Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

sante l'aumento di associazioni di volontariato per malattie molto particolari. Queste associazioni che cosa hanno creato? Hanno creato una sensibilità nei loro utenti, ma anche nel mondo medico, per cui l'aspetto tecnico è importante. non va denigrato, anzi va sostenuto, ma in un contesto relazionale. Da questo punto di vista è interessantissima l'esperienza dell'Associazione per la lotta contro l'epilessia, che ha sede in Milano, collabora con la Lega professionale contro l'epilessia e ha realizzato delle cose molto importanti, di cui ho esperienza diretta, come l'integrazione a livello della vita, una capacità di auto-sostegno, la formazione cli persone che possano essere d'aiuto, ecc. Questo l'ho visto anche per una patologia particolare ciel nostro tempo: l 'Aicls. Ho visto sorgere quasi dappertullo dei gruppi clipersone che si sono fatte carico di questo dolore. In fin dei conti vogliono dargli un senso insieme con la persona. Proprio il fatto che questi gruppi sono formati eia persone dagli orientamenti ideologici più diversi è la prova di un cambiamento culturale. E c'è un grosso impegno su questo soprattutto nelle giovani generazioni. Quindi, forse non c'è chiarezza, non c'è ancora una strategia, ma ci sono elementi per pensare che questo diventerà, io credo, un tempo di preparazione per rileggere il dolore. Non c'è il rischio che attribuendo all'esperienza della sofferenza una carica redentrice, il cristianesimo le abbia attribuito una nobiltà che non dovrebbe avere? Forse ci possono essere anche radici che hanno attribuito culturalmente al dolore quasi un valore redentivo in sé, ma, personalmente, anche se so di non poter essere oggettivo, non credo che sia così. Nell'ambito dell'esperienza più frequente nel nostro paese, quella cristiana, in episodi fondanti quali il Crocefisso e la Passione, io leggo il messaggio che non esiste nessuna circostanza umana per quanto disorientante, per quanto ingiusta, per quanto assurda essa sia, come si può considerare la morte di Gesù di Nazareth, che non offra uno spazio per generare sentimenti cli amore alla vita, rigenerazione degli obiettivi e fiducia. Ma il male in sé, il male morale, il male fisico, il dolore non possiedono nessuna di queste caratteristiche. lo credo che il dolore in quanto tale sia una verifica e una ricaduta del processo evolutivo, evoluzionistico, della vita, per la pianta, per l'uomo, per l'animale, in modi diversi e con una coscienza diversa. Secondo me, ma, certo, qui ci vuole una fede, un affidarsi senza riserve a certi valori fondanti, la novità dell'esperienza cristiana, -anche se non solo dell'esperienza cristiana, ma di questa parlo, perché questa conosco-, è quella per cui, anche in queste occasioni, non esiste nulla che impedisca a ogni essere umano di manifestare l'amore per la vita, che è poi il modo in cui il Dio cristiano manifesta il suo amore nella storia. Questa è la visione a cui personalmente mi sento più vicino. Altre visioni rischiano di essere passive, passivizzanti e fonnano una concezione doloristico-sacrificale che diventa speculare a quella analgesica. Se mi si consente la battuta: è vero che Gesù Cristo è morto una volta, ma poi, leggendo il Vangelo, si vede che è andato a cena da gente piacevole venti volte! Allora, quelle venti volte cos'era? Era fuori combattimento? Mi pare che ci sia un equilibrio descrittivo per cui il dolore, come il male, è un fenomeno, che fa parte del1 'evoluzione del mondo. E' la sofferenza che ci provoca a qualche cosa, ma ci provoca a dimostrare che nessuna condizione ci può separare dalla capacità di generare aspetti vitali che traducono l'amore di Dio nella storia. Certo, in questo, usando la sua espressione, il dolore ha un potenziale "redentivo". La capacità di elaborare il dolore e dargli un senso ha una portata maturati va e anche pacificatoria. Può restituirci la consapevolezza responsabile del fatto che siamo persone umane, che con le nostre forze, nell'interrelazione reciproca, possiamo esprimere sempre nuove energie di quella ricchezza unitaria che è la vita. Questa eventualità di poter sempre manifestare, in ogni circostanza per quanto assurda possa essere, sentimenti di amore alla vita era presente anche nella Shoah, che può essere considerata un punto di svolta nell'esperienza del dolore contemporaneo? pratiche più diverse. E