Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo I

Lezioni di Harvard: L'Italia dal 1919 al 1929 I solo perché la rivoluzione russa aveva reso il "bolscevismo" di moda, e gli agitatori cercavano effettivamente ,di servirsi della crisi per provoca- re una rivoluzione bolscevica, ma anchè perché gli uomini politici, che ave– vano condotto male la guerra e anche peggio la pace, i nuovi ricchi che con i loro lussi sfrenati sollevavano l'indignazione generale, i capi militari e i na– zionalisti che avevano creato il mito velenoso della " vittoria mutilata " e con l'impresa di Fiume avevano sparso i semi della sedizione nell'esercito, tutti costoro trovarono comodo far ricadere la responsabilità della inquietudine po– polare sulla propaganda "bolscevica." In politica, come in ogni altro genere di cose, non piace a nessuno ricercare le cause del male nelle proprie colpe: è sempre piu comodo attribuirne ad altri la responsabilità. Se ogni sciopero, ogni conflitto, ogni disordine, deve essere onorato della qualifica di " bolsce– vico," in tal caso non c'è dubbio che nel 1919 e 1920 l'Italia era in preda al "bolscevismo." Gli italiani sono un popolo rumoroso: non riescono a far • niente senza fare un gran chiasso, e spesso fanno un gran chiasso senza fare niente. Ma se il termine " bolscevismo " si deve usare solamente nel caso di una rivoluzione sociale che rovesci le classi abbienti privandole del potere poli– tico, allora l'Italia durante quegli anni non è stata mai in preda al "bolscevi– smo. " E se per " bolscevismo " si intende il collasso economico in seguito ad una agitazione politica, tale collasso economico non si ebbe mai. Non occorre sminuire il disagio provocato dagli scioperi, specialmente di quelli che riguardavano le ferrovie e gli altri servizi pubblici, o minimizzare la responsabilità di quegli elementi aggressivi e radicali che si abbandonavano al giuoco assai costoso di creare i guai nella speranza che i guai alimentassero la rivoluzione. È chiaro che nella prima metà del 1920 vi era tra le masse un vero stato di attesa per una incombente rivoluzione sociale. Ma anche quan– do si sia tenuto presente tutto questo, rimane il fatto che vi furono sf molti disordini, scioperi, conflitti e molto chiasso e molta confusione, ma non si arrivò mai alla crisi fatale. Per lo piu le persone che, col fiato sospeso e gli occhi fuori delle orbite, parlano del "bolscevismo" di quegli anni, non sono insincere. Nel 1919 e 1920, furono terrorizzate dalla tragedia russa, ed erano in uno stato di timor panico, in attesa della rivoluzione sociale come le pecore davanti al macello. Se la paura, lo smarrimento e la vigliaccheria dei ceti abbienti fossero suffi– cienti a provocare una rivoluzione comunista, nel 1919 e 1920 il popolo ita– liano avrebbe potuto fare quante rivoluzioni comuniste voleva. Se non si prende in considerazione tale stato di panico non si riuscirà a comprendere la ferocia della reazione fascista che venne dopo. Inoltre si deve ricordare l'ama– rezza patriottica e il profondo desiderio di rivincita che realmente esisteva in larghi settori dei ceti medi italiani contro inglesi, francesi e americani che "avevano mutilato la vittoria italiana," contro quegli uomini politici italiani della vecchia scuola che "avevano vinto la guerra ma perduto la pace," e contro tutti quegli italiani che si erano rifiutati di sostenere Sonnino e si erano opposti a nuove avventure belliche internazionali. I socialisti formavano 512 BiblotecaGino Bianco

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