Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Stato e Chiesa in Italia da Pio IX a Pio Xl atti di spionaggio. La Santa Sede non si send di dare siffatta garanzia, e i due ambasciatori misero le loro tende in Svizzera. 6 In conseguenza di questo fatto, le comunicazioni fra la Santa Sede e i governi degli Imperi centrali divennero piu difficili. Qualche volta la corrispondenza del Vaticano coi vescovi italiani non fu risparmiata dalla censura. Il papa e i cardinali furono continuamente preoccupati per quanto avrebbe potuto avvenire in Italia e in Roma nel caso di una sconfitta de– cisiva delle truppe italiane. Insomma difficoltà e preoccupazioni non man– carono. Ma se il papa avesse dimorato in un altro paese, belligerante o neu– trale, diverso dall'Italia, avrebbe egli incontrato minori difficoltà a comuni– care col resto del mondo? La sua corrispondenza sarebbe rimasta inviola– bile da un territorio all'altro? Che cosa un altro governo avrebbe potuto fare perché il papa si sentisse piu libero? Se invece di essere un sovrano senza territorio, fosse stato il sovrano di tutti i territori che governava prima del 1859, il papa avrebbe goduto di maggiore tranquillità e libertà di fron– te alla tempesta della guerra? Lo stesso Benedetto XV, nella sua allocu– zione concistoriale del 6 dicembre 1915, fu obbligato a riconoscere che "non fece difetto a coloro che governano l'Italia la buona intenzione di elimi– nare gl'inconvenienti. 111 Nel giugno del 1916, il piu autorevole dei deputati cattolici, l'on. Filippo Meda, accettò di diventare ministro delle Finanze per dare "affida– mento all'interno e testificare all'estero, che i cattolici recavano tutta la loro solidarietà alla nazione in armi. 118 Secondo la casistica inventata al tem– po di Pio X, l'on. Meda era un "cattolico ministro 11 e non un "ministro cattolico. 11 Il Vaticano quindi non era coinvolto nelle sue responsabilità. L'Osservatore romano ebbe cura di pubblicare la seguente dichiarazione: "Come Ministro, l'on. Meda non può rappresentare altro che se stesso e gli amici suoi. 119 Ma la gente grossa osservò che nel 1916, per la prima volta in Ita– lia, un uomo politico proveniente direttamente dalle organizzazioni catto– liche diventava ministro senza essere condannato dal Vaticano, nonostante che non fosse stata ancora risoluta la questione romana. Proprio il gabinetto, di cui l'on. Meda faceva parte, deliberò nell'ago– sto 1916 di occupare, come atto di guerra, il palazzo Venezia, che era sede dell'ambasciata austriaca presso il Vaticano, ed era rimasto disabitato dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria. Il papa protestò con- 6 F. RUFFINI, Imperi centrali e Vaticano durante la guerra, cit., p. 48; E. VERCESI, Il Vaticano, l'Italia e la guerra, cit., p. 78; E. DEVOGHEL, La question romaine sous Pie XI et Mussolini, cit., p. 18; G. QUADROTTA, La Chiesa cattolica nella crisi universale, cit., pp. 116 sgg., CXIX-XXIV. 1 G. QUADROTTA, La Chiesa cattolica nella crisi universale, cit., p. CXXII. Anche lo scrittore cattolico E. DEVOGHEL, La question romaine sous Pie XI et Mussolini, cit., p. 18, rico– nosce "gli sforzi lealmente compiuti dal governo italiano per impedire che le nuove circostanze create dallo stato di guerra non aggravassero ancora la situazione della Santa Sede." 208 8 F. MEDA, I cattolici italiani nella guerra, cit., p. 11. 9 Ibid., p. 80. BibliotecaGino Bianco •

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