ricorderò sempre una persona che ora è morta, un'ebrea galiziana, la quale, raccontando della deportazione, diceva: "Sai, mi hanno arrestato un certo giorno, ho fatto in tempo a prendere un mozzicone di candela da dividere in due, una boccettina di vino e tre pezzetti di pane, perché così potevo almeno festeggiare il Sabato". Non so se ho risposto alla sua domanda. Ha parlato di un senso del limite che si sta perdendo. Questo non rende addirittura atroce, a volte, l'approssimarsi della morte o una lunga vecchiaia? Penso che ogni persona, per arrivare a un 'identità realmente matura, debba partire dalla considerazione che la sua vita ha un termine. Se non concretizza questo, non concretizza lo spazio che ha per incidere nella vita. Questa dovrebbe essere una coscienza comunque umana. Per la Chiesa Cattolica ho l'impressione che dopo il Concilio Vaticano Il ci sia stato un recupero del valore della morte, della sua preparazione in chiave meno collegata a ipotesi o previsioni, che anticipano cosa avverrà di là. Quello resta abbastanza legato alla sfera del mistero, che non è qualcosa di inconoscibile, ma qualcosa cui ci si accosta con rispetto, con molta cautela, senza scrivere la ricetta che il Padreterno dovrà firmare. Piuttosto, il problema di oggi non consiste più nel ritenere la morte "naturale". Sembra, ma non lo è. quando il dio ufficiale non parla .•• Il problema di oggi è come far sì che la morte non diventi un desiderio per l' insopportabilità di una vecchiaia che non era preventivata, che non era preparata. Dico questo perché queste "case di riposo per anziani" rischiano di contenere delle persone sazie di vita. Mi pare che questa sia la prospettiva più preoccupante. Per un credente questa è una sfida non da poco: come aiutare a dare un senso ad un 'attesa che non sia la liberazione da un esilio, il che sarebbe un po' melanconico, ma l'attesa di un incontro per pienezza di ciò che si è vissuQuello che sconvolge nella Shoah è, da un lato, come sappiamo, il non dicibile del- )'assurdo. Dal l'altro, è l'emergere di alcune figure, che in quel contesto, in quella situazione, hanno fatto vibrare addirittura poesia, hanno espresso poesia. Mio padre era medico, ebreo tedesco come mia madre, i loro genitori non sappiamo per quale camino siano passati, io non li ho conosciuti. Ho conosciuto, poi, tanti sopravvissuti eerché venivano a farsi visitare per le BibliotecaGino 1anco to? Il Cantico dei cantici per esempio. Su questo si deve riflettere. Non ci si rende abbastanza conto che ci troviamo di fronte a un quadro di malattie degenerative di fronte alle quali non sappiamo come muoverci: Parkinson, Alzheimer, ecc. Questa è la sfida: come dar senso, come offrire stimoli, come non trattare gli anziani da bambini rimbecilliti? Ed è un problema particolam1ente importante per chi crede, perché anche chi crede può pensare che il valore è rappresentato dai giovani, inquanto promessa anticipata di continuità. Ebbene, io mi permetterei cli pensare che il valore della persona, per il credente, come espressione dell'amore divino, come figlio di Dio, non dovrebbe essere così legato ali' età cronologica. Penso che oggi la sfida di aiutare a crescere la generazione giovanile sia una sfida che comunque riguarda tutti, ma la mia impressione è che chi ha una fede religiosa, se deve occuparsi degli ultimi come scelta preferenziale, forse dovrebbe cominciare da questi che sono gli ultimi degli ultimi, talmente ultimi che neanche se ne parla. Noi ci troviamo con una popolazione invecchiata, stiamo assistendo a una trasformazione sociale molto grossa, forse ancora agli inizi, della quale non abbiamo ancora pensato nulla. Ci sono dei segnali: per esempio, il centro residenziale per anziani, non la casa di riposo, può essere una soluzione nei casi in cui non c'è autonomia, se inserita in certi contesti. Il suicidio di Bettelheim ci fa memoria che la vecchiaia non è un problema di cultura, di soldi, ma di inutilità, di senso, clipaura. Ecco, I'indirizzo bioetico mi pare che dovrebbe essere questo: cominciare a pensare a situazioni in cui gli anziani rimangono nel loro tessuto relazionale, -e questo già avviene in parte con il servizio a domicilio. Forse, per una parte degli anziani c'è un ruolo che non sospettavamo: i nuovi matrimoni hanno spesso la clausola: "nonni efficienti a carico", perché la vita porta alla riscoperta di questa funzione. Tuttavia, in