Gaetano Salvemini - Scritti sulla scuola

Giuseppe Kirner zione tecnica necessaria a concepirle e ad attuarle senza errori; forte assertore di giustizia e di moralità, mentre lasciava carriera aperta ai piu scandalosi favoritismi giornalistici, trapanesi, massonici e parlamentari, perché era convinto sinceramente nella sua curiosa psicologia di giacobino amorale - tutt'altro che rara, del resto, fra i nostri politicanti - che un ministro non sarebbe ministro se non gli fosse lecito tutto, e che un favore fatto a un amico è sempre una buona azione, soprattutto se è ingiusto e illegale; misto grottesco di violenza e d'impotenza, di volontà e di nolontà; fiutatore finissimo dei vizii e delle viltà degli uomini, e abile a servirsene per crearsi intorno una larga fedele clientela; amante di popolarità e pronto ad usare mezzi demagogici per raggiungerla; tutto intento a farsi del Ministero della Istruzione scalino alla Presidenza del Consiglio. In quelle associazioni d'insegnanti, che da ogni parte pullulavano e che appena costituitesi gli mandavano un telegramma discretamente insolente e molto democratico, egli intu1 con la sua mente dissestata ma non priva di genialità, che v'era una forza non disprezzabile e che questa forza poteva essere utilizzata. E si dette ad approvare il lavoro di organizzazione, a riconoscere la giustizia delle domande, ad affermare la necessità di provvedere. "Spingetemi," egli diceva, "ed io farò." E noi spingevamo; altro che spingevamo! . Il Kirner dapprima si tenne appartato da questo frastuono: era nuovo alla vita pubblica; diffidava assai delle attitudini dei colleghi a vivere organizzati; pensava che disgraziatamente parecchi fra coloro, in favore dei quali occorreva chiedere aumenti di stipendio, per quello che intellettualmente e moralmente valevano, erano pagati anche troppo. Alla fine si lasciò tentare anche Lui e si mise all'opera - come diceva un anno dopo - " piu per non rifiutare il contributo proprio, che per una profonda convinzione dell'utilità di quello a cui s'accingeva." E subito il buon senso, il tatto squisito, la lealtà, di cui dava prova in tutte le circostanze, fecero di lui l'uomo di fiducia dei colleghi di Bologna: chiamato prima nella Commissione, che doveva compilare il progetto dello statuto locale, incaricato poi di riferire all'Assemblea sulle proposte della Commissione, fu alla fine nella seduta del 30 giugno nominato con 53 voti su 57 votanti presidente dell'Associazione. E già, con quella visione netta e sicura delle situazioni, che era una delle sue doti fondamentali, aveva fissato fra sé un primo nucleo d'idee intorno all'indirizzo della organizzazione: "Noi non vogliamo," scrive il 1 ° luglio a un amico, "a capo della Federazione persone estranee all'insegnamento, perché la nost~a forza deve consistere tutta in noi stessi; e vogliamo che l'Associazione centrale dia tutte le garanzie che non obbedirà a pressioni o politiche o d'altro genere, e che sia, in altre parole, la rappresentanza genuina della volontà e del pensiero dei soci." Assicurata la vita alla società di Bologna, si dedicò in compagnia di pochi amici a preparare pel settembre del 1901 un primo con.vegno . 125 BibliotecaGino Bianco

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