La Voce - anno II - n. 13 - 10 marzo 1910

LA VOCE tratto, inler\'eniva e spezzava col grido letla sua sanit?t, l'errnbonda laterante e di– corde loquela di quei pazzi e di quei ma– ali che, per un complicato intreccio di cause, ,'era trovato a mettere al mondo. Ma ciel sano grido e delle schiette parole :he piombano in me1.zo a quel vaniloquio, non ;i può nè si deve dimandare giustificazione, lirò cosi, estrinseca, a quel modo che n~ssuno Jretende prova di fatto dei movimenti d'animo 1i quali, per esempio, uno Shelley accordava li– :>eramente i suoi canti. Se il loro significato 1a potere di commuovere, non bisogna chieder oro altro. Essi sono, e a compiutamente essere, ,asta loro esser semplicemente a quel modo. 1 loro tono, il loro fiato, crean loro intorno un'atmosrera cordiale che li preserva dalla ?lltrida compagine nella quale son costrelti a ~•ivere, che 1 invero, sembra fatta apposta per :alunnk1rli e viziarli, attribuendo loro forzo– samente cause nelle quali non si risolvono, perchè son di natura diversa, e facendoli sboc– ;are in soluzioni fiHizie e ridicole dal mo– mento che tutta l:t. loro risoluzione sia in quel loro attimo soli1ario di canto. In tutto il romanzo e in tutto il dramma 1i Gabriele d'Annunzio non si esce, insomma, da una situazione fondamentalmente lirica. Essi si sviluppano, in realtà, fra il dolore e il desiderio di un uomo e la forma suscitata dalla sua speranza, la fata morgana del suo de– siderio, che gli balza davanti a sorridergli, a pro· metterglisi, a pungerlo, a esasperarlo, ma, al– tresl, a farlo ripiegar su sè stesso e ad iniziarlo alla sua profondità. È un intimo solitoquio che nr-gli attimi di concitazione suprema si sdoppia e diventa dialogo, ma dialogo lirico, interiore, se anche s' intesta a nomi che val– Sono appena a dargli I' indicazione del tono 1 l'avvertimento del modo della modulazione, simili alle concise didascalie che stanno a insegnar la perfetta guisa d'esecuzione di una musica. E gli elenchi di questi nomi ram– mentano le dramalis personae dei misteri, delle cantate, delle scene sacre, ove, per esempio, la vergine parla eroiche parole al sire carnale che ha tentato sedurla e, respinto, la trae ai supplizii 1 meotre la madre dolorosa fa sen– tire il suo pianto dalla lontana c;1setta solitaria che -olezza di purità e i serafini scendono in• torno al rogo acceso a conforto ed a scortar l'anima al cielo. Ma la vergine, il sire, la madre dolorosa, i serafir.i, non son creature, sl toni, accenti, non dico simboli, sviluppati da un modo musicale che non può uscir di s~stesso,si sceneggia, si commenta, si dichiara, ma è retto tutto da un unico affiato, è un respiro di un'unica specie, è una sola linea di canto. E si ha un romanzo ed un dramma impossibili, fatti di ,,oci anonime, che si intrecciano, si urtano, si predano, si incrociano a comporre sovente profondi significati, ma sembran patlate da vacue bocche di maschere somiglianti. Ap· parenze di romanzo e di dramma, sostanza di lirica, - ma lirica arricchita di varietà infinite di atteggiamenti e di movenze formidabili, la quale sotto un cielo chiuso, che è il limite stesso di questo spirito, balza, si spezza, ri– piomba, mentre pur la volta che le si in– curva sopra le preclude di rifranger nella pu– rezza delle sue tremolanti corone di schiume la luce d'una libertà pili grande, di lucida• mente riflettere, nei suoi aspelli poderosi, tutta la vita infinita e diversa. Ma gi:ì