Gaetano Salvemini - Movimento socialista e questione meridionale

Movimento socialista e questione meridionale Tutti i settentrionali, che sono andati nel Mezzogiorno con queste illu– sioni, ci hanno rimesso i loro capitali e se ne sono tornati a casa colle ta– sche vuote. La terra meridionale non può arrivare al livello di produttività della ~erra settentrionale, perché il clima del Mezzogiorno è diverso da quel– lo del Settentrione, e l'agricoltura è fatta dal clima, e non dalla terra: "non è la terra," diceva Teofrasto, "ma la stagione che fruttifica"; e le stagioni sono nel Mezzogiorno piu aleatorie che nel Nord e costringono in alcune parti del Mezzogiorno la terra a rimanere inattiva per sei mesi dell'anno, mentre nel Nord essa lavora sempre. Contro questa condizione d'inferiorità naturale di buona parte del Mezzogiorno, non c'è forza umana che possa fare né in fretta, né con lentezza l'impossibile. I meridionali non sono né ignavi né poltroni: sono lavoratori accaniti, e conoscono il loro mestiere come nessuno lo conosce: e chi va nel Mezzogiorno a coltivare, se non vuol perdere i suoi capitali, farà sempre bene a cominciare dal fare quel che essi fanno. Dunque, non c'è nulla da fare? - No davvero. C'è sempre da mi– gliorare tutto. E i coltivatori meridionali, dove c'è il tornaconto economico, migliorano piu che possono i loro metodi tecnici. E non è detto che i set– tentrionali non possano raggiungere anche miglioramenti non pensati da quelli del luogo. Quel che importa, è non illudersi che certe trasformazioni si possano fare a tamburo battente, e con l'aiuto dello Stato, sia pure ridot– to ad un comitato supremo agrario, che abbia fatto l'agricoltura nei campi e non nelle cattedre o nelle direzioni generali. Dunque, non c'è nulla da chiedere allo Stato? S1, c'è da chiedere molto, c'è da chiedere tutto. C'è da chiedere in primis et ante omnia che non ci paralizzi coi mono– poli non necessari, con i prezzi d'imperio sproporzionati ai costi di pro– duzione, colle requisì,zioni pazzesche e brutali. C'è da chiedere che si limiti a fare il suo dovere, ma questo dovere lo faccia bene: mantenere l'ordine, costruire e mantenere le strade, bonificare i terreni infetti per quanto le condizioni naturali lo consentano, non aggravare l'agricoltura con tasse spro– porzionate in confronto di quelle che colpiscono le altre attività economiche. C'è da chiedere che, finita ormai la guerra, non soffochi con un sistema doganale, utile solamente ai siderurgici, ogni progresso agricolo dell'Italia. C'è da chiedere che istituisca centri di studio scientifico per i problemi tecni– ci dell'agricoltura meridionale. C'è da chiedergli, insomma, quel che sola– mente lo Stato può fare e che i -privati non possono fare. In Italia, invece, si chiedono allo "Stato" i motori, le bestie, i condu– centi, ì concimi, le sementi, i lavoranti, i prestiti. Si chiede ciò che i pri– vati dovrebbero considerare come una loro gelosissima attività. E ci si di– mentica di chiedergli ciò che lo "Stato" solo può ~ dovrebbe dare! [Da "L'Unità," 8 gennaio 1920, firmato: L'UNITÀ.] 572 BibliotecaGino Bianco

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