Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte quinta Sarebbe stato difficile trovare una formula meglio adatta ad inasprire un problema che i predecessori di Sonnino avevano sempre trattato col metodo emolliente. Certo il papa avrebbe cercato di intervenire alla con– ferenza della pace. Aveva fatto già un tentativo analogo nel 1899 quando lo Zar Nicola II promosse una prima conferenza della pace. Il governo ita– liano allora si era opposto all'intervento ed era riuscito ad evitarlo. Ma quel– lo era il tempo quando Leone XIII si atteggiava a sov~ano di uno "Stato Pontificio" che la forza aveva distrutto, ma doveva essere sempre consi– derato esistente secondo il diritto internazionale. Nel 1915 la situazione non era piu quella del 1899. Tra il pontificato di Leone XIII e di Bene– detto XV c'era stato quello di Pio X. Se non fosse stato del tutto desti– tuito di buon senso, Sonnino avrebbe preso occasione dalla crisi europea mentre era ancora in corso, per negoziare col Vaticano una soluzione de– finitiva della vecchia questione. Se il papa voleva non incontrare la oppo– sizione del governo italiano al suo intervento nella futura conferenza per la pace, doveva in compenso rinunziare esplicitamente e fin da ora a ogni rivendicazione di carattere territoriale contro l'Italia. Per facilitare questa definitiva rinunzia, non ci sarebbe stato nulla di male se Sonnino avesse alla sua volta riconosciuto la sovranità pontificia su un piccolo lembo di terreno, il Vaticano, su cui del resto il governo italiano fin dal 1871 non aveva mai esercitato giurisdizione. In altre parole, Sonnino avrebbe potuto domandare ai governi della Triplice Intesa che si impegnassero ad opporsi all'ammissione del pontefice nella conferenza se a quella ammissione fosse mancato il consenso italia– no. Quando si fosse fatto forte di questa posizione diplomatica Sonni– no avrebbe potuto negoziare col Vaticano le condizioni per consentire al desiderio del papa. L'intervento del papa nella conferenza sarebbe riuscito pericoloso all'Italia solamente se la Questione Romana fosse rimasta aperta fino alla fine della guerra, e se l'Italia fosse stata vinta insieme con i suoi alleati. Se queste due ipotesi si fossero avverate, la opposizione dell'I– talia e dei suoi alleati all'intervento pontificio non avrebbe servito a nulla, perché sarebbe toccato ai vincitori dettare la soluzione per la Questione Romana come per tutte le altre. Era proprio in vista di una possibile scon– fitta che Sonnino avrebbe dovuto liquidare la ;vecchia questione approfittan– do della guerra. Anche in caso di vittoria, e. piu ancora nell'ipotesi a lui cara della "partita bianca" e della pace di compromesso, egli aveva tutto l'interesse a non trovarsi piu fra i piedi quelle difficoltà. Nessuno poi può dire che cosa il papa avrebbe potuto concludere nel 1919, dopo la disfatta della Germania e lo sfasciamento dell'Austria, nel– l'atmosfera di rancore e di vendetta creata da quattro anni di .guerra inu– mana. Nessuno può dire se dopo aver messo la mano in quell'ingranaggio la diplomazia pontificia sarebbe riuscita a districarsi da ogni complicità ne– gli errori e nei delitti delle diplomazie laiche. Questo è certo: che Son– nino con la sua azione recò un'offesa gratuita ad un avversario il quale do- 562 BibliotecaGino Bianco

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