nella dura insistenza :id esprimersi in queste fo(me, ad OJ>erarein 1alt condizioni dif– ficoltose, è un segno di sicurezza che com– muo,•e. E il risultato, d 1 altronde 1 non tradisce il fen•ido amore. Che cosa si è affermato constatando che il romanzo e il dramma di Gabriele d'Annunzio non son romanzo nè dramma, nel senso nel quale adopriamo queste parole a proposito delle opere di uno Shakspeare o d'un Balzac? Essi son pur qualcosa. Non voler riconoscere quel ch'es5i sieno per il f.ttto che non s'ag– guagliano a forme già esis1ite 1 è scioc~o ed iniquo. In essi quella primiliva carnalità folle eJ insaziabile di gaudio diventa pensosa, sog– giace alla tristezza della prima solitudine, del primo senso di rimorso. In essi che, nel loro furNe irretorlo, la violentano e la contraddi• cono, si determina la prima volta il suo com– plemento. In essi J'esislenza altrui oon è già più serrata sohanto in aspetti plastici, este- riori, brutali, ma insiste oscuramente come entità intima, come interrogativo morale. Il processo interiore dal quale scoccava sicura la scintilla lirica, si addensa in essi e piglia sostanza propria, perchè, complicatosi, non sa pii.1 1 come prima; esaurirsi tulto in un at– timo di immemore libertà. In essi si sve– glia faticosamente l'alba d'una coscienza. ;\la quando io affermerò che questa co– scienza, gravata d'ombra e involuta, significa un arricchimento di umani1à sulla schematica coscienza di un Carducci, sulla coscienza con– tadina di un Verga, troppo circoscritta dalla sua stessa meravigliosa rozz.ezza 1 i miei !e1tori non gridino inorriditi. Ch'io sappia, i gridi non foron mai cr i1ica letteraria. Nemmeno in quella memorabile notle del\' ottobre 1906, nella quale la ruffiana ragazzaglia scribac– china della capitale, usci1a dal Costanzi, doYe avea vituperato Più che l'amore, incontrando per le strade deserte le pattuglie che invigi– lano i I notturno com merci o del le bagasce, urlava: e arrestate il poeta >. Oh, io non mi propongo una difesa 1anto postuma del dramma l Nè, d'altronde, potrei meglio farla che trascrivendo le parole che l'unico giornalista italiano il quale porti un'anima dentro il petto e non sul petto un appigionasi, Vincenzo Morello, vergò allora con quella penna che Giosuè Carducci onorava. Corrado Hrando esiste per me certo assai meno di quel ch'egli esista per i suoi avversarii più crudi. Pur mi sia lecito chiedere: che mai, negli ultimi secoli, meno troppo rare eccezioni, furon l'amore e la donna nella nostrJ poesia? Lasciamo, dei moderni, il Leopardi alla sua solitudine inaccessa. Ma un'aria di provincia– lità sospettosa conturba le figure anche me– glio riuscite di tutti gli altri poeti, e le fa d'un tratto scontrose, quando già sembravano voler confidarci i delicati segreti del loro cuore. Come se l'ombra dell'educazione pretina occu– passe irrevocabilmente quelle anime, renden– dole sfiduciose dei lor propri moti e disposte più a soffocarli ed a ricoprirli che ad affer– marne la fresca vitalità, col gonfiarsi sotter– raneo delle loro passioni, le loro parole si facevano pili indirette più letterarie più ot– tuse. In fondo, le loro feste e le loro angosce sanno invariabilmente di educandato. Son cer– tamente caste, ma anche più certamente ste– rili e ghiacce. In quelli anni, in Francia scri– veva un Balzac. In lnghilterrra Roberto Bro– wning. E Dostoiesvki era nato. Era fatale che la poesia italiana, se non riusciva a sollevarsi ad