La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

DA PALERMO L'uomo che arrestò Riina Marcello Benfante Quando finalmente venne arrestato Totò Riina e vedemmo in Tv il suo volto imbolsito e impaurito, gli occhi smarriti, i radi capelli grottescamènte cascanti sulla fronte (un'imma&ine così diversa dalla vecchia foto segnaletica - che mostrava un picciotto dallo sguardo protervo e sicuro - da sembrare quella di uri altro uomo,. capitato per sventura tra le grinfie della Giustizia) in molti, credo, fummo presi da un confuso miscuglio di sentimenti. C'era stizza per un'operazione condotta in porto troppo tardi, quando ormai il massacro dei più capaci e fedeli servitori dello Stato s'era atrocemente consumato. Ma c'era anche incredulità. E questo villico, questo bifolco tremebondo - ci si chiedeva - sarebbe quindi il terribile Riina, 'u curtu, che ha messo in ginocchio una regione, che ha tenuto in scacco tutta la nazione? Una scena di miserabile squallore faceva da epilogo alla grande ondata emotiva che aveva attraversato il paese e che aveva fatto assurgere Falcone e Borsellino alla dimensione dei grandi miti che forgiano i popoli. Ma dopo qualche tempo la televisione ci restituì il vero volto di Riina. Invecchiato, certo, ma ancora illuminato dagli stessi bagliori di ferocia. E lq sguardo riprese la tagliante e lam:- peggiante sicumera dei capi, quel baluginio folle e determinato dei leader sanguinari. Totò Riina ricominciava anche a parlare, a inviare messaggi ai suoi uomini usando i mass-media, a intervenire con tempismo e pertinenza nel dibattito politico, a ricostruire la propria immagine carismatica che per un attimo era stata vacillante. Fu allora che si poté capire e valutare correttamente la portata storica di quell'arresto e il suo significato simbolico di spartiacque. Y.QQ A dirigere quell' operazione fu un Capitano dei Carabinieri di cui per ragioni di si:- curezza si conosce soltanto il nome di battaglia: Ultimo. Circondato da un alone quasi leggendario di mistero, Ultimo sembra uscire dal repertorio immaginifico degli eroi mascherati della cultura di massa. Lui e i suoi uomini, la sua "sporca dozzina", somigliano ai protagonisti di certi serial polizieschi. E invece sono uomini di carne e d'ossa che svolgono un lavoro oscuro e ingrato. Eppure, in un certo senso, è proprio da quella cultura cinematografica che Ultimo proviene, anche se lui ne prende le distanze, la critica, la deride, la rifiuta. Di questo antieroe schivo fino quasi a una selvatica alterigia sappiamo adesso un po' di più ~razie al libro che gli ha dedicato Maurizio Torrealta: Ultimo - Il capitano che arrestò Totò Riina, edito da Feltrinelli. Si tratta praticamente del resoconto stenografico (a parte una prefazione di Ilda Boccassini e una postfazione dello stesso Torrealta) delle dichiarazioni, le valutazioni, gli sfoghi, i ricordi del Capitano Ultimo e, in minima parte, di alcuni dei suoi uomini. C'è un marcato accento autobiografico ed emotivo che imprime un tono amaro e visionario alla narrazione, ma vi è anche un forte e preciso contenuto informativo che aiuta a illuminare le fosche tinte dei misteri di Palermo e di Cosa No stra. Un libro utile, quindi. Agile, chiaro, senza fronzoli, senza orpelli, senza peli sulla lingua, va dritto allo scopo, con durezza di giudizi, con determinazione, con tutta la concretezza dell'esperienza vissuta sulla propria pelle, delle scoperte fatta sul campo e delle ipotesi convalidate operativamente. Da questo punto di vista Ultimo è un libro forte, un dossier dirompente, che spazza via luoghi comuni e comode interpretazioni. Come ad esempio l'onnipotenza della mafia (" ci raccontavano la storiella che a Palermo tUtto è contr'ollato da Cosa No stra"), o la tesi che per raggiungere risultati •occorrono mezzi straordinari ("bastava seguire le persone che tutti sapevano essere mafiosi, e Falcone già lo sapeva da vent'anni. Bastava solo questo, non c'era bisogno di spendere miliardi"). Viene fuori una grande lezio·ne da questo libro, un scomoda ventà: "certo l'importante è non diventare 'antimafia', non creare circuiti di privilegio e di protagonismo, non strumentalizzare i fatti, non interpretarli. l' 'antimafia' non deve essere uno strumento di potere, il potere e il contropotere sono due cose eguali". Parole sacrosante che mi pare confermino la più giusta delle polemiche sbagliate di Sciascia (o se vogliamo la più sbagliata delle polemiche giuste, che è un po' il discorso del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno) e che dovrebbero essere scolpite a imperitura memoria. La veemenza polemica di Ultimo nori risparmia nessuno. Non i metodi arcaici di una polizia ancora ferma alla logica dell' "acchiappo" per avere il plauso dell'opinione pubblica e lasciare tutto così com'è. Non i giornalisti alla. ricerca più di scoop che di fatti. Non i "Paperoni" degli alti comandi che disseminano di regole il già difficile percorso di chi il crimine lo combatte per strada e non con le scartoffie. È il j'accuse schietto di chi sa di avere le carte in regola per permettersi di dire la verità nuda e cruda. Ma c'è anche un altro aspetto del libro che vale la pena di esaminare. All'investigatore pragmatico si affianca il suo doppio sognante, l'idealista e l'ideologo. E proprio qui, sul fronte ideologico, si mostra il lato debole di un pensiero forte e di una scelta esistenziale che meri~a s~nz'altro rispetto e ammirazione. Ultimo dirige un gruppo che si chiama Crimor (anche se questo non è il nome ufficiale della sua unità). È in pratica un collettivo di diseredati, emarginati, esclusi, rifiutati. Tutti giovani, ribelli, irregolari. Ma anche dei puri, dei coraggiosi, pronti al sacri-

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