Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socìalìsta e questìoné meridionale travano nelle organizzazioni tutti accesi dalle aspettazioni messianiche del– la prima propaganda, e le perturbavano trascinando talvolta anche le piu tradizionaliste nell'orbita rivoluzionaria: fenomeno assai diffuso nelle gran– di città, dove ogni anno penetrano a fiotti dalle campagne e dalle regioni piu lontane larghe ondate di nuovi venuti, che le vecchie organizzazioni di resistenza stentano lungamente ad inquadrare e disciplinare. Ma, nell'esprimere la inquietudine di questi gruppi contro la politica dei socialisti riformisti, né i sindacalisti né i socialisti rivoluzionari affronta– vano mai di proposito il problema dei rapporti fra i diritti della classe prole– taria intera e l'azione politica delle minoranze organizzate. Piu ancora dei riformisti, i sindacalisti guardavano al solo proletariato organizzato, e ignoravano la massa ancora inerte. Secondo la loro ideologia, tutte le funzioni del Comune, della Provincia, del Governo centrale dovreb– bero essere assorbite dalle organizzazioni locali e dalle confederazioni re– gionali e nazionali: la moltitudine finché non si organizza, non ha diritti, perché non esiste diritto, dove non esiste forza e volontà propria. I rifor– misti riconoscevano, al~no in teoria, costrettivi dalla logica socialista, un interesse comune agli organizzati e alla moltitudine ancora inerte. La teoria sindacalista negava questa solidarietà e avrebbe fatto della società un cam– po di sfruttamento feroce a profitto degli organizzati sui disorganizzati. Quanto ai socialisti rivoluzionari, la distinzione fra riforme generali e riforme parziali era del tutto estranea alle loro preoccupazioni teoriche. Essi aspettavano - ed aspettano sempre - la crisi finale del regime capita– listico da un suo interno meccanico disfacimento, come si prevede lo scop– pio di una caldaia, in cui cresca di minuto in minuto la tensione del vapore. L'aspettavano, come un esercito stringe sempre piu dappresso una città as– sediata: trincerati nell'assoluta intransigenza elettorale e parlamentare, ostili al metodo delle conquiste graduali, - poco importa se generali o parziali, - sventolando la bandiera dell'abolizione della proprietà privata, pronti a istituire la dittatura proletaria non appena il vecchio Stato capitalistico si fosse dimostrato impotente a funzionare. Le lotte elettorali, l'azione parla– mentare, nelle loro concezioni teoriche, non erano che mezzi di propagan– da rivoluzionaria, porte per penetrare nei centri vitali del sistema nemico e sabotarli. Anche quando si interessavano delle riforme, e ne facevano do– manda al Governo, non le trattavano che come espedienti di propaganda e di azione rivoluzionaria. Perciò rifiutavano le "riformette 11 facili, con cui la borghesia cercava di "addomesticare 11 questo o quel gruppo e di attutirne lo spirito rivoluzionario. Erano disposti a combattere solamente per quelle riforme radicali - per esempio il libero scambio immediato, l'abolizione totale delle spese militari, il controllo operaio sulla produzione - che avreb– be intaccato su larga base il sistema sociale capitalista. E prevedevano che la borghesia non le avrebbe concesse, e che la domanda insoddisfatta avreb– be accentuata l'inquietudine rivoluzionaria. Ma riforme e generali e parziali erano, le une e le altre, "pannicelli caldi 11 di fronte alla palingenesi sociale. 602 BibliotecaGino Bianco

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