una solitudine desolata, come nel titanico doler del Leopardi, fosse condannata ad una grigia esistenza di zitellona? Uscita da quello stato di cose, negli anni piì:1recenti, essa mosse, certo, per gloriosi cammini, ma ancor discosti da quella via di verità intima e disadorna sebben piì:1 vitale e robusta della verità degli alti pensieri fu– cinati al fuoco delle memorie e della verità delle immaginazioni stupende e delle fantasie affettuose, sulla quale il De S:rnctis, chiudendo la sua Storia, sognava di vederla ormai in– camminata. Lidia trascorre lieve sopra uno sfondo di sogni solari, ridente eppur severa come Pallade Athena, e la carne del suo volto virgin.1le, sotto l'ondeggiante velo di tra 'I quale luccica l'oro dei capelli, splende augu– s1amente fredda come il marmo pario. Non dinrnndare a Laila se non ebbrezza di baci. Ed Ermione saprà riposarti e rialletlarii sl, atteggi:mdosi nell: sorridente varietà di freschi miti di gaudio; ma non ahro. Rosa è crea• 1Lira di obbedienza e di silenzio. Del l'amore parla per immagini false, perchè non è forte da fissar fiduciosa il suo amore e lo dissi– mula lo traduce in Aorealismi puerili, lo sfugg~. Quando la viva fonte della parola le spicci:1, il suo cuore è infran10: son venuti gli :rngioli e le hanno preso il mimmino. Ed essa si trova ,,edovat,1 del figlio prima ancora di essersi veramen1e sentit;1 donna e madre. Ella è nata all'umile virtù .so1orale. li dolore non può stringer queste creature incot11plete nel ll'UO ferreo amplesso, molti• plicar la loro vitali1à 1 fecondarle. La for– tezza incrollabile dell'eroina, la insaziabile pote111.adi gaudio dell:1 creatura prolissamente carnale, la cieca remissione della creatura sommessa come pecorellt1 1 precludono loro Bibloteca Gino Bianco il p:ttire Yero, la santità della pas<::ione. che accenda tutta la loro vita e le trasfiguri. Ed ecco, proprio di seno :1 quella bes1em– miaia tragedia, liberarsi uno Jei pii1 grandi inni d'amore che la poesia moderna abbia cant:tJQ. Negli altri romanzi e negli ahri drammi del d 1 Annunzio se ne sen1iva, spers:t, qualche noia. Kella scena prima del secondo episodio di Più che !'t1111ort, esso è pieno, serrato, sicuro. È verame111e e ditirambo delle origini e delle profond11à ». Kon chia– mate Corrado Brando qut:ll'uomo. Ho detto, non c 1 è bisogno di questo nome ad inten– der le sue parole. E la creatura che, nella sua umil!à. gli fa ml dono di vi1a quale con 1utta la sua violenza egii non avrebbe mai po1uto strappare alla. mano avara del suo destino 1 non è ~!aria Vesia, sirocchia del- 1' ingegnere d'acque, sibbene la creatura nata a ~e che, nell'appassionata attitudine della sua sorridente sofferenza, esprime il senso eterno del suo essere. Per quella scena le due figure son strappate alla loro contingenza imperfdta. Sono un uomo doloroso e la sua amante e spos:i, nell'atto ch'egli si afferra con tutta la forza della sua ruina ad una vita che non sapeva d'aver lasciata in lei ed in lei ascolta, d'improvviso, scrosci:ire rinata, formidabile e profonda. E la madre della sua immortalità gli si rivela nella creatur:1 che, nella frenetica dedizione d'amore, gli chiedeva d'esser da lui depredata e fatta più povera e pili povera; gli chiedeva, a sentirsi felice, ch'egli la tenesse come le utili cose pili misere, che non si ringraziano del loro viiale servigio, come la terra che calpestava, come l'aria che respirava; e, pur ora, trasfigurata, abbeveran– dolo