La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

NORD-SUD La-democrazia in Africa Andrea Berrini Andrea Berrini, collabora a diverse testate tutte attinenti il continente africano. ♦ Con la fine della guerra fredda, la democrazia parlamentare, pur fra mille ostacoli, si avvia a diventare l'assetto standard degli stati africani. Con la caduta dell'apartheid, l'Africa strappa al dominio bianco anche l'ultimo dei suoi stati. Ma a cosa servono gli stati, in Africa? È questa una domanda che qualcuno comincia a porsi, a sud del Sahara. Quindici anni di Politiche di Aggiustamento Strutturale volute da Fmi e Banca Mondiale, fa~endo sesu~to a crisi econòm1che grav1ss1me, hanno. svuotato di senso la semplice idea dello stato sociale nella maggior parte dei paesi del continente. Molti paesi hanno visto crollare gli indicatori più significativi (mortalità infantile, alfabetizzazione, speranza di vita); letteralmen- · te bombardati da una politica finanziaria che ha cercato di salvaguardare il noèciolo duro dell'economia, quello che garantisce il debito contratto presso i grandi investitori e il pagamento dei relativi interessi, abbandonando a se stesse le aree periferiche, e cioè la stragrande maggioranza degli abitanti del continente. Più di quanto sia accaduto in qualsiasi altra area del globo, nel1' Africa subsahariana questa scelta ha contribuito allo scollamento reciproco dei due mondi: quello ricco, dell'economia inserita nel mercato internazionale, che ha ia sua base nelle city e nei sobborghi delle grandi città, e quello povero, tradizionalmente rurale, sottoposto ora a grandi trasformazioni. · I contadini infatti, oltre ad aver subito la scomparsa di ogni tipo di intervento statale - quanto meno nella costruzione e manutenzione di infrastrutture - ha visto diminuire drasticamente la propria scarsa quota di profitto sulle materie prime agricole, il cui prezzo al produttore subiva con puntualità ogni oscillazione al ribasso dei prezzi sul mercato internazionale, senza mai· beneficiare dei rialzi. La città ha letteralmente spogliato la campagna delle sue poche ricchezze. È questo uno dei motivi che induce la rapidissima trasformazione del1' Africa subsahariana da società prevalentemente rurale a società urbana. Fra il 1990 e il 2000 si stima in un 6-7% il tasso di incremento annuo della popolazione delle città al di sopra dei centomila abitanti, equi- . valente a un raddoppio in dieci anni. Un incremento così forte, in assenza totale di pianificazione urbana e investimento in servizi e infrastrutture, porta inevitabilmente alla creazione di immense baraccopoli: si può ragionevolmente stimare che in queste, entro pochi anni, vivrà un africano su quattro. È come se· di fronte al ritirarsi dello stato e della tanto enfatizzata economia di mercato, la reazione della popolazione africana fosse quella di aggrapparsi al centro città nel tentativo disperato di raccoglierne qualche briciola. . Chi si occupa degli agglo-: merati: urbani nel mondo (vedi ad esempio gli studi di Habitat, agenzia Onu) sostiene che allo stato attuale le periferie delle grandi città del Sud del mondo, ma in particolare quelle africane, si sviluppano secondo un ordine e un disegno lette.ralmente inventati in modo autonomo dalle culture e dalle subculture di chi le deve abitare, e che questo modello appare irreversibile a breve termine. Sul continente africano, si moltiplicano le esperienze di autoorganizzazione delle popolazioni abbandonate a se stesse. Quando in Ciad il governo non riceve più "aiuti" finanziari da Parigi, i maestri vengono licenziati in massa, e nei villaggi le famiglie si autotassano per riaprire le scuole. Quando in Guinea le campagne non ricevono più un soldo dai palazzi governativi, regioni in- ~ere si rifiutano d~ pagar_e ~e imposte, mentre piccole 1st1tuzioni creditizie rurali sono in grado di organizzare un sistema di J?restiti alle comunjtà di villasg10 con ottime garanzie di nmborso. Quando nelle b~r~c_copoli di ~airo~i _il mumc1p10 cessa ogm serv1z10 di raccolta dei rifiuti, le famiglie si organizzano in modo comunitario. Sull'altro versante, se la corsa alle privatizzazioni consegna la proprietà dei centri di profitto agli investitori internazionali, il sistema 51%- 49% lascia allo Stato una rendita che permette l'autosostentamento delle burocrazie e delle clientele. È questo, probabilmente, il motivo per cui i più tragici conflitti del continente solo raramente si presentano sotto la forma di conflitti tra stati, ma nascondono invece sotto l'apparenza del conflitto "etnico" lo scontro tra fazioni diverse per il controllo della macchina statale e della rendita parassitaria che ne deriva. Lo schema per il futuro prossimo è quindi delineato. Da un lato cittadelle fortificate a difendere l' estrazione delle materie prime e la produzione di materie prime agricole commerciali, governate_ da "democrazie" parlàmentari dove imperversa il gioco delle fazioni. Dall'altro, immense estensioni di territorio dimenticate dove popolazioni quasi allo stremo restano legate a una economia e a colture di pura sussistenza, con scambi commerciali ridotti ai minimi termini, e baraccopoli immense dove la cosiddetta economia informale fornisce l'indotto e il supporto alla cittadella del centro, pur a fronte di tassi di disoccupazione che vanno ben oltre il 30%: le baraccopoli diventano veri e propri campi profughi permanenti (senza però guadagn~re le priil?,eI?agine dei gior~ nah). I punti di contatto tra 1 due mondi sono quindi ridotti al minimo, ma tornano paradossalmente a rinsaldarsi quando il gioco delle fazioni che si contendono lo stato diventa conflitto armato, e le po-

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