questo campo noi stiamo semplicemente tamponando emergenze, ci stiamo occupaodo di persone che per malattia o per condizioni sociali non possono più essere tenute in casa. Mi permetterei, però, di notare che I' esperienza monastica ha da insegnare qualcosa, perché nel monastero la persona anziana ha un ruolo. Negli ordini come la certosa, ma anche nei monasteri di altro genere, gli anziani stanno in casa finché possibile, perché hanno ruoli diversi, che possono essere anche limitati: essere di presenza per le generazioni nuove che arrivano, accudire gli ospiti spiegando loro un quadro, ecc. C'è la cultura della memoria storica di cui l'anziano è portatore. malattie degenerative della vecchiaia che ci lascianoattoniti E laddove l'anziano, anche molto anziano, ha un contesto, salvo fattori neuropsicofisiologici o vascolari, mantiene anche un 'efficienza, riuscendo ancora a partecipare a una mensa comune, a una preghiera comune, a un discorso comune. Del resto, vediamo che anche nel mondo civile persone con responsabilità molto alte hanno un'età molto alta. Non c'è una correlazione necessaria, ma c'è il fatto che così hanno trovato un ruolo. Quale può essere il simbolo dell'esperienza odierna del dolore? Forse, piuttosto che Giobbe, la figura contemporanea del dolore è Qohèlet, il saggio che è percorso continuamente dalla tentazione di negare il valore di tutto, perché tutto è vanità. E riducendo la portata di ogni moto vitale anticipa l'ipotesi di riduzione del dolore. Non a caso uno degli ultimi libri di Davide Turoldo, che era un poeta e un frate, si intitola Mie notti con Qohèlet. Si interrogava su questo personaggio, che è talmente intriso dal bisogno di risposta che la paura di rimanere deluso gli fa anticipare questa risposta, e quindi, in pratica, non c'è domanda. Ma leggendolo in filigrana, proprio perché è passato l'orrore ... Qohèlet è uno scrittore del periodo in cui Israele è già in qualche modo ellenizzato e di fronte allo sconforto totale, abissale, finisce con il dire, se vogliamo sintetizzare: "Però, forse, Tu non mi deluderai!". Ed è la nostra situazione: noi abbiamo razionalizzato il dolore, tentiamo di arginare la sofferenza, di nasconderla, cli farne un elemento di pudore, di tipicizzarla, ma ... Però, siamo anche una cultura dalle intuizioni sorprendenti, in cui una persona o un movimento esprimono a volte cose che vanno al di là delle vicende storiche, contengono una verità, captano un pezzo di umanità. Ci sono quei circuiti che una volta si chiamavano "non dominanti", cioè qualche cosa che non è programmato e nasce, riflette sul mondo, su tutto. Non so, alcune frasi di Marx sull'umano, sulla realtà umana, che restano, e alcune fonne di ricerca attuali come l'ecologia. O, in parte, anche l'adesione a movimenti di vario genere, di riflessione, di rapporto con la natura, perfino al buddhismo qui in Italia, ci dice di un bisogno di voler guardare fino in fondo quello che è stato e quello che può essere, però guardarlo. Io ho trovato persone, in questi movimenti, di grande coscienza morale. C'è, poi, il recupero di un'austerità di vita, forse non così evidente. Ci sono persone, anche fra ragazzi, che magari in una serata in cui si è insieme per mangiare una pizza riflettono su certe cose. Tutti dicono che le persone sono disaffezionate alla politica, ma non è vero, sono disaffezionate a una politica lontana dal dramma della vita e di cui non possono essere protagonisti. E allora magari si organizzano diversamente, come possono. Per esempio, a Capodanno un gruppo di persone, in parte giovani, è andato a fare una catena per la pace in Bosnia e qui dal Trentino sono partiti in 200. Ora, il trentino per tradizione non è una persona molto comunicante, ma su questo sì. Questi sono andati a fare l 'ultimo dell'anno lì. E' chiaro che non pensavano di fare niente, ma solo dire che la Bosnia sta ripercorrendo un cammino pericoloso. Oppure penso alle edizioni da Mille/ire, così diffuse, almeno da quanto posso constatare, anche se non pubblicano libri tipo Le notti di Kath/een, o che so io. Mi sbaglierò, ma a me sembra di notare molti giovani in treno che leggono Kafka. O anche il fatto, banale, che se in Italia c'è un bambino che non può essere operato, si fa una colletta e al I00% quei soldi arrivano ... Questi sono segnali presenti. - UNA CITTA' 1 5

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==