocristiani: vedi simmetria!). Come si fa a prenderlo sul serio? Ma anche voi, cari amici, cosa vi succede. se per essere in consonanzacol crollodel comuni movi costringete. con 1·intervista a Zauli. a far fare al giornale una così plateale caduta -un vero crollo- di stile? Cordialmente. Alfredo Rose11i fede e storia "Il nascere e 1·evolveredi un movimento. marxista o nazista. che ha in è le caratteristiche del ··puer"·,!"impetuosità.la violenza. l'animosità. la forza... le tendenze di rinnovamento spirituale totale, possono degenerare nel polo opposto, (nel "senex". n.d.r.) nell'irrigidimento totale. nella difesa totaledelle idee espresse. nelI' imposizione agli altri delle stesse idee..:· (dall"intervista a Oscar Laghi,n.5di "Unacittà").11"senex comunista·· persiste nella difesa totale delle sue idee, non vuol nemmeno mettere in discussione le realizzazioni pratiche delle medesime. insiste nella sua "fede··. nella pura contemplazione dell"ldeaperfetta. Inoltre paragonare Lenin allo Zar. far derivare il comunismo russo dall ·autocrazia zarista è come dire che iImaoismo è nato dall'assolutismo imperiale cinese. che Fidel Castro è 1·erede di Batista. La Storia è una scienza non una religione. Giorgio Bacchin lo della prima guerra mondiale, una alfabetizzazione faticosamenteconquistata fuori da ogni scuola, l'antifascismo e l'essere comunisti. li loro "e noi faremo come la Russia" cos'altro era se non l'ostinazione a pensare che era possibile '·cambiare lo stato di cose presenti" e la rivolta contro le vite, loro e di altri milioni di uomini, maciullate nella pura sopravvivenza (oggi magari iperconsumista) e private di senso nei rapporti economici e sociali esistenti. Quando sono cresciuto la mia militanza comunista non l'ho falla nel PCI, ma in Lotta Continua. Criticavamo un PCI revisionista e stalinista, subalterno e coerente con l'intero sistema politico che ci costringeva con ogni altra forma autonoma di opposizione sociale o ali' invisibilità ed all'ammutolimento o al vicolo cieco della violenza armata. Definivamo i regimi dell'est burocratici e toLalitari, la politica estera sovietica socialimperialista. Sulla Russia mi scazzavo con mio padre e gli passavo Kolyma e il tiburtino redivivo; leggevo Buio a mezwgiorno, Omaggio alla Catalogna, Memorie di un rivoluziona rio, Arcipelago Gulag, Schiuma della terra, e sono tornato a rileggerli nei mesi scorsi. Dalla fine di quell'esperienza mi sono ritrovato nella curiosa Questa digressione di carauere personale per dire che I' elaborazione del l'esperienza storica del comunismo non data da oggi, come ricordava Alfredo sul numero scorso del giornale, e che sta ali' interno del campo di efficacia del- ! 'analisi marxiana, se non si confonde quest'ultima con la vulgata dogmatica che ci è stata propinata per decenni. Quegli strumenti interpretativi, che non sono il Verbo, costituiscono ancora una parte essenziale della trama su cui costruire l'identità della sinistra, se con questo termine intendiamo quella parte che spinge il cambiamento della formazione sociale nel passaggio dal regno della nece - sità a quello della libertà. Può sembrare paradossale questa affermazione nel pieno di una campagna ideologica travolgente (nel senso marxiano di falsa coscienza) che attribuisce ali' esperienza storica dei regimi dell'est tuui i mali del secolo fino alla responsabilità del fascismo e del nazismo e può sembrare raE se la rifle5sione vuol essere seria credo che di fronte al disastro di quei sistemi sociali non sia sufficiente affermare che l'importante è essere stati comunisti in occidente e l'aver chiuso con quella storia, con quella identità. Il qui e ora del mondo così com'è che cosa ce ne facciamo? Rimuginando e soffrendo sui comportamenti delle forze politiche e degli uomini di sinistra in questo paese mi sono incesantemente imbanuto su quello che è il pilastro di tutta la cultura politica di questo paese: il trasformismo. Sono andato a rivedermi un po' di letteratura in proposito e ne ho approfittato per curare la formazione politica di mio nipote ventenne; così gli ho regalato I Vicerè di De Roberto,/ vecchi e i giovani di Pirandello, La signora A va di Jovine ed Il Ga11opardo di Tornasi di Lampedusa; tutti forse dovremmo rileggerli. Chiudo rubando l'uso di una metafora impiegata qualche anno fa su Anarchismo: il macigno è crollato a valle, non ci resta che riprovare, come Sisifo, per l'ennesima volta a risospingerlo in vetta al monte. Roberto Gabrielli TUTT'ALTROCHEODIO E' così difficile comunicare senso nella nebulosa dell' indistinto e dell'ambiguità postcomunista, districarsi nel paradosso di vi vere senza potersi estraniare dall'insieme