la Fiera Letteraria - XI - n. 35 - 2 settembre 1956

Dome1ìica 2 · settembre 1956 LA FIERA LETTERARIA MORTE ALL'ALBA - Capisci, - insiste il mio vicino di letto che. coricato su un fianco, mi fissa affogato fra le coltri con gli occhi sbar– rati, vitrei e gialli di malaria, - capisci, a nemmeno due metri! Ripeto in forma di domanda: - A nemmeno due metri? - Nemmeno, ti dico! Comprendo vagamente quello che mi racconta, forse non afferro bene tutte le sue parole perchè lo ascolto con un orec– chio solo; con l'altro invece ho udito di– stintamente questo rapido dialogo quando ancora il mio compagno non aveva finito di parlare: - ... ubito. subito il dottor Lombardi, se non c'è il direttore! Ma dev'essere uscito a quest'ora! - Cercatelo vi dico. E' urgentissimo! La suora se ne va rapidamente in dire– zione opposta a quella del piantone. La seguo con lo sguardo: non so il perchè ma ho l'impressione, d'attimo in attimo. di vederla volare. Dilegua in un fruscio di vesti bianche che lasciano una traccia quasi materiale nell'aria. Quando la trac– cia scompare non resta nella corsia che uno strano colore di foglie morte. - E per fortuna - insiste il mio com– pagno a bassa voce. mentre cambia len– tamente di posizione, - per fortuna la. pallottola mi ha appena sfiorato il braccio! Non rispondo. Dopo un attimo di si– lenzio il compagno aggiunge sommesso: - Ma cos'ha ? - e accenna al letto che è di fronte al mio e dòve giace un altro ferito - E' grave ? - Credo di sì. Sono quasi le cinque del pomeriggio. Nel padiglione dell'ospedale, dove tutti siamo ricoverati, c'è un insolito silenzio. A tratti odo distintamente il rumor della pioggia che scroscia fuori e batte sui vetri alti, rettangolari, situati sopra le nostre teste. L·aria è color della cenere; anche le coltri dei molti lettucci allineati non sono più bianche ma color della cenere; gli angoli sembrano ingombri di bitume. Di quando in quando sento il bisogno di s:ringere gli occhi e non tanto per il pro– fondo senso di sonnolenza che regna nel– l'ambiente. quanto per chiudermi. per isolarmi nel buio della mia .pena. Fra una pausa e l'altra del mio buio rivedo, a visioni rotte, sfocate, gli ultimi giorni della nostra disfatta: l'ardvo al primo campo di concentramento, in una notte umida e .nera, insieme a un gruppo di compagni trovati a caso; il risveglio, nel mattino successivo, sorprendente e ango– scioso come l'incubo di un folle; il mio insopportabile dolore fisico. il moment.1•• neo ricovero in una piccola infermeria del Campo incredibilmente ingombra di uomini e di cose. Poi non so se un infi– nito moltiplicarsi di particolari .solo ela– borati e coloriti dalla mia' fantasia malata • o un succedersi di avvenimenti che io' non riesco forse a vivere con chiara coscienza. Senza dubbio penso ci debba essere una certa verità in quello che ha detto il me– dico nei miei riguardi: trauma psichico o qualcosa del 1:enere. Certo da due o tre giorni vivo e vedo entro un senso di stupore attonito ., stanco che mi opprime a un tempo e mi difende: una speciP. di colla;so fisico e morale che m1 tiene come staccato dalla verità delle cose e dei fatti. Sono arrivato all'ospedale solo e a piedi. mi ~on presentato a un piantone alla porta. poi l'ho seguito come un automa non provando che il muto, assillante deside– rio di trovare un Jet o. Ho trovato invece una rete a un materasso nella corsia cJel padiglione chirurgico del tutto occupato. Ho appena badato alla uora che mi di– ceva: • Qggi poi provvederemo. Lei ha ancora qualche cosa ? • Ho balbettato: « Sono come mi vede ! • Ma. ripeto, non avevo che un solo desiderio. un solo bi– sogno, una sola disperata voglia: quella di trovare un letto. Accomodo alla