Giovanni Verga· Quando cominciava a nascere l'opera verghiana, la civiltà del'I'ottocento si chia- • mava Spencer o Stirner in filosofia, Max Nordau o Lombroso in sociologja, Emilio Zola in arte. Tempo di collassi ideali, tempo di dissolvimenti ; ila vita si sfalda, si strema; l'Ottocento volge verso l'agonia, nei salotti e nei cenacoli Madame Bovary ap passiona -le dame con la suù filosofia dell'adulterio ~ i fiuri del male di Charles Baudelaire odorano del loro acre ,profumo che solletica le nari degli eleganti salottieri petdig1orno. Si va in cerca di psicologie complicate e l'introspezione diventa compiacimento e cinc~chiamento di piaghe : in arte furoreggia rutto quello che ha un acre sapore di peccato, di passione, di brivido o di contorcimento. Il romanticismo ha raggiunto il suo punto di saturazione : e ili frutto era ormai maturo : pronto a tornare alla terra. Giovanni Ver,ga, sullla soglia della sua vita di artista, si affaccia in questo ambiente e respira l'aria dei salotti, aria di orchidee disfatte, di corolle disfiorate, non di campi dove viva sana e potente la natura. E di questo primo periodo sono frutto ad esempio, « Una peccatrice » e « Storia di una capinera ». Ma questo periodo crepuscolare, questo periodo della scapigliatura è destinato a finire ben presto. E Giovanni Verga abbandona 18 Fondazione Ruffilli - Forlì il tono falso di esistenza, ritornare all'a sua terra, reailtà nuda e semplice terra che gli si riaccosta carne e nell'anima. per alla della nelia Nascono così i romanzi vigorosi di un realismo sano e robusto : realiismo senza patologie di « bete humaine » , senza esageraz10m e senza congestioni, realismo in cui vivono gli uomini, non come lussuriosi caproni, non come bestie in cerca del cibo, ma come anime in tutta la loro accorata poesia rude e semplice. Non ambienti, non aria corrotta di bassifondi, di ventraie sociali : ma il campo in cui il contadino assalta con furia rabbiosa la terra, ma Ia casa umile, nuda nelle sue pareti, la casa del borgo e del paesello, dove respira contenuta la malinconia grigia delle povere anime, dove si aggira, senza disperazione e senza strepiti e senza rumori la quotidiana lotta per !,'esistenza. E sgorgano così dall'anima di Verga le pagine dei « Mal'avogllia », di « Mastro Don Gesualdo », dove la campagna o il mare rivivono nella loro verginità di colori. Si leva allora dal romanzo un canto melanconico e arppassionato in cui suona la voce della gente umile e infelice, lamentosa ne!Ia sua bramosia di tenerezza e di affetto, la voce di tutti coloro che ritrovano la forza di combattere e di lottare, di continuare la loro pena e la loro fatica tra· le vecchie mura della casa. Questa gente semplice si logora in un lavoro ingrato e · riprende la sua lotta tenace contro la terra. o contro il mare. Si lotta contro la sorda oppl'essione del destino ; ma si rimane vinti. E perciò triste è la visione e negativa sembrerebbe la versione del Verga : ma proprio da questa cuipa visione nasce grande e solenne la morale verghiana. Lavorare, continuare a lavorare più intensamente di prima anche quando la disgrazia colpisce : ripigliare l'usata fatica, così, silenziosi, rassegnati, senza guardarsi neppure in viso, e - quanto più infierisce il destino - tanto più con passo tenace ripigliare l'usata via del campo o ritentare il cammino infido del mare : ecco la morale degli eroi di Verga, ecco la, forza che sorregge e anima il loro mondo. La fatica ostinata e senza tregua : ecco la redenzione delle creature verghiane. In un tempo in cui la cc libido >> o il danaro o un egoismo monologizzante, iridato, antiso- 'ciale era la forza animatrice dei mondi artistici di tutti i romanzieri, Giovanni V erga dava questa morale triste, severa ma italianissima e grandiosa : il lavoro. Morale severa che, da voce di singdle anime, da malinconico canto sommesso di umili, assurge a superiore significato e diventa coro, epopea di popolo e di razza : di VIA CONSOLARE
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