Via Consolare - anno I - n. 5-6 - aprile-maggio 1940

FALÒ Nelle soste della caccia e del lavoro ~ tl lavoro è soltanto un travestinumto ipocrita della caccia -, il /alò crepitando leva le lingue di fuoco ad inoontrare le prime stelle. Ramaglia scelta nella giornata lo alimenta e lo cresce. Dalla tnsaccia passa alle ,nani e si perde nel rogo Però una pietruzza., una conchiglia, una bella foglia palmata, ricordi tra i migliori della tua giornata, non sai buttarle via. Cosi qua/Cuna delle pagine o un libro che Ci impensieriscono talvolta. Invece di darli alle fi,a.mme, per scaldarci nella serata avanzante, li rileggiamo fra noi a questa ristoratrice fiamma del falò. Domani, cani.minando, saremo con• tenti di questa lettura. Di avere fatto provvista di forza. ALFREDO GRILLI - PanZini a Serra (edìz. del g.-uppo scrittori S.I.A., Bologma; L. 6). Le cittadine di Romagna sono come quella brusca sterpaglia che cresce, in .r.oveti, sulla spiaggia del mare Rx>vi tena.ci, gramigne secche di sole spine robuste come la punta di una picca e in cima un fiore; un fiore gialla6tro, n,iente carino, senza profumo. Ma un flore. F1ra questa gente non levigata - che ha una parlata dura, sulla quale hanno continuato a fare presa fin dal!' epoca dei progenitori Galli e Romani, soltanto i concetti delle necessità fondamentali - non si sono sviluppa.te le arti del consorzio umano; intendo quel,Je codificate da Monsignor della Casa, il muoversi sobto il velame delle figure letterarie, dai nomi greci. Si fa ali' amore con un im- . peto un pò belluino, si odia con la cecità del!' orso o del lupo, Uomini. Orbene questi uomini pare che non abbiano tempo per leggere o scrivere. Le lapidi, si, che ce n'è una ad ogni cantonata. Ciò che serve alle passioni di parte, si - monumenti, giornaletti - ma basta. Chi ha voglia di fare della poesia, vada alla sera fuori di porta a salutare i! tramonto, dalla parte delle colline. Non ci sono mai nate e noill ci cresceranno delle scuole letterarie, cenacoli di artisti. Chi 24 Fondazione Ruffilli- Forlì ha il bernoccolo dell' ar>te se lo tiene per sè, chiuso dentro casa, come una malattia. O sono gli a.Itri a lasciarlo da parte, come le api coi maschi vaga.bondi. Non lavora di braccia, non si dà al mercato, passeggia fra gli altri e motteggia. Non va. Ecco cosi il fenomeno delle statuarie g,randezze isolate che si dà in Romagna. Da noi i grandi oon hanno nè maestri, nè discepoli. Sono soli ciascuno in un eremo, un Cardello una Sisa ..: Ma la solitudine li fa crescere ogn,i 11:iornodi un cubito e diventano dei titani. Poco prima della guerra un Panzini, a Bellaria, e un Serra, a cesena (che i posteri, c'è da giurarlo, li metteranno nelle filastrocche scolastiche l' uno vicino ali' altro), non si eone> scevano. A un certo punto l'uno attacca a gittare all'a.ltro il martello come si dice nella leggenda di S. Marino e S. Leo su per i cocuzzoli montefeltrani, e ne nasce Uill dia.logo, scarno di frasi, ma prof-endo, sincero, vivo di reciproca comprensione. Senza le schermaglie solite fra letterati questi due solitari, romagnoli si intesero e rapidamente si legarooo l' uno ali' altro, fino alla gloriosa morte del Serra. Ora Allfredo Grilli divulga in un intelligente volumetto che ricama con note sagaci e utilissime un tessuto solido attorno a.Ila trama di poche memorie epistolari, gli echi della loro amicizia. E sarà bene che il libro sia letto da n,~i e fuoi:i per comprendere meglio quei due e per avere sott' occhio un e,,emplare di quella amicizia che solo può attecchire fra anime grandi. GIOVANNI BITELLI: Mussolini - G. B. Paravia e C. L. 5. Una nuova opera ha aggiunto la casa Editrice G.B. Paravia a.Ila lunga e interessante serie biograftca degli sci:ittori italiani. Giovanni Bitelli ci l)Ol'ta attraverso un esame analitico delle varie fasi attraverso le qua.Il maturò il pensiero del Duce, alla piena comprensione della sua persona.li• tà spirituale. L' autore segue I vari momenti della vita di Benito Mussolini e con abili processi induttivi coglie in ogni minimo particolare impressioni sulla sua fcrmazione mentale, dandoci un quadro organico del suo pensiero, prospettato sotto il rapporto morale, politico, economico e socia.le. Lo sforzo di mettere a fuoco essenzialmente la personalità dello scrittore non è disgiunto mai tuttavia dalia considerazione della complessa ed eccezionale personalità politica del Fondrutore dell' Impero, fondendo i due termini in una sintesi piena, che acquista sostanza e contenuto nell'evidenza è_l una maturità superiore. In complesso si tratta quindi di un ottimo libro, che contiene pagine di grande efficacia, ed aiuta a penetrare spiritua.lmente nei suoi più intimi recessi una figura poliedrica, ricca di aspetti e di riflessi. A. iDONATI - Un Cantore di Romagna (Nettore Neri) - Faenza - Società Tipografica Faentina. Di Nettore Neri, poeta dialettale romagnolo, parla in un opuscole,to modesto e semplice, ma non privo di una certa eleganza tipografica, A. Donati. E' uno studio che aspettavamo da tempo, sia per un giusto riconoscimento del gre,devole verseggiatore di Romagna., sia ancora perché manca a quel complesso di artisti e poeti dialettali romagnoli che è più che notevole, un'adeg,uata e necoosa.ria notorietà che superi i limiti troppo ben definiti del loro paese nat,vo. Qui il Donati ci dà una visione completa e definitiva di Neri scrittore e poeta della iterra di Romagna. Le gioie tutte sorprese di trasognati abbandoni, le ma1Hnconie lievi, ma cosi profondamente umane, i trapassi repenitini dal riso al pianto, le mu• siche e i suoni disgiunti ma armonici sempre, insomma tutto quanto vi era di semplice e di complesso, di intuitivo e di cei:ebrale (ben poco dei resto) è stato sviscerato dall' autore che, dotato di un ottimo senso critico, ma soprattutto di una affinità di senitimenti veramente sinceri non manca di trascinarci con certe armoniche interpretazioni. A ta.l punto, chiudendo con un ringraziamento al Donati che, senza apparato di pubblicità, ha saputo col suo breve saggio affrontare un argomeI11totanto meritevole e pur cosi poco trattato della nostra poesia dialettale, amo riportare le parole colle quali Cornelio Di Marzio chiudeva VIA CONSOLARE

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