testa il mio vecchio im– permeabile logoro e sdrucito, mi bui to ad– dosso un tappeto trovato a caso sul primo tavolo della corsia. non vedo chi è accanto a me. non saluto nessuno, non so nem– meno con precisione se io sia in una corsia d1 un ospedale o in un vecchio magazzino stipato e ingombro. Chiudo gli occhi e assaporo per un momento una gioia fisica che non conoscevo: è una gioia che supera il male, che supera l'.angoscia. che supera anche ogni possibile sorpresa; è una gioia che mi viene dal di dentro. nasce dalle mie ossa. dai miei muscoli, dai miei nervi; è qualche cosa che sprigiona dai pori della mia pelle e che mi avvolge, mi sommerge. Una specie di abbandono dolcissimo e sconosciuto agli uomini. entro il quale af– fondo per un certo tempo avendo vera– mente la sensazione fisica di una lenta e carezzevole caduta nel più completo an– nientamento dei sensi. E' infatti l'improv– viso distacco da una vita trasciJè<ita fino a quel momento a furia di strappi e ur– toni, il punto di frattura di una tensione dolorosa appena avvertito in un soporè simile a quello che può precedere una miracolosa rinascita. Rinasco infatti. rinasco poco dopo o forse due· o tre ore dopo: certo rinasco alJa luce. alla vita e prendo conta:to, sia pure vagamente. con tutto ciò che mi cir– conda. Saluto qualcuno che conosco, ri– spondo brevemente a domande che mi vengono rivolte. prendo visione dell'am– biente e aspetto la visita del dottore che mi viene preannunciata dalla suora. Continua tuttavia in me un certo grado di distacco dalla cruda realtà; ora poi ascolto il dottore che mi parla e considero quello che mi dice come se assai poco mi riguardasse. Nemmeno mi scuote l'idea di un possibile intervento ch1rurgico che il medico mi prospetta come necessario e mi afferro soltanto alla felicità di sa– pere che per parecchi giorni dovrò rima.– nere a letto per rinnovare le med1caz1on1. on parlo, non leggo non penso. Ri– mango immobile nel mio •office materasso e quasi mi sembra un male il dovermi ~ace, dopo rimuovere per la >1ec~~sa:1a_s~s;e– mazione del letto. Subito pero m1 r1ch1udo in me stesso e trascorro tutto il primo giorno e la sera, la grigia_ e squallid~ sera: in un complesso gioco d1 sensazioni e d1 impressioni riflesse dal mio spirito nel– l'ambiente e viceversa. Sento tuttavia che in me è un continuo ripetersi delle asprezze e dei sacrifici subiti di recente: ,li * TRISTANO 11ARi\11 provo Infatti il duro della 1erra, il duro dei terribili pavimenti nudi contr6 i quali si spezzavano le mie ossa doloranti e su– bito mi rifugio nel godimento morbido che mi accoglie; rinnovo il freddo, l'umidità nel ricordo delle mie povere spalle. mi rifaccio alla sgradevole impressione della terra bagnata sulla quale ho lungamente dormito, ritrovo il senso viscido e gelido della pozza col suo pesante odore di limo nei giorni tremendi della nostra ritirata e di nuovo e più intensamen1e mi riab– bandono al tepore delle mie coltri. E vedo allora squarci d'azzurro entro i quali gal– leggio come una nuvola bianca: sono certo io stesso una nuvola bianca e dorata, di quelle belle nuvole che affondano lenta– mente all'orizzonte nelle calde giornate di tramonto e sembran cumuli di piume destinati a ricevere i lombi voluttuosi di qualche Dea dei miti sereni. E non so davvero quali altre figurazioni trasmigdno per il mio cielo. ma son folte e dilettevoli se non forse un poco insi– stenti: col tef11p0 mi si addossano sempre più, mi opprimono. mi soffocano. Vorrei ,annullarle se potessi, vorrei rifuggirle, ma non ci riesco: sfumano per un attimo per poi riapparire .ingigantire e assumere proporzioni in ensa te e quasi mostruose. Ormai capisco di non potermene più libe– rare