Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Stato e Chiesa in Italia da Pio IX a Pio Xl il pensiero allora prevalente nel Vaticano, dicendo che era "manifesta la ne– cessità" di creare . anche in Italia un'organizzazione politica dei cattolici analoga al Centro tedesco. 8 Questo era piu facile a dire che a fare. Prima di entrare alla Came'ra "con fronte alta e cuore intrepido," i candidati cattolici dovevano presen– tarsi al corpo elettorale per fare la loro "protesta positiva." Ora, non .si trovava nessun eroe che fosse disposto ad inalberare nelle lotte elettorali la bandiera della questione romana. Chi avesse avuto questo coraggio, avreb– be provocato contro di sé la concentrazione di tutti i partiti non cattoli– ci, dai nazionali conservatori ai socialisti, e sarebbe andato incontro ad un sicuro martirio elettorale. I candidati, di regola, non hanno la stoffa dei mar– tiri. D'altra parte, un candidato che, presentandosi con bandiera cattolica, avesse dimenticato di spargere una dose sia pur minima di lacrime per la insoluta questione romana, avrebbe dimostrato di non dare piu alcuna im– portanza a siffatta questione. Sia che fossero sconfitti parlandone, sia che fossero eletti tacendone, i candidati cattolici avrebbero dimostrato che gli italiani, della questione romana, non volevano sentir parlare. Bisognava cercare una "combinazione" che non compromettesse le n– vendicazioni territoriali, e nello stesso tempo non impedisse ai cattolici di presentarsi come candidati. La "combinazione" fu questa: i candidati cattolici dovevano doman– dare il voto agli elettori non come cattolici, ma come candidati conserva– tori che si impegnavano a difendere alla Camera la politica religiosa voluta dai cattolici. L'Osservatore romano lanciò la seguente formula: "cattolici de– putati, sf; deputati cattolici, no." 9 Con questo pietoso bisticcio il Vati– cano cercò di dissimulare il fatto che nessuno in Italia, fra gli stessi cat– tolici, all'infuori di esigui gruppi mummificati, si interessava piu della questione romana. Inoltre i candidati cattolici dovevano presentarsi in quei soli collegi, dove avessero la certezza della vittoria, o dove la loro compar– sa non minacciasse di provocare una troppo violenta reazione anticlericale. Negli altri collegi gli elettori cattolici dovevano votare per i candidati con– servatori contro i candidati anticlericali e socialisti, purché i conservatori si dichiarassero favorevoli ad una politica ecclesiastica approvata dai cattolici. Con un governo che fosse sostenuto da una salda maggioranza conserva– trice, la quale a sua volta avesse bisogno di essere appoggiata nelle elezio– ni da un partito cattolico rigidamente disciplinato, la Chiesa non avrebbe avuto piu da temere una rivoluzione socialista ed anticlericale, e avrebbe po– tuto, al momento opportuno, rimettere sul tappeto la questione romana. A disciplinare in tutta l'Italia l'azione dei candidati e degli elettori cattolici, il non expedi't doveva rimanere sempre in vigore, come regola ge– nerale, ma doveva essere sospeso dalle autorità ecclesiastiche caso per caso. L'enciclica ai vescovi d'Italia, Il fermo proposito, dell'l 1 giugno 1905, s Ibid., p. 657. 9 E. VERCESI, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 127-28. 166 BibliotecaGino Bianco

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