Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

Discussioni in famiglia che non sono dissidi a chi ha interesse a dimenticarle, ed ha dato esempio di dignitosa coerenza astenendosi dal partecipare a quella sciagurata tregua istituzionale nella quale si lasciarono intrappolare a Napoli gli uomini di sinistra e pseudo– ~inistra a tutto profitto degli elementi clerico-monarchici, una tregua che non era poi neanche una tregua, perché obbligò chi vi partecipava a giurare fedeltà al Re ed ai suoi reali successori per tutti i secoli dei secoli. Quel– la scellerata bancarotta fu in parte rimediata a Roma nel giugno 1944 colla formula del nuovo giuramento che accantonò di diritto, se non di fatto, la dinastia. ìvfa la posizione strategica di Primo Ministro fu affidata ad un agente della combricola monarchico-clericale. Inoltre, una nuova tregua istituzionale, non solamente impegnò i ministri a non approfittare dei loro uffici per favorire i propri partiti politici - impegno onesto da prendere e difficile da mantenere - ma fu intesa come divieto ai sei partiti di discutere qualunque problema che non fosse quello di dividersi in parti eguali la focaccia degli uffici, lasciando frattanto padrone indispu– tato del terreno, a riorganizzarsi nelle forze armate e nell'amministrazione, il partito monarchico colla sua dinastia. Dato che primo e unico dovere dei partiti ingabbiati nella tregua istituzionale era di tapparsi la bocc~. gli uni cogli altri, fu bandita ogni controversia che potesse aiutare la parte pensante e attiva del popolo italiano a classificarsi secondo le affinità sociali e le varie correnti ideologiche, a definire accettare o respingere a ragion veduta le responsabilità del passato, a cercare la propria strada nelle necessità presenti e in vista delle necessità future. Diciotto mesi preziosi furono cosf perduti per la rieducazione politica del popolo italiano dopo venti anni di unanimità obbligatoria. Allo sfacelo economico si ag– giunse la paralisi intellettuale e l'accecamento politico. Il P .R.I. è rimasto immune da questa responsabilità, che secondo me è la massima fra quelle che i sei partiti patentati si sono messe sulle spalle. Contribuendo nella misura delle mie forze su "Italia Libera" alla critica della cosiddetta "Esarchia" e alla promozione del movimento repubblicano, io feci opera della quale so che non dovrò mai pentirmi. Ma oggi verrei meno a un mio dovere di coscienza se non esprimessi fran– camente le mie preoccupazioni per quelle che sern.brano a me gravi man– chevolezze ih un movimento nel quale ho molto sperato e vorrei sempre sperare. Quando Ferruccio Parri accettò di diventare Primo Ministro io, pur rammaricandomi che egli non avesse insistito nel suo rifiuto primitivo, e non si fosse riservato per una situazione politica meno equivoca, fui dell'opi– nione che non avevamo soltanto l'obbligo morale di rispettare il suo passato di antifascista e la sua recente opera di partigiano, ma anche quello di assumere verso di lui un atteggiamento di aspettativa non entusiastica, ma non ostile. Io fui dell'opinione che avremmo dimostrato fiuto politico troppo grossolano se, trattando un uomo come Parri come avevamo trat– tato Badoglio e Bonomi, avessimo fatto il giuoco di quegli agenti inglesi e di quei clerico-monarchici italiani che da diciotto mesi spingono al. go- 723 49 Bi .,ca Gino Bianco

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