d'eternità alla sua poppa, vuol ch'egli la pigli « con tutte le ossa, con tutto il san&ue », onde ella non sia più se non una cos.i bruta, « una povera cosa che non serve più a nulla se quell'uno a cui fu data la lasci cadere e la dimentichi » 1 fino a dispo· gliarsi d'ogni ,·estigio, nella sua maternità inesauribile, non restandole, supplicante d'es– ser dispogliata ancora, che « una piccola pic– cola anima come un filo d'acqua sotto un ma– cign.Q » 1 • insa1.iabile di darsi e di creare col darsi un più avido e cocente desiderio, nel quaie essa precipiti e s'evapori. • Non una sera ho mancato di provare la mia felicità contro la certezza del dolore .... Ali~ fine delle mie giornate più dolci ho detto a me stessa: « Prepàrati >. Tu mi baci più forte quando mi dici addio che quando mi accogli. Ogni volta ho pensato: « Come mi bacerà forte quando egli dovrà partire o quando do\'rÒ morirei •· Ah 1 che coraggioso amore è quello che non ha da sperare se non un tal bacio e non se ne dimentica l ». E !Pi consape, 1 olezza tragica sempre pili ag· grevia la promessa che non comporta altra maggiore e l'abbandono suprt:mo, finchè uguale si stende una tenebrosa tris1ezza, simile a quella dei suoni che scendon rombando nel tempio, quando il sacrificio è ormai com– piuto e la notte si diffonde. « Posso, come te, canlare nei supplizii. Tullo posso com· piere, se 1u me lo chiedi, foor che questo: che io ti :uni meglio, chè meglio non so». e: Da che profondilà è salito alla iua bocca questo canto? T'inseguivo nelle 1ue musiche quale ora mi 1ì mostri. Ho ascoltato con an~oscia tutte le tue melodie per attendere che quest'una venisse. E eh' io abPia potuto udirla in questo pun10, è forse l'ultimo dono del Destino .... Chi li dà questa voce? Chi parl:-i in te? La tu:t vila trnbocca .... Sento che le ,adici della mia vi1a non sono pili in me e che l'infinito è là dove tu ti volgi ». L'unica ,•ita di queste creature, che non è pii1 la vita dell'una nè la vila dell':1ltra 1 ma un fiato solo, un turbine solo, come nel primo bacio della passione, co'lle nella voluttà che sazia innumeri sterili anni di solitudine atlamata d'amore, passa cosl ruotando dall'una anima all'altra, e quelranima che nn attimo è carca di lutto il suo peso, soffre e gode del desi– derio dell':1ltra e glie la rende, cresciuta di una nuova tenerezza, in una parola sempre più ardente e più dolce che ra montare l'inno, come il falco nei suoi giri 1 per toni di forza misurata e vertiginosa, fino all'impeto supre· mo e al placamento : « Folle 1 Divina 1 Bacio le tue ginocchia, 283 adoro ogni vena delle tue mani, trattengo l'alito da,·:rnti a te per tema di ILirbare il germe che ILI nutri. Tutto quel che di pii.1 dolce e di più casto è soprav\'issuto alla mia guerra, io posso raccoglierlo anc6ra e offrirlo all'apparizione del 1uo mattino. Per un atlimo ho sentito tra le mie pàlpebre aride i tuoi occhi medesimi, il fresco del ILIO sguardo, e ho vedu10 anch' io sopra una terrn coperta di scorie 1remolare l'unico fiore al ven10 della lua alba. Quasi non oso più toccarti. Vorrei con quel che mi resta della mia forza creare la pace e la bellezza intorno al tuo miracolo silenzioso.... » ln\'ano. Questo sublime canto amebeo d'un Adamo e d'un' E\•a nati in un nuo\lo para– diso di dolore, non ebbe ,,intl di commuo– vere il pubblico selvaggio o maligno, non le animule occhialute dei critici talentuosi. Cor– rado Brando, con le sue carabine \Yinche– ster cariche a cartucce di diciotto grammi di polvere e a palla d'acciaio si prestava a facezie d'effetto troppo sicuro. E nessuno volle rinunziare ad esse. Il d'Annunzio a,•eva nrnlaccorlamente e\•o=ato nella !