Parigi, sugli uItimi del secolo scorso. Essa ci si presenta un pò come una babilonia se non di tipo orientale, come una babilonia moderna, civile, culturale, artistica mondana. È la città da dove partono le mosse politiche che gravano sui rapporti delle nazioni, addirittura il centro della diplomazia (ed è noto quanto sin da allora dipendesse da quei signori in marsina della sorte dei popoli) ; è la città della • finanza e dei famosi « crac » che portano d'un tratto di fronte al suicidio chi ieri si credeva possessore del mondo; la città dei convegni e delle riunioni interuazionali, dell'eleganza e della moda .eccentriche, del lusso sfrenato e dei divertimenti più frivoli e più difformi, più ricercati e più sensuali. Così, in quell'avvicendarsi e succedersi febbrili di correnti di pensiero e di movimenti intellettuali d'avanguardia, che caratterizzò tale scorcio di secolo, nessuna idea nuova poteva essere accolta ufficialmente se prima non era stata tenuta a battesimo nei tumultuosi circoli parigini. Ma forse nel campo dell'arte, anzichè in altri, la priorità di -cui godeva Parigi non era del YIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì tutto immeritata. In quell'età di generale disorientamento (fra i troppi orientamenti) e di incertezza artistica, dove rimaneva accesa ed agitata, anche se non più pura, la fiaccola della virtù creatrice - sopratutto per l'affluire ivi degli esponenti migliori delle arti di ogni nazione - era realmente negli studi lungo la Senna e nelle ormai leggendarie soffitte di Mont-Parnasse; ben' inteso fra i tanti ludibri estetici e le tante fritture di derivazione decadentistica, impressionistica, cubistica e così via, degli illusi insomma che g1a cominciavano a farla impunemente da iniziati nel campo dell'arte. Tuttavia, in tutti questi movimenti, e più negli individui, era avvertibile chiaramente quello spirito di inquietitudine, di inadeguazione, di brama insoddisfatta insomma, che li faceva volgere con tanta facilità e ingenua fiducia verso ogni clamorosa novità e che costituiva il tormento e la disgrazia di quel transitorio momento storico, tanto facile per l'espansione ed il progresso economici, quanto difficile per lo spirito e per le sue esigenze insopprimibili. È in questa città e in questo mondo sitibondo e impazrente, ove il ripetersi dei casi giudiziari intricati (tipo affare Dreyfus) toglieva alla sensazionalità dei drammoni granguignoleschi; ove la «pochade» si alternava sulle scene ai « can-can » delle sottanone di farpalì, quando già da tempo vi fiorivano innumerevoli gli impianti e i sistemi di lanterne magiche, ombre cinesi, fantocci e macchiette animate (tipo Musèe Grevin, teatro Robert-Houdin), i teatri ottici composti come quello di Reynaud - tesi in generale a dare al pubblico la sensazione nuova, oltremodo soddisfacente, eh' esso reclamava, ad appagare la sua curiosità tornata bambina, di vedere, e di veder muovere - è qui che, meraviglia delle meraviglie, può fare finalmente la sua comparsa il magico apparecchio di Luigi Lumiére. Una pura esperienza scientifica, dopo le più eccezionali ricerche e gli infaticabili tentati vi di uno stuolo di appassionati, coronata di bel successo, aveva fornito la base ad un'applicazione collettiva e spettacolare (per quanto ancora elementarissima), che si annunciava suscettibile di imprevedibili e fatali sviluppi. E così il cinema, dopo il primo 19
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