Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

Una questione di date di poema e di storia, e poi a svenire di entusiasmo per Ivanoe Bonomi (finché questo camminò a braccetto col Conte Sforza) dal 1nomento che anche un essere impossibile come Salvemini non domanda oggi che preci– pitarsi a Roma a cooperare con Parri. La cronologia è uno degli occhi della storia. La cronologia delle mie lettere è stata accecata. Addio storia! Io non vorrei che a queste mie spiegazioni sia dato un significato che oltrepassi il mio pensiero. E qui è dove il fatto personale scompare, e la sola discussione di interesse generale può tenere il campo. Mentre la lettera del 4 giugno è stata oltrepassata dagli avveni– menti, quella del 3 luglio è, purtroppo, sempre di attualità. Due mesi e mezzo sono passati dalla formazione del Ministero Parri, in questo tempo poco è stato fatto di buono e qualcosa è stato fatto di male. Il confino di polizia è ancora H come al tempo di Mussolini. La censura non solo sulla stampa periodica ma anche sugli opuscoli è ancora H come al tempo di Mussolini. La data per le elezioni amministrative non è stata ancora annunziata. La Consulta, quella miserabile Consulta che caverebbe ben pochi ragni dai buchi, ma che almeno obbligherebbe i famosi partiti patentati a discutere pubblicamente e ad assumersi cosi le responsabilità delle loro opinioni, non è stata ancora convocata. Per la Assemblea Costituente si aspetta ancora il beneplacito della Commissione Alleata. Il famoso armistizio del 29 settembre non è stato ancora pubbli– cato. La dichiarazione di guerra al Giappone non ha fatto onore alla se– rietà di nessuno. Il contratto di lavoro dei 15 mila operai italiani che andarono a lavorare nel Medio Oriente non è stato pubblicato. L'e– lenco può continuare. Un ministero che in due mesi e mezzo non ha potuto fare meglio di cos1 minaccia fra altri due mesi e mezzo di essersi discre– ditato in modo tale da rendere inevitabile quel colpo di stato militare per evitare il quale si era formato. Roma, lo sappiamo, non fu fatta in un giorno. Nessun ministero può superare in quattro e quattr'otto le spa– ventose difficoltà che l'Italia ha ereditato dal fascismo, dalla guerra e dalla disfatta. Non si possono pretendere miracoli. Ma il nulla è troppo poco. Con tutto questo io sono convinto che non è lecito precipitarsi contro Parri a testa bassa col fanatismo vociferante di cui sembrano de– liziarsi oggi troppi italiani "liberati." Noi tutti, in questo giornale, quando era qui a dirigerlo Randolfo Pacciardi, convenimmo che occorreva dare al Conte Sforza il beneficio del dubbio quando parti da New York per l'Italia, nonostante ciò che egli aveva fatto nei due anni precedenti per demolire tutte le speranze da noi riposte una volta in lui. Aspettammo dall'ottobre 1943 all'aprile 1944. E solo quando si fu irreparabilmente rovinato con la scellerata bancarotta di Napoli, prendemmo atto di quanto era avvenuto senza piu alcun ri– rnedio, e ci regolammo di conseguenza. Anche dopo due mesi e mezzo di attesa non certo incoraggiante, anche se le delusioni dovessero moltiplicarsi come temiamo, io ritengo che sia 721 BibliotecaGino Bianco

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