Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socialista e questione meridionale Spiegai che non potevo: il ministro non avrebbe accolto la loro do– manda, se non gli avessi fatto capire che mi sarei sentito obbligato, verso di lui e verso il Ministero di cui faceva parte, ad una riconoscenza, che avrebbe dovuto manifestarsi negli appelli nominali, o almeno nelle vota– zioni segrete; questo era l'ambiente; io non intendevo piegarmici. Piut– tosto mi sarei immediatamente dimesso da deputato. Quei poveri diavoli se ne andarono disperati. Ma io rimasi piu disperato di loro. Essi domandavano non un favore illecito, ma giustizia. In un'ammi– nistrazione, nella quale il favoritismo era legge, il deputato diventava per necessità strumento di favori, anche giusti. Ma questi non potevan essere gratuiti. Lui doveva promettere i suoi servizi ai ministri se questi dove– vano dar via libera alle faccende degli elettori. Rifiutando il mio appoggio a quella povera gente, che domandava solo di lavorare, non ero io di– ventato complice di quel deputato, che proteggeva disonestamente l'altra cooperativa di lavoro? D'altra parte, l'Italia era governata da una buro– crazia mastodontica, pigra ed inefficiente, la quale attirava. a Roma milioni di pratiche, e le pratiche cosf accumulate erano lasciate a dormire, mentre l'impiegato "competente" sospendeva il cappello all'attaccapanni nella sua stanza per far credere che era uscito per un "bisogno urgente" e se ne andava per i fatti suoi, senza pensare ad altro. Con un regime di questo genere, non era uno fra i doveri del deputato quello di "risvegliare" le pratiche degli elettori? Ma potevo io cambiare linea di condotta? Quella crisi di coscienza mi riusd estremamente penosa. Dovevo io ri– presentarmi candidato per la Camera? Ero io fatto per quell'ufficio? Altre considerazioni mi conducevano a quella domanda. Oltre a fare il deputato, dovevo insegnare all'Università di Firenze, e non volevo per– dere nessuna lezione, e facevo continuamente la spola fra Roma e Firenze, dormendo spesso in treno. Quando poi veniva un po' di vacanze o dalla Camera o dalla scuola, dovevo andare nella provincia di Bari per dare qualche aiuto a chi lavorava laggiu. E per giunta avevo sulle spalle un settimanale, L'Unità. Come abbia resistito a tanto lavoro, non so. Nel– l'autunno del 1920 decisi che non potevo continuare. Composi nel sepolcro L'Unità alla fine dell'anno. E nel gennaio, durante una malattia peno– sissima, decisi di rinunciare alla Camera. Cosf sarei rimasto insegnante, niente altro che insegnante, dedicando alla politica meridionale i margini del mio tempo, come avevo sempre fatto. Poiché ho parlato del mio rifiuto di accompagnare e raccomandare quel– la cooperativa al Ministero, aggiungerò che io misi piede una sola volta nella prefettura di Bari. Invece non passava giorno che il quotidiano go– vernativo di Bari non facesse sapere che il deputato "socialista rivoluzio– nario" della provincia era stato dal prefetto con la commissione di una cooperativa, o con una commissione di disoccupati, o con una comm1ss10- ne di impiegati, o con una commissione di spazzini, o con una commis- 684 BibliotecaGino Bianco

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