Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

Operare o protestare? 1 Il padre Alessandro Ghignoni, le cui convinzioni religiose sono agli antipodi delle nostre, ma del quale sentiamo di dovere rispettare ed ammirare l'altezza dell'ingegno e la grande, attivamente benefica, forza morale, ci onora di questa lettera, che siamo lieti di pubblicare, anche perché ci offre modo di chiarire meglio il nostro atteggiamento di fronte alla guerra di Tripoli e ai socialisti "negativamente protestatarii." CarissÌ'fno SaJvemini, Mi permettete una parola a proposito di quanto scrivete della guerra di Tripoli su L'Unità che, diretta da voi, promette d'essere il foglio della verità? Ecco. Voi dite: Adesso, a guerra cominciata e inoltrata, la stampa socialista alza la voce e protesta, in opposizione ai maggiori organi del conservatorismo e del banchierismo italiano. Questa è una inanità retorica. Quando la guerra si preparava, e dalla stampa si lavorava la pubblica opinione, allora sarebbe stato tempo, non di protestare, ma di lavorare con eguale ardore e con miglior buona fede e smontare quello che gli altri montavano. Ora, né io né altri vi potremmo dar torto in questo apprezzamento di cose, né negarvi ragidnevolmente l'assenso quando osservaste che le proteste non faranno retrocedere dall'impresa tripolina nemmeno un soldato, e ormai ci si deve augurare che dalla guerra si cavi tutto il meglio possibile. Ma quando vorreste, non solo che a questo trarre il miglior partito dalla guerra s1 spingesse da tutti concordemente il paese, ma che cessassero affatto le proteste, non vi s1 può dar~ interamente ragione; almeno io non saprei piu darvela. Mi pare che, fra questo vocio concorde o di incoscienti o di fin troppo coscienti, ma a modo loro e secondo i loro interessi; in questo unisono della gran maggioranza degli Italiani davanti al fatto compientesi e domani compiuto d'una invasione a mano armata, d'una conquista civile a suon di cannonate e di fucilate; in questo propagarsi incontrastato di entusiasmi e di inni esaltanti la guerra e i suoi orrori; mentre nessun giornale, né di parte moderna, né di fazione clericale, fa o vuole assorgere dal punto di vista della politica, degli equilibri, della strategia, dell'affermazione della forza e del nazionalismo, a quello infinitamente piu umano, anzi unicamente umano, del diritto senza garbugli avvocateschi, e della giustizia senza alterazioni utilitarie, sia da accogliere con incondizionata simpatia chiunque, mettiamo pure in ritardo e senza speranza di nessun risultato, alza un grido di protesta in nome di cotesto diritto' e di cotesta giustizia. Non misuriamo dunque la portata pratica di tali proteste, né andiamo sindacando come e perché e quando sorgano a gettar l'allarme se non altro su qualche coscienza; pensiamo solo, seppure abbiamo delle convinzioni schiette e profonde contro la guerra e questa guerra, a quale taccia si troverebbe esposta domani, ad esultanze, a canzoni, ad odi, ad entusiasmi sbolliti, questa povera Italia, se oggi non si trovasse nemmeno un foglio pubblico, nemmeno un gruppo d'uomini capaci di opporsi alla fiumana che oggi tutto e tutti trascina. Anzi, se oggi appunto non è piu il caso di discutere, _abase di c~mstat~ioni de visu_ e di documenti positivi, l'utilità della guerra, tanto meglio! Le voci che s1 levano dai giornali dissidenti sono e si devono riguardare piu che mai esclusivamente umane e di coscienza. È il caso di ripetere: O felix culpa! 1 Pubblicato in " L'Unità ", a. I, n° 6, 20 gennaio 1912, p. 4, a firma L'UNITÀ. [N.d.C.] 153 Biblioteca Gino Bianco

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