Gaetano Salvemini - Preludio alla Seconda guerra mondiale

La rotta dei sanzionisti tate strumento di punizione e di vendetta, violando lo spirito del Patto stesso. Molti avevano invocato le sanzioni - perfino le sanzioni militari con la speranza che un'azione energica della Società sarebbe bastata ad indurre Mussolini alla ragione. Le sanzioni non erano destinate a fare la guerra, ma "in un modo o nell'altro" ad impedirla portando le questioni a conclusioni soddisfacenti. L'azione collettiva "era una specie di rimedio magico che sicuramente e senza dolore avrebbe messo a posto qualsiasi malfattore" (FEis, lnternational episodes p. 224). Ora che la guerra era finita con la schiacciante vittoria del malfattore, come si poteva disfare il già fatto? Doveva la Società delle Nazioni iniziare una nuova guerra con– tro Mussolini, ora che la guerra tra lui e Hailé Selassié era finita? Di fronte a questa situazione cresceva continuamente il numero di coloro che dicevano: "S1, è orribile, ma che fare? A che versare lacrime sul latte già versato? " Per dir la verità, sangue e non latte era stato ver– sato. Ma era sangue altrui. Il delegato ufficioso degli Stati Uniti a Ginevra era della opinione che, dopo il fallimento delle sanzioni, "era necessario fare qualche sforzo per ricondurre l'Italia nelle file delle Potenze rispettabili (sic). Siffatta po– litica avrebbe richiesto assoluta mancanza di scrupoli. Sarebbe stato neces– sario rifiutare alla delegazione etiopica l'ammissione alle discussioni della Società, abolire immediatamente le sanzioni, e iniziare senza ritardo una stretta collaborazione con Mussolini in vista della minaccia tédesca." "Sfor– tunatamente," aggiunge, "gl'inglesi erano persuasi che il Ministero Baldwin non sarebbe sopravvissuto al riconoscimento di tale disfatta. ,► i Il sottosegretario generale italiano della Società delle Nazioni, Massimo Pilotti, accompagnato dai membri italiani del segretariato e dai funzionari italiani dell'Ufficio internazionale del Lavoro, assistette ad una cerimonia promossa dalla colonia italiana di Ginevra in occasione della presa di Ad– dis Abeba - cioè della sconfitta dell'organizzazione alla quale erano legati da un giuramento di fedeltà. Era altres1 presente un funzionario francese dell'Ufficio internazionale del Lavoro, che in un discorso rese omaggio al Governo italiano e alla sua resistenza alla Società delle Nazioni (MG. 7-V-'36). Il segretario generale, Avenol, non ebbe nulla da eccepire. D'altra parte i Governi di Francia e Gran Bretagna dovevano defini– re i loro rapporti con l'Italia alla luce delle nuove condizioni sorte in Afri– ca Orientale. Annunciando che l'Etiopia era diventata "territorio italia– no" Mussolini aveva abrogato il Trattato del 1906. I francesi pensarono che il Duce mancava di discrezione. L'Associa– ted Press americana (6-V) fece sapere da Parigi che i .funzionari francesi erano preoccupati per la dichiarazione del Primo Ministro Mussolini che l'" Etiopia è italiana." Flandin pregava il Duce di "essere ragionevole." L' am- 1 WILSON, Diplomai between Wars, pp. 327-8. 623 Bibloteca Gino Bianco

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