e m'abbandono ad esse, mi confondo, n1i arruffo con queste mie visioni e, a momenti. ho anche l'impressione di risen– tire il soffice del materasso. il caldo delle coltri, come una materia grassa, pesante in cui io n1i sia invischia:o. Sudo, sto ve– ramente male, una sensazione febbrile, cocente mi intossica la carne, mi per-vade. mi avvelena. mentre io continuo a lottare com·e in un incubo. Credo di aver smaniato tutta la notte. di aver parlato, gridato anche, in modo rotto, sconnesso cmì come le immagini dei miei sogni venivano a minacciare ]a mia vita; solo all'alba son caduto in un più dolce e quieto sopore. Al risveglio ero s:anco più del giomo precedente. Ricordo questo mio primo mattino allo ospedale. Molti letti bianchi di un bianco pallido e sporco; molti malati, molti feriti e anch'essi bianchi, di un bianco pallido e sporco; e le suore leggere e silenziose e i dottorj gravi e pensosi e i pian toni indifferenti e le cose immobili e tutto, tutto di un bianco pallido e sporco come la luce che trapelava dalle finestrette alte e illanguidiva nell'aria della corsia. Le mie mani invece erano color della terra bagnata. Le rivedo ancor oggi sulla coltre disfatta, secche, smagrite, con una specie di continua contrazione nervosa e simili a piccoli, curiosi anima!i abbando– nati su di un panno bianco per meglio poterli os ervare. l miei polsi, anch'essi color della terra bagnata entravano ,aelle maniche di una camicia li.sa e èiençiQ.~a che mi avevano fa1ta indossare, come certi rugginosi rametti di acacia privi di foglie. Spesso il mio sguardo si posava anche sul pavimento umido per la r<!tente pulizia e sul quale galleggiavano i piedi dei dottori e quelli delle suore e dei piantoni proprio come strani animali acquatici a fior d'una acqua rossiccia come l'imo di palude. Fu durante la prima refezione che co– minciai a parlare un poco col mio vicino di letto, un capitano ferito sul fiume Bot– tega. ma ricoverato per malaria perniciosa. Era magrissimo. ricordo. certo molto più magro di me; aveva gli occhi eternamente dilatati e tremava di brividi febbrili. La sua loquacità non era però diminuita: in– sisteva in modo particolare sulla ua fe– rita. più che non sulla malattia ch'era certo ben più grave, perchè lo aveva im– pressionato il fatto che una fuci.atll, tira– tagli a bruciapelo da un annata abissino 1 'f l ~ ( \ ♦·' ·~;i·c -:: '.--· •.J ' 'ii '· ~ •-I( ,; ' '' ·l •, e,, •---/~i-. ·" :' • 'I{,"~. : ,(' ,, ;;>~ ~ -·( ....-'-ti -'¼· ~-- * a soli due metri dl distanza, non lo avesse ucciso. Anche quando io non lo ascòlta vo .continuava a parlare da solo e a com– mentare il fatto. Davanti a me invece, m un altro letto, un giovane ufficiale giaceva immobile e continuava a fissare lo squallido e sudicio biancore del affitto e non diceva mai una parola. Ferito lui pure sul riume Bottega in una delicata regione del basso ventre, aveva dovuto subire sei giorni cli marcia barellato con mezzi di fortuna e tre di autocan:o prima di raggiungere l'ospedale. Sul'l"imb1,unire del secondo giorno la suora aveva detto improvvisamei1te al piantone: « Bisogna chiamare il dot:or Lombardi. se il direttor non c'è. E' grave!