delle relazioni sociali (il vincolo dell'interdipendenza!) e di contro essere presentato come individuo libero da ogni legame e connessione sociale. Come potere aprire un varco nello stato di impotenza sapendo -rispunta il vecchio Marx- che non avrebbe esiti il tentativo di riscattare la parola comunista dal ricordo dei regimi di oppressione se non rigenerandosi come movimento reale che critica, vuole cambiare la società liberandola da tutte le forme di alienazione (dal dominio delle cose sull'uomo). Intanto il fallimento del socialismo reale, nella sua versione storica statalista e autoritaria, fa scomparire una falsa alternativa, ma è preoccupanteil vuoto trategicodella sinistra in questo mutamento di fase, l'incapacità stessa di governare frammenti della città sociale e sostenibile (si coltiva la paura dei diversi e si alimentano gli ecofurbi). Si può esistere come alterità diale1tica dentro-contro l'egemonia della cultura diffusa e penetrante della volontà di potenza e dello scambio mercificante del capitali mo reale, che destruttura classi e soggetti sociali, tende ad annullare ogni dimensione storica? Perché non ripensare ad uno spazio vitale di esistenza che renda visibili non solo quelle figure umane subalterne identi ficabil i nella categoria di classi sfruttate ma anche quelle moderne dell'area vasta degli esclusi e dei nuovi poveri? E ragionare, progettare su come un'alterità sociale dialettica può farsi creativamente senso di liberazione, distanza criLica da quella idea borghese -era vincente- di formare individui neutri in continuo movimento entro un sistema di consumismo esasperato e di producibilità senza fini. Neutralità garantita anche dall'avanzare un disegno debole sui diritti dei cittadini perché predicato sul piano giuridico fonnale senza la volontà di connetterlo alle condizioni di disuguaglianza reale e al riconoscimento della diver ità della persona nel lavoro e nella società. Ed in termini più espliciti: ono possibili una cultura non imitativa, un progetto (non un modello) che faccia vivere quel- !' interrogativo antico, chi e come rappresentare, riconoscere dignità a quelle energie oppresse ed emarginate? Non è forse un tema centrale della riforma della politica l'impegno a favorire la presenza di una autonomia ideale e politica delle classi subalterne.come possibilità di attivare forme di autoregolazione della società dopo la regressione delle istituzioni statuali e il depauperamento delle risorse colletti ve da parte delle classi dirigenti? Sono interrogativi che segnano una scelta di campo e l'acquisizione era, in questo passaggio d'epoca, di nuove coordinate, nuovi miti: soprattutto il rifiuto della guerra e l'assunzione della politica come critica, smantellamento del potere e dello Stato come macchina separata, come atto (anche nella sua parzialità) straordinario di amore e di sacrificio per la liberazione umana ed insieme per la salvezza della natura. Tutt'altro che alimentare odio e terrore. Perché anche i capitalisti, la controparte avversaria, piegati anch'essi dalle logiche perverse dell'accumulazione per l'accumulazione della competizione totale, non potrebbero riconvertir i a soggettività umana non riducibile a cosa? Naturalmente una criticità forte, positiva, tesa ad una alternativa di si terna per tutti, agisce, non nellaconfusionedei ruoli e del mero pragmatismo, ma nel conflitto e nel!' opposizione sociale sapendo trarre vantaggio dalla cri i strategica di una concezione miLica, tecnocratica, del progresso come accumulazione irreversibile di verità. La storia deve continuare per tentare di e ere altro, individui liberi e coscienti, democraticamente a sociati. Giampaolo Basse1ti e in penultima------------ MI VERGOGNER_O' DI runa QUESTO? contro il pentitismo di sinistra di Andrea Brigliadori RIPENSAREL'O.N.U.SEMINARIODISTUDIO pressoSala Albcrtini - Piazza Saffi - Forlì - ore 17,30/19,30 Manedì 19110,,.9/: L'attuale assetto politicoistituzionaledcll'O.N.U. Relatore:Prof. 1assimoMagagni - Univ.di Bologna. Ve11erdì 22 1101·.9!: Il ruolo delleO.N.G. Relatore:Dott.Gianfranco Cattai -Rc,p. rapponi intema1ionaliFOCSIV Lunedì 25 no,,.9f: Le propo,tc di riforma e modificadcll'O 'U. Relatori:Prof. Antonio Papisca - Univ.di Padova. Prof. MassimoPancbianco · Univ.di Salerno.SalvatoreSenese e Luigi Fcrrajoli - Fondai.ioneLelioBa,so. Venerdì291101•.9/: Diritti umani e diritti dei popoli.Relatore:Prof. Anna Maria Gentili. Univ.di Bologna. a curadel Centro di Documcnta,joncInternazionale d, Forn ,n collaborazionecon Unh•crsit/ldi Bologna· facoltà di ScienzePolitiche • Patrocrnwdel Comunedi Forlì

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