Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

li partito popolare italiano Dai cattolici italiani il Vaticano ha sempre preteso, anche nelle que– stioni politiche, un'obbedienza assai piu stretta che dai francesi e dagli spagnuoli. È difficile decidere se questa maggiore pressione sia stata resa possibile in Italia da una maggiore docilità dei cattolici italiani, o se invece la pressione maggiore abbia educato i cattolici italiani a una maggiore docilità. Nel medioevo gli italiani in generale e i romani in particolare era- .no i cattolici piu insubordinati di tutto il mondo: fu necessaria la ferrea organizzazione della Controriforma per ridurli alla condizione di animali domestici. Oggi un cattolico - dico un cattolico sul serio e non un cat– tolico da statistiche - il quale voglia rivendicare la sua libertà individuale nelle questioni politiche di fronte alle autorità religiose, deve superare assai maggiori ostacoli in Italia che in qualunque altro paese del mondo. Sotto questo punto di vista, l'esperienza del partito popolare italiano presenta un notevole interesse, non solo per l'Italia, ma anche per tutti i paesi che hanno cittadini cattolici. Le persone che conoscevano i retroscena del Vaticano, sussurravano che il segretario di stato, cardinale Gasparri, avrebbe preferito non consentire il sorgere del nuovo partito: meglio sarebbe stato procedere sul solco già tracciato da Pio X. Ma · Benedetto XV aveva voluto che fosse lasciata via libera al ·nuovo esperimento. Benedetto XV veniva dalla scuola di Leone XIII e del cardinale Rampolla. Come arcivescovo di Bologna, dal 1906 al 1914, egli si era sempre astenuto dall'incoraggiare le alleanze elet– torali fra i cattolici e i nazionali conservatori, a differenza di ciò che aveva fatto Pio X nella diocesi di Venezia prima del 1903. Manteneva come papa la stessa attitudine di disinteressamento dalle lotte elettorali, che aveva• tenuto come vescovo. Il laicato cattolico, secondo lui, doveva fare dovunque le sue prove nella vita politica, senza essere tenuto al guinzaglio dai vescovi e dal Vaticano. Grazie alle libere iniziative dei fedeli, la Chiesa avrebbe esteso la propria influenza nel mondo assai meglio che se un'unica autorità avesse preteso di imporre da Roma gli stessi metodi e le stesse parole d'ordine ovunque. Quanto ci fosse di vero nelle voci del dissidio fra il papa e il suo segretario di stato, è difficile accertare. Questo è indubitabile: che nell'au– tunno del 1918 don Sturzo apparteneva, come segretario generale, alla Presidenza centrale dell'Azione cattolica, al quale ufficio era stato chiamato da Benedetto XV tre anni prima. Avrebbe, egli sacerdote, abbandonata al– lora l'Azione cattolica e sarebbe passato al partito popolare, se non vi fosse stato autorizzato in precedenza dal papa? 8 D'altra parte, la nuova formazione politica sorse, senza essere ufficiai- a In Il partito popolare nel 1919-1920, I, cit., Salvemini aggiunse: "Don Sturzo ha rac– contato di aver preso l'iniziativa per la formazione del nuovo partito senza alcuna intesa preventiva né col papa, né col segretario di stato, cardinale Gasparri. Solamente dopo che l'idea fu approvata dai suoi amici, egli ne portò la notizia a Gasparri, il quale si limitò a prendere atto che il nuovo partito agiva 'a suo rischio e pericolo,' senza alcuna responsabilità delle autorità ecclesiastiche: L. STURZO, La cbarité cbrétienne et la politique, in 'La vie intel– lectuelle,' 10 maggio 1936, p. 424; Le popularisme italien: une expériençe politique, in 'La terre Wallonne,' giugno-luglio 1936, pp. 214 sgg." [N.d.C.] 219 B blloteoa Gino Bianco

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