Volontà - anno XI - n.4 - aprile 1958
tario o no, cerco in ogni modo di fare il mio mestiere che trovo qual. che volta duro, sopratutlo nella ,.o~ detà intellettuale abbastanza brutta che è la nostra, dove il riflesso ha sostituito la riflessione, dove intere selle fanno loro punto d'onore la slealtà, dove la cattiveria cerca trop• vo spesso di farsi passare come in– telligenza. Se lo scrittore ci tiene ad ascoL tare ciò che si dice, non sa più al– lora a quale santo votarsi. Una certa destra gli rimprovererà di firmare troppi manifesti, la sinistra (almeno q uclla nuova, ed io sono della vec– chia) di non firmarne abbastanza. La stessa destra gli rimprovererà di es– sere un umanitario, la sinistra un aristocratico. La destra lo accuserà di scrivere troppo male, la sinistra troppo bene. Restate artista o abbia. te vergogna di esserlo, parlate o la• ccte, in tutti i modi voi sarete con– dannato. Che fare, al Iora, se non altro che a6fidarsi alla sua stella e continuare con ostinazione la marcia cicca, esitante che è quella di ogni artista e che lo giustifica però al– la sola condizione ch'egli si faccia un'idea giusta sia della grandezza del suo mestiere che della sua povertà personale. Ciò porta a scontentare tutti e bi. sogna rassegnarcisi_ Tuttavi.i, benchè io senta d'olorosamente il decadimcu– to di questa società io non me ne se– paro e m'includo anche nell'accusa. Ma almeno, io mi rifiuto di aumen– tare le sue debolezze. Non sono di quei cristiani che corrono ad incen– diare le chiese per la sola sodìsfa– zione di fare questo bel lavoro prima dei materialisti. Non sono di que– gli amanti della libertà che vogliono adornarla di catene rivestite, nè di quei servi della giustizia che pensa- no che la si serve bene solo sacrifi– cando parecchie generazioni all'io. giustizia. Vivo come posso, in un paese disgraziato, ricco del suo po– polo e della sua giovcnti:1, povero (provvisoriame1Jte) di élites, impe– gnato nella ricerca di un ordine e di una rinascita alla quale credo. Ma se vivo in questo paese che io amo nonostante le sue disgrazie, cd in questa societi1 che nou amo nono– stante il suo prestigio, se credo alla fede inevitabile e giusta di soffrire del comune male, non è che io non imagini un'altra vita, non è che 1ni sia sufficiente quel fantasma di li– bertà che sopravvive tra di noi, cir• condato di padroni e di servi. Senza la vera libertà e senza un certo ouo• re, io non posso vivere. E avendolo riconosciuto una volta, avendo giu. dicato che questi beni sono al di so– pra di tutto, m'è parso che avrebbe– ro dovuto essere assicurati a tutti e nell'attesa che arrivi il loro regno, bisogna lottare senza tregua per testimoniare in loro favore, in mi>m– ra delle nostre forze. Ecco l'idea che io ho del mio me– stiere. Non so se ho dato troppo o non abbastanza firme mie, se sono un grande signore o un democratico. Ma so che ho cercato di rispettare il mio mestiere, nou potendo inge– nuamente stimare me stesso. Ho cer– cato in particolar modo di rispetta. re le parole che scrivevo, poichè at– traverso esse rispettavo colorQ che ,,otevano leggerle e che non vo– levo ingannare. E' stato necessario farlo in lotte spesso faticose e che, francamente, mi sono costate e mi costano ancora. Queste lotte tuttavia sono inevitabili; le ho accettate e le accetterò. Ma io so che rischiavano di inaridirmi, di farmi conoscere delle amarezze per le quali io non 191
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