generale di pagare preventivamente un salario al lavoro, e di assegnare pure preventivamente un interesse (se tale si può chiamare una quota fissa, che non è assicurata se non pel caso che si realizzino degli utili) al capitale: alla fine dell' esercizio, il residuo si doveva ropartire fra i soci; e qui cominciano a disegnarsi i criterii, che variano quasi da società a società e che furono discussi dagli economisti. oi non dobbiamo parlare qui di questi diversi criterii adottati, se non in quanto siano stati approvati e discussi nella scienza. In generale si è ammesso dagli economisti che, prelevati interessi e salarii, si debbano ripartire gli utili in proporzione del lavoro e del capitale; però talvolta si è riconosciuta conveniente anche una ripartizione che non facesse posto al capitale, o non lo facesse al lavoro. Così, per esempio, lo Thornton, enumerando i diversi sistemi adottati in pratica, senza manifestare la sua preferenza per alcuno, ammette anche quello che accordi al capitale il solo interesse, lasciando, tutti gli utili al lavoro. Per converso il Fawcett opinava che, ove tutti i lavoratori possedessero una quota al capita le sociale, non ci fosse alcun inconveniente a ripartire 1·utto il profitto in proporzione di quello. Ed anche il Flaxl lo ammette, quando però sia limitato il numero delle azioni, che ogni socio-lavoratore possa possedere; poìchè in tal caso, egli dice, è indifferente che il socio riceva la sua parte di guadagno come capitalista e come lavoratore. Anche queste opinioni non sono ammissibili, almeno in teoria; se il capitale è associato nell'impresa, esso <leve avere la sua parte cli utili; e sarebbe ingiusto che. mentre corre l'alea delle perdite, non dovesse partecipare alle eventualità cli guadagno. Questo argomento non vale a reclamare pel capit:-tle tutti gli utili: poichè anche il lavoro corre dei richi dipendenti clall' incertezza della produzione, dalle eventuali sospensioni della produzione, ecc., e perchè anch' esso, come associato, ha diritto alla sua parte;
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