Volontà - anno VIII - n.6-7 - 15 novembre 1954

Noi tulli s:1ppia1110che il Ja,•oro è dominato da motivi di 1,rofit10 - ma questo non è il }>Cgb•io. Esso è as• solutamente dominato da motivi di consumo: come profitti, ~ paghe, o (nel.le teorie del« benessere») <1unn• titì1 di produzione sociaJe. A tale me. la \'Cngouo indirizzati lutti i nostri sforzi scientifici, e la nostra i11gegno– eiti1 di organizzazione. Ma l'uowo 11011 è - occorre dirlo? - semplice• mcn:c un comm11wtore, egli è un Ja. voratorc. Jn (1mmto lavoratore egli è oru soltanto J':1ssistente di una niac. china, uno strumento I)ll!!Si\'O di in. tlustric impi:mlute per la produzio. ne di <1uan1i1ì1. JI deterioramento della quali1ii delle merci è una con– ~egucnz:.1penosa, sebbene minore, di <1ues1a economia unilaterale; l'ab– bassamento del lavoro in una socie– ti1 dedicata al progresso economico è un'ironia cd uu disastro. (Scnz:1 dubbio il lavoratore indu– etrialc mcccanicizzato è ancora SO· 1,ralutto un simbolo, e un'ombra di quello che polrÌt essere, non ancora un fot10 onnipresenlc. Ma quando considcriumo la condizione di incer– tezza del lavoratore con il colle1to 1 al <1uale mnnca perfino la pretesa d.i djgnità del produttore, vediamo (1uan10 sia gii:t pervasivo l'uhhassn. men lo del lm oro). Nella noslru. società, inoltre, ac. 1·ct1iarno 1>crdato di do\·er essere e· elranci l'uno alJ'altro - cslranei che 1:nror:.mo insieme, e che 1< lratlano >) tra di loro lramite l'autori1i:1 e lo ~cambio di danaro. Noi ci lasciamo ~ruggire, u1,pena consape,•oli della noslra 1-.crdit11 le <1trnlitìt del calore ~ociale, della rÌ\•nlitù Fraterna e <lei• la cooperazione - ci lasciamo s(ug• p;irc quesle soddisfazioni e 111 forza 1·hc esse ci d:irebhero. 3i0 Acccttian10 per dato che un pic– colo numero di persone, più o meno dotale di talento, tacciano - diffi. cilmcnle si potrebbe dire «creino» - alle condfaioni usuali del mercato orientale dal consumo, le nostre « o– pere d'arte », la nostra « ricreazio– ne », mentre il resto di noi rimango– no spettatori. Noi siamo pure gente che, in gra– \'C conflitto con noi stessi, abbiamo creato ogni specie di espedienti mu– tilanti 1>erconciliare la nostra ansia percepila a metà ma ben reale, di a• more, di rispetto di sè, di amicizie, di attivitit ercalrici, con le domande di conformità che pesano sopra di noi, con ciò che la nostra società ci insegna come fini del vivere. O· piuuosto non cli conciliare le tlue forze, ma di rassegnare noi stessi a Jlesanti rinunce. Ora, noi dobbiamo riconoscere mc. rito al nostro ,,acse per Jc sue mern. vigliose tecniche produttive, per i ~uoi miracoli medici, per l'alto svi- 1111,podella conoscenza scientifica. Abbiamo basi tali 1,er ,,ivcre che ben poche societit le h:mno mai avu– te, v'è tuttavia, tranne pochissime eccezioni, null'altro che una esisten• za, una vana sopravvivenza. È scor>o dell'anarchismo di guar– dare oltre la soprn,•"i"cnza - cli mi. rare a ciò che dev'essere fatto se vo. ~liaino giungere ad una nobile vita che valgn la pena di essere vissuta. 2 • Limiti ed insucce8si della riformo Come possono ~ssere affroutati questi problemi? li moclo ovvio, tiucllo continuamente sperimentato dalla gente bene intenziona1a, è di :.allaccarc ciascun problema separala•

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