• Ma l'aggravamento era ,;tato tanto 1e– pentino quanto inaspettato. • • • Pochi nella corsia avevano no, ato la cosa. Il giovane ferito continuava a man– tenersi immobile come sempre, muto come sempre. nè aveva accenna:o a soffrire se non forse per uno strano rumore che emetteva ad intervalli dalla bocca e che aveva sorpreso e fors'anche stupito qual– cuno. Verso le sei del pomeriggio. qua,: all'ora solita della cena, quello strano rumore si era intensificato e questo credo sia stato il sintomo che aveva allarmi:10 la suora. . In un pdmo momento, tuttavia, 1a C,"!Sa non aveva alterato il clima e l'atmosfera dell corsia: i piantoni erano entròli rol poco cibo della sera e nessuno avevd fatto più caso al malato, nessuno, se no'.! forse chi come me lo aveva proprio di fror,te. I piantoni distribuivano i cibo e il mala:o era scomparso. Si sentiva nel si!enz:u della corsia. col minuto rumor dei piatti e de1 1 e stoviglie, anche il suono c,ratteris: 'co di chi mastica adagio, soprat~utto romp_P,0 dell'urgente bisogno di nutrirsi e pareva solo, ad ogni passar di persona, .eh~ p.;s– sasse un misterioso vento, un veuto f1 ed lo forse, sensibile a fior di pelle e che ai:– mentava, pur nell'indifferenza, un nasco– sto disagio. E fu mentre si mangia va che enl: arono due dottori e rimasero a lungo presso il letto del ferito. Uscì poi una suo:-r l';CÌ di corsa un piantone e. poco dopo ent:-ò un terzo dottore, più giovane u 1 assi– stente credo, che ascoltò atte>1tissim 0, quPl– lo che gli dicevano i colleghi più anzi~ni. Il giovane dottore uscì a sua vo'ta PPr rientrare quasi subito seguito da un car– rello di medicazione; poi un second" ca,– rello, an<:he più fornito e lucido cd fer:·i chirurgici, seguì il primo; dietro al:,e du,e suore. La sorpresa troncò con brusca c,1pid'tà il lento pjacere del pasto e ci lasc:ò tutti col boccone in bocca e il piatto tr~mante . fra le mani. 'Che stesse acc3dendo r.e,suno sapeva con pretistonè; ma quel ven·,o fred– do. quel terribile ven lo di .,ena. scorreva ora sulla nostra pelle come un oriv"do continuo: e si fermava anche nell'aria, agghiacciava l'ambiente entro cui il suono delle parole si faceva più affilato e più aspri e quasi dolorosi i rumori. Cominciò un armeggio nervoso attorno al letto del ferito. un traffico teso e silPn– zioso rotto solo a tratti da qualche ordine secco, da qualche parola violenta e per~in da qualche grido e da qualche bestemmia. Un allibito stupore aleggiava u tutti. Ci guardavamo muti e con un senso di pe– nosa interrogazione negli occhi: me>lti avevane> definitivamente posato' il piatto, ajtri continua{,a a biascicare lentamente l'ultimo boccone con una smorfia ~paurita e sgomenta. Un inten·ento a quell'ora e nel letto della corsia era cosa che faceva presu– mere un caso disperato. Ora il ferito in- Luigi Bartolint: «Stuello• (lnctslone) fatti languiva e, tratto tratto, agitava la testa. Ne fissavo il volto fra le vesti bian– che dei dot:ori, come una macchia livida e mal delimitata; riuscivo tuttavia a scor– gere il profilo del naso. affilato e gentile, con una nota luminosa e sudaticcia che ne metteva in particolar risa1to il setto. Fu scoperto. I dottori si curvarono su di lui. Ebbi allora l'impressione che sfrec– ciassero nel silenzio della corsia, nell'aria morta. non so quali baleni improvvisi: qualcosa di livido- si accese e il dolore fu tutto nel breve e cupo riquadro del nostro cielo ~ome se le grida del malato riverberassero davanti ai nostri c,:dhi d'uomini supini luci sinistre simili a lam– pi dai crudi riflessi metallici. Gridava il ferito, gridava da strappar l'anima. Ma ad ogni colpo di bisturi più roca, più fonda e sfilata si fac 7 va la sua voce: pareva davvero una bestia al mat– tatoio. E se stridenti e sfiniti erano i suoi lagni, cupe invece e irose ~'inombravan~ le parole del cbirurgo sul brnnco ~Ione d~ morte o scattavano I suoi accenti secchi e colpivano come urti e colpivano come pugni che cadessero anche sulle nostre teste, sui nostri petti oppressi. . L"intervento diveniva di minuto in ml– nulo sempre più difficile e problematico, questo lo si capiva b 7 nissii:no: l'ii:ter_ven– to si faceva d'attimo m attimo ptu dispe– rato ed inutile. Le grida, i comandi, le be– stemmiP. del