-Ua difesa, l'Aiace sofoclèo. E Sofocle gli fu alzato con– tro a convincerlo d'ignominia. Ma se la vera poesia varca sul to1bido secolo e confluisce, come le menti accese di speranza sognarono, in un'atmosfera di lim• pidità e di giustizia, a mischiarsi alla poesia che dal principio del tempo s'è innalzata dai cuori umani, forse il poeta d'Antigone e di Tecmessa, sulla riva dell'isola dei beati fio– rente di rose d'oro e di rododendri purpurei, udendo quell'inno salir per le profondità fa– volose, pensò che veramente chi l'aveva intonato non era indegno di chiamarsi fi- gliuol suo. (Co11linua) Emilio Cecchl. Quei rivenditori c//c ci credono tanto ricc/U:da poter a.spellare il comodo /oro, so,,o pregati ancora una volta d,: pagare it loro debito, s1,bito.Se 110 pubblicl,ercmo ·i loro ~t.'vcri# nomi, come a/Jbi'amogt.'à promesso. DI un nuovo mtlodo per cscludtrt da pubbllcl uf• Ilei le ptriont di m•a:&lor crlltrlo. - Poichè in c1uesti giorni si è parlato di pro"inciali1.1.a1.ione di molle cose, è bene sapere di quel che acca– de in pro,•incia. La pro,•incia di A"ersa ha aperto il concorso a direllore di quel manicomio, ed è proibi10 ai concorrenti aver più che 40 anni. A Pesaro, giorni sono, lo stesso. La provincia di Ferrara ha apcr10 concorso ali' uAicio di "ice– direttore cli quel manicomio con proibizione ai concorrenti di passare i 35 anni di et,\. Come "edcte non è questione di mczzogiorno e di set– tentrione: è tutto pan di casa (la rima dell'Al– fieri soggiungeva: • I' una fogna ncll' ahra si tra,·asa t). Bri.dateche io non parlo per conto mio : io sono ancora di qualche ,urno separato dalla qua– rantina, sebbene mostri di averl:i.sorpnssata per qucs1e rughe che tredici anni di delizie mani– comiali mi hanno scowate nella pallida facci::i.. Se non che questa 111a1tin:i. ho incontrato per la \'ia della ,•ita alcuni egregi colleghi i quali contano per l'ap1>11nto 40 :lnni e un giorno eri– spc11ivamen1e 35 anni e alcune ore - i quali llttti, 1)0\'CriCj."Tegi collcKhi, piange\'ano dirotto e si battev:rno la guancia che la troppa e1à già impela e imprecando im 1 icliavano gli sbarbali. '.\la che fanno - dicevano i colleghi ed io mi sforzo di rcnclere in parole telegrafobili le loro ciuercle - che fanno quesle provincie e i loro suggeritori ? non ba.;;ta che abbiano libern ..,,cita nella famosa terna che con l'aiuto degli illus1ris– simi uni\•crsitari e dei non meno illus1ri diret– tori può accogliere 5•7-9-11 nomi, si che in ogni c:1.;;ole eccellentissime 1\mministrn1.ioni po... sono sempre respingere i concorrenti tlcmenti senili e invalidi di 36 e 4 t anni? E quando abbiamo concorso 1>ocotempo fo non ci han dello che 11011 era\·amo ancora maturi? A tutti puzza que– S10 barbaro dominio, - ed aggiunge"ano sen- 1enze meno cl,1,;siche e considerazioni meno ri– spettose. Alle <1ualiquerele io, con c111ella calma ..,upe– riore che è l:l mia \'irtù cardinale di gentiluomo, ho risposto \ÌO non so s' io mi fui qui troppo folle): Cari colleghi, tornate a vo~tra scic111.a che (:, per eccellenza, una scienza peritale. Tanto si può sostenere che a 36, 41 anni uno è im– maturo ali' uOicio ri::.peuiv:unente di \'ice e direi-

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