Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socialista e questione meridionale della burocrazia statale, tutti quei capitali non nascono dal niente. Prima o poi, per una via o per un'altra, sono sempre i contribuenti che debbono pagare. Prima della guerra, quando le organizzazioni capaci di farsi sentire a Roma erano poche, e i Comuni socialisti erano appena alcune centinaia, la "politica topografica" poteva facilmente escogitare caso per caso gli espe– dienti amministrativi e finanziari, con cui risolvere il problema in senso oli– garchico. Oggi, i braccianti disoccupati sono elettori ormai in tutta Italia: e per dare lavoro a tutti i disoccupati, occorrerebbe una continua pioggia di miliardi. Nelle elezioni amministrative del 1920 i socialisti conquistavano, non piu alcune centinaia di Comuni, ma 2500 Comuni, un terzo quasi dei Comuni italiani; un altro terzo fu conquistato da popolari, che pesano nella Camera per 110 deputati; e l'altro terzo è rappresentato dall'arcobaleno degli altri 300 deputati, i piu fra i quali nella corsa dei sussidi e dei favori non sono disposti a lasciarsi passivamente accantonare. Il problema in queste condizioni, non può ridursi piu, né per il partito socialista, né per gli altri partiti, ad uno sforzo di sollecitazioni e di facili– tazioni amministrative particolari: è diventato problema di organizzazione generale. Oggi non è piu possibile persistere nel metodo antico: cioè smun– gere il Governo centrale e riversare su una minoranza di organizzazioni e di Comuni privilegiati i denari pompati da tutte le altre classi e da tutte le altre regioni del paese. Oggi, çhi rifiutasse di adattare il pensiero alle nuove necessità del suffragio universale, andrebbe incontro a un rapido si– curo disastro. Cioè il problema si è enormemente slargato: e altra via non c'è per risollevarlo, che riorganizzare le finanze e gli organi centrali e loca– li col criterio di lasciare agli Enti locali una maggiore larghezza di risorse finanziarie e una piu ampia autonomia amministrativa: e ciascun gruppo locale provveda da sé, a sue spese, ai casi propri, senza considerare piu il bilancio dello Stato come il pozzo di San Patrizio o come l'albero della cuc– cagna. Salvo che i socialisti non preferiscano tener mano alla revoca della rappresentanza proporzionale e del suffragio universale, ritornando ai tem– pi beati in cui era cos1 facile applicare in pochi la formula: arrangiati che io mi arrangio. Un primo sforzo di adattamento alle nuove necessità comincia a mani– festarsi, se non ci inganniamo, sul terreno della questione doganale. Un socialismo, che voglia essere nello stesso tempo internazionalista e protezionista, è una contraddizione in termini: internazionalismo e libero scambio sono la faccia politica e la faccia economica del medesimo ideale. Il socialismo rivoluzionario potrà volere abbattere a un tratto le frontiere doganali insieme ai "confini scellerati"; il socialismo riformista potrà tene– re conto delle necessità contingenti, e non domandare l'immediata demoli– zione delle frontiere, tanto e~onomiche, quanto politiche; ma l'uno e l'altro, se vogliono essere coerenti, debbono almeno opporsi ad ogni inasprimento dei sistemi protezionisti ereditati dal passato. Nel primo decennio del mo– vimento socialista italiano (1891-1901), la campagna antiprotezionista fu con- 612 BibliotecaGino Bianco

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