chirurgo erano quindi da in– terpretare come le espressioni, tanto_ sgar– bate quanto dolorose, d1 una rabbia di– sperata e impotente in un'impari lotta. Ma noi quella sera non capivamo, non potevamo capire; a noi quella ser_a non parvero tali e ci sentivamo col ferito of~ fesi e mortificati, ci sentivamo sdegnati anche e qualcosa di torbido d rimesc~– lava dentro una sfinita angoscia. Anch 10 ero fra questi: fissavo il soffitto, quel brutto rettangolo livido e giallino che rappresentava il nostro cielo, e mi par_ev~ che anche lì si accendessero figurazioni mostruose• e volti grifagni scattassero fra le pesanti nubi dell'umidità. E più le gri– da del ferito si acuivano nell'aria e ne perforavano il vetro opaco e più formi– colante e pazza traspariva questa maca– bra sarabanda sul greve orizzonte del no– stro allucinato stupore. Nei brevi momenti di silenzio mi ap"pa– riva invece la meschina realtà: un piccolo crocchio blanco in un punto del lungo ca– merone, un lettino disfatto, ingombro di ombre e di pallide luci, una testa che sbatteva. un volto emaciato simile a una grande lividura. Ripassarono i piantoni a raccogliere I piatti: , i risenti per qualche minuto nella corsia il solito, fastidioso rumor di sto– viglie ed un sordo strisciare di passi. Anche qualche voce si udì con suono fal– so e stonato. Chi parlava troppo forte ve– niva fissato con sdegno eome se offendes– se il nostro rassegnato dolore, chi osten– tava una durezza indifferente nella voce e forse cercava cosi di nascondere la sua maggiore angoscia, veniva guardato con disprezzo. Coi piatti ripassarono silenziosi e di– sfatti i carrelli chirurgici nel loro sini– stro e lacrimante luccièore; poi, uno dopo l'altro, .i dottori con atteggi,amento riser– vato e con un'evidente smorfia di nasco– sto disagio sul viso; ultimo il chirurgo di– rettore del paciigllone che sostò a qualche altro letto con espressione assente facen– do brevi e somn:iesse domande senza qua– si attendere risposta. Rimasero due suore accanto al letto del moribondo. Curve sul corpo immobi– le e che ora appena appena alitava, pa– reva volessero carpirne i desideri estremi dagli e,tremi accenni, mentre gli andava– no rivolgendo l'ultima domanda. Parve Pag. 5 --- ---~----------· ~ ,..L_.._ Luigi Bartolini: «Studio• (lnc isione) che il ferito facesse un impercettibile se– gno di assentimento e subito una delle suore uscì quasi di corsa per rientrare pochi minuti dopo seguita dal cappellano militare dell"ospedale. E cominciò così con l'agonia l'operazio– ne del viatico. La Morte era entrata nella nostra sala, la Morte era venuta fra i nostri letti, passeggiava lungo la corsia con raccolta compostezza, a1Tivava alla parete di fon– do, s'arrestava un attimo, si rivolgeva fissava molti pallidi volli e si fermava su uno ch'era fra di noi e aveva occhi chusi. La Morte in persona con una sua precisa parvenza che non so dire, con un suo volto freddo e indefinibile, con una sua espressione nitida e confondibile e due occhi simili a due abissi. Mai l'avevo vista così bene, mai! é du– rante j combattimenti, né attraverso i pe– ricoli più stringenti, né fra de barelle dei feriti e dei morti e nemmeno quando il compagno caduto era spirato ai miei piedi. Sulle molte fosse dei colpiti, durante la lunga e tragica peregrinazione del mio reparto in guerra, c'era il sole, un chiaro sole mattinale e pomeridiano, con mille variazioni di luci e di colori, con visioni di paesaggio e talora pittoreschi partico– lar; d'ambe rocciose aperte ai venti in un infinito orizzonte pieno di cielo. La Morte era sempre rimasta estranea, insomma, alle nostre avventure di guerra e specie della nostra guerra coloniale. Ma quella sera, nella cupa corsia dell'ospedale, essa era lì, spietata e inesorabile se pure lieve e paziente, quasi in attesa, veramente in attesa che l'operazione del viatico finisse per avvicinarsi a sua voi ta al letto del moribondo e coprirlo col suo leggero man_ tel10. E intanto pareva ci guardasse un po' tutti e intanto pareva si soffe1masse in un muto colloquio con ognuno di noi come a scegliere, con espressione insoddisfatta, chi dovesse entrare in turno dopo l'eletto. Il prete salmodiava, le suore salmodia– vano: veniva dal lettino del moribondo un brusio confuso che faceva un po' l'effetto di un fastidioso vellicamento a fior di pel– le. E così, a poco a poco, mi pareva che le parole indistinte si staccassero dal grup– po e corressero sul letto e si versassero sul pavimento e ·arrampicassero sulle 19areti; mi pareva che dalla loro corporeità minu. ta si coprisse un po' tutto nella corsia che intorbidiva. anneriva, lasciando in un sol punto un alone più chiaro: in quello attendeva la Morte. Le ore che passavano con una lentezza esa perante. i minuti forse rintoccavano uno dopo raùtro entro infiniti silenzi rotti solo o meglio corrosi dalrincessan te bor– bottio. E nessuno, nessuno parlava. nes– suno h·ovava il coraggio di insinuare una parola diversa, un suono capace di eludere quel rodio doloroso che rosicchiava !"aria e le cose come il rumore coniuso di un esercito di tarli dentro il legno delle nostre ossa. Eppure le suore, i piantoni passavano ugualmente nella corsia per i normali ser– vizi della notte: passavano a ripassavano con leggera indifferenza come se tutto fos– se finito. E io pensavo, mentre il mio male cresceva così come se anch ·io ne dovessi morire, pensavo: « Quando finirà? quando flnir.à? Ecco: se morisse tutto sarebbe fini– to! Ma non muore, non muore mai!• E quasi per istinto guardavo se la Morte si muovesse alflne: ma la Morte era sem– pre al fondo del camerone. immobile. gli occhi sul lettino. in attesa paziente. Poi anche l'operazione del viatico finì I! sacerdote rimase ancora oualche minuto al letto del ferito, si curvò su di lui. Io fissò lungamente come per assicurarsi che una nuova luce splendesse sul suo viso. quindi lentamente attraversò tutta la cor– sia, uscì taciturno come era venuto. Ri– masero le quattro suore· due alla testa due ai piedi come auattro grandi ceri immobili, gli occhi fissi sul malato, le braccia abbandonale. le mani raccolte at– torno ai ![rani delle corone che sfilavane> nella preghiera. E io pensavo: « Non muore mai. .. non muore mai!• e così credo pensa~sero tutti lo vedevo io leggero sul volto dei più vi– cini,. immobili. anch'es i. paurosi di val· gere il capo pet non incontrare la Morir ch'era sempre al suo posto e non si deci– deva all'ultimo passo. Il mio compagno di fianco solo a tratt· oareva borbn•ta«p nualche cosa, ma non narlava più· Ha la febbre credn. il hrividr che lo facevann tremare pur così affo,rnto com'era sotto le coltri. Annaspava anche, a quando a quando, forse grattava le len– zuola con le unghie: immagino che tentas_ se di affondare sempre più nel calore del letto per non sentire la lama diaccia che gli percorreva le reni. Ogni tanto si rivol– geva verso il tavolino da notte e guardava l'ora in un suo piccolo orologio che era riuscito a salvare: fra non mnlto si sareb– bero spente le luci della corsia e allora più chiara, più livida e spettrale ci sarebbe apparse la Morte al fondo dell'oscuro ca– merone. E io temevo, temevo questo mo– mento come una sciagura: sapevo benis– simo che non avTei potuto dormire, che per tutta la notte avrei continuato a sen– tire il monotono borbottio delle suore e mi sarebbe stato impossibile resistere alla tentazione di guardare quando la Morte si muovesse. E fu verso le dieci, credo, che a,, r.·.ne !"ultimo intervento o meglio J"ultirno inuti– le tentativo per salvare il morituro. Entrò iniatti il più giovane dei dottori seguilo da un infermiere e praticò l'ipodermoclisi al ferito che più non si muoveva se non per un respiro affannoso che pareva un sin– gulto. Bastò tuttavia questo estremo gesto dell"umana impotenza per risollevare, sia pure per poco, le speranze e ranimo d1 molti. n ferito invece ripugnava, pareva non volesse e nel suo fioco lamento anche suonava come l'accento di un sovrumano rimprovero. Le suore, a lor volta, assistet_ tera inerti e quasi mi parve tacitamente ostili. Non fu forse che una mia impres– sione, ma penso si agi tasse in loro un sen– timento di offesa per quella mano profana che veniva ora a disturbare il sacro silen_ zio del condannato e il pio mormorar delle preghiere. E nemmeno fu breve !"opera– zione dell'ipodermoclisi: la grossa fiala al– ta sulla testa del malato si vuotava con lentezza come una clessidra. Ma la Mar e paziente attendeva. Quando tutto fu finito- non rimase al ro tangibile risultato che un lamento cre– scente del moribondo che non cessò più. che continuò, nel borbottio delle suore, sempre più roco, sempre più affannoso e che cercò, come una bestia sperduta nella notte. cercò le nostre orecchie. frugò i no– stri cervelli. lacerò le nostre anime anche più cupamente allorquando, uscito il dot– tore, si spensero le luci e altro non nmase che attendere l'alba. Affondai la testa nel mio cuscino. mi rannkchiai, ml rattrappii otto le coltri nella speranza che il sonno venisse a libe_ rarmi dall'incubo. Ma assai prima del son– no vennero i sogni ad occhi aperti e coi sogni una curiosa e terribile storia che si compose davanti alle mie pupille dischiuse ora su una luce d"altro mondo. La Morte s·era alfine decisa: s·avvici– nava adagio adagio, si avvicinava cauta– men te per non disturbare anch·essa la preghiera delle st1ore. A tratti sostava o adcl.irittura si fe1mava quando un leggero scricchiolio veniva a disturbare il profon– do silenzio in cui' s·inabissava una vita. Ma riprendeva poi fra i letti che. al suo pas– sare, divenivano intensamente luminosi nel buio, ma non li toccava e nemmeno li -sfiorava. troppo compresa com'era della sua mi sione: solo, ad ogni momentaneo indugio della Morte, vedevo le figure dei dormienti ignari e i loro volti pallidi. ab– bandonati, farsi diafani e rivelare l'estre– ma fragilità delrumana orditura. Uomini fatN, rudi spesso. più spesso amarj e cor– rotti, divenire nel sonno, entro !"intensa aureola della Morte, dolci e candidi con espressioni di bimbi e un·infinita inno– cenza sulla bocca. Anime infine anime rifatte prima del corso della vit~ e del uo grande fardello di male. anime im- muni che la Morte non può avvicinare se non per illuminare. E lo stesso pensavo di esser tale, lo stesso. nell'attimo in cui i~ Morte passava dal mio letto, non più timoroso di essa. ma con una certa voaJia invece di risollevare il voi to per fiss:rla n:ieglio. forse per sorriderle e vederla sor– ridere Ma la Morte era già oltre il mio ]etto e assai vicina a quello del moribondo: la Mort_e ora non più tenibile ma dolce. quasi materna e trepida e premurosa e ·nfimtamente del;cata in ogni suo gestb. All'alba si curvò sull'eletto. lo baciò sulla fronte, lo raccolse fra le sue braccia e, come una mamma che s'avii col suo nato ~I fonte battesimale. \ee;gera e sorriden:P uscì dalla corsia per la porta di fondo .:;;enza più volgersi e sen7-;, nill ~ostare. Ecco perchè quando ml rkv,,aJ!a; l: mat_ tino successivo il letto rlovanli a me era vuoto. TRISTAl